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Catilina, una rivoluzione mancata
Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?
Così Cicerone in Senato negli ultimi convulsi decenni dell’esperienza repubblicana romana.
Chi è Catilina? Lucio Sergio Catilina, militare e uomo politico romano.
Dito puntato contro per omicidio, cannibalismo, cospirazione, corruzione, incesto, violenza sessuale.
Processato e sempre assolto.
Popolarissimo, tenace, caparbio.
Descritto con largo uso di effetti speciali e scoppiettanti fuochi d’artificio retorici come diabolico e perverso.
Catilina, nascita blasonata e carriera limacciosa, che promette la ridistribuzione delle terre demaniali e dei bottini di guerra, che emana un editto per la remissione dei debiti.
Catilina, temprato nell’efferatezza delle guerre civili, che dicono si faccia cospiratore di incendi dolosi, danni d’ogni genere e tipo, assassini di personaggi di spicco.
Il fine ultimo?
Realizzare un piano sovversivo: rovesciare la Repubblica.
Nessun dubbio da covare? I fatti stanno davvero proprio così?
Il Professor Canfora ritiene di essersi cimentato “con una tradizione storiografica che parla della lotta politica senza esclusione di colpi attraverso lenti deformanti.”
A quali lenti si riferisce?
Quelle di una storiografia impegnata ne “la prosecuzione della politica con altri mezzi.”
Si ricomponga il puzzle e, soprattutto, si tragga fuori Catilina dall’Inferno in cui Virgilio ha pensato di traslocarlo.
Occorre diffidare della verità unica ed in rarissime circostanze una tradizione tanto corposa è stata così risoluta e compatta nell’annebbiare la realtà di “una vicenda drammatica e a suo modo modernissima.”
Che si riavvolga il nastro della storia e si abiti il 63 a.C.
L’agire di Catilina procede su due vie: “quella politica fino alla sconfitta elettorale…e quella militare culminata nella morte, sua e dei suoi seguaci, in battaglia, nei pressi di Pistoia, nel gennaio del 62.”
Cicerone e Sallustio, chissà, hanno alterato i fatti e deformato i personaggi. Nei loro racconti, certamente vibranti come se si assistesse ad una pièce teatrale, appaiono sideralmente distanti personaggi del calibro di Gneo Pompeo, Giulio Cesare, Crasso mentre dalle pagine di “Catilina” “più che mai risulta chiaro che la congiura catilinaria fu solo un tassello della lotta in corso tra figure più pesanti per la conquista di un ruolo preminente nello Stato. Una lotta in cui i giocatori sono stati numerosi”.
Ciononostante, si ricorda Cicerone e la sua avvincente spy story frequentata da delatori al soldo, pentiti prezzolati, ambigui profittatori, collaborazionisti improvvisati, falsari materiali ed ideologici, informatrici dai facili costumi e qualche lettera anonima.
Insomma, una rete di trappole ed insidie mentre “la vicenda politica romana appare come una corsa inarrestabile verso il superamento della libertas repubblicana e l’affermazione di un potere personale.”
Eppure, “Non deve sfuggire quanto radicata fosse in Cicerone la mania omicida verso gli avversari politici, costantemente alimentata, nella sua mente, dal modello di Scipione Nasica che salva la Repubblica ammazzando Tiberio Gracco.”
Un Cicerone che, però, un esercito non ce l’ha e che, probabilmente, non aveva compreso che stesse scoccando “l’ora dei capi carismatici e delle loro legioni”: un burattino manovrato da abilissimi Mangiafuoco.
E così, Catilina muore, i suoi sono giustiziati, la congiura è soffocata nel sangue ma esiste il suo sepolcro, perennemente coperto di fiori freschi.
Marx, Mommsen, Drumann, Baur, Lange, John, Halm, Marchesi, Carcopino hanno deposto fiori su quella tomba?
Quanto è forte, oggi, il bisogno di un rivoluzionario che capeggi gli oppressi?
In fondo, “La causa degli oppressi può difenderla soltanto uno che sia anche lui un oppresso.”
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