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Primo maggio tra lavoro e guerra
Il 1 Maggio 2023 rischia di passare alla storia come l’anniversario dell’attacco al welfare e al potere di acquisto con la vittoria della moderazione salariale e della riduzione del cuneo fiscale.
In questi giorni il governo Meloni, andato sotto alla Camera per l’assenza di deputati nelle file della maggioranza, non è riuscito ad approvare lo scostamento di bilancio indispensabile alla copertura finanziaria del taglio del cuneo fiscale; dovendo approvare l’intero pacchetto di controriforme (stravolgimento del decreto dignità, riduzione del cuneo fiscale…) ha subito convocato il Consiglio dei Ministri il 1 Maggio al fine di redigere un nuovo testo per il voto in Parlamento.
La posta in gioco è di notevole entità e una sconfitta, assai probabile, della forza lavoro spianerà la strada all’ennesimo processo di ristrutturazione che si ripercuoterà negativamente sulla forza lavoro, sul welfare universale accrescendo la forbice tra salariati e capitalisti, tra dominati e dominanti. Nulla di epocale ma un elemento determinante di quella gabbia dentro la quale intendono rinchiudere salariati e subalterni.
Proviamo a capire quanto sta avvenendo, considerando che la debolezza del movimento di classe e conflittuale è stata acuita dalla accettazione della guerra imperialista e da logiche padronali e dominanti dentro i contratti nazionali e la intera giurisdizione in materia di lavoro.
Iniziamo con cosa si intende con “cuneo fiscale”. Si tratta della differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore; tale differenza consiste in tasse e contributi previdenziali, quindi in parte a carico del lavoratore, e in parte a carico del datore di lavoro.
Cosa dice il Governo?
“Tagliamo il cuneo contributivo di quattro punti percentuali e questo taglio si somma a quello che avevamo già fatto nella precedente legge di bilancio. Così oggi, e fino alla fine di quest’anno, noi abbiamo un taglio del cuneo contributivo di 6 punti percentuali per chi ha redditi fino a 35.000 euro e addirittura di 7 punti percentuali per i redditi più bassi, fino a 25.000 euro.”
I tagli al cuneo non sono una novità perché altri governi, ad esempio l’esecutivo Draghi, hanno fatto ricorso a questa misura per scongiurare il conflitto nei luoghi di lavoro dopo il rincaro dei prodotti petroliferi e più in generale del costo della vita. Imposte e contributi sono un onere tanto per il datore di lavoro che per la lavoratrice o lavoratore; riducendoli la busta paga risulta meno leggera , tanto più riduco le tasse sul lavoro quanto maggiore sarà il vantaggio. Ma a pagare sono i cittadini e i contribuenti perché i mancati introiti delle tassazioni saranno compensati da tagli al welfare senza poi ammettere che l’obiettivo reale è ben altro, ossia ridurre il costo del lavoro nel suo complesso, e non solo la tassazione che grava sullo stesso, accogliendo la richiesta storica del padronato italiano.
Le imprese già beneficiano di aiuti, e dovendo pagare per due terzi il cuneo fiscale, beneficeranno soprattutto e i grandi capitali loro del taglio.
L’irrisorio vantaggio in busta paga sarà compensato dalla riduzione dei servizi al welfare mentre i maggiori profitti delle imprese saranno divisi tra gli azionisti e i proprietari. Per finanziare la riduzione delle tasse sul lavoro la sola strada percorribile sarà quella di tagliare il welfare magari nascondendosi dietro al sostegno alle famiglie e a benefit per i lavoratori o le lavoratrici con figli a carico.
Il Governo sta ripagando il padronato per il sostegno accordato all’ascesa al Governo che in cambio del via libera dagli Usa, ha intrapreso la strada senza ritorno dell’atlantismo spinto alle estreme conseguenze sostenendo l’aumento delle spese militari, l’invio di armi all’Ucraina e il passaggio della Ue dalle politiche di austerità a quella sorta di neo-keynesismo di guerra sul modello Usa. Meloni sta diventando la caricatura di se stessa, basterebbe guardarsi qualche suo intervento in rete di solo pochi anni fa e confrontare le tesi di allora con le esternazioni di oggi per farsene una idea.
Ma non si tratta solo di trasformismo governativo, quanto della misura della debolezza e contraddittorietà della contrapposizione del suo sovranismo identitario, che oggi è interamente a supporto delle politiche antirusse e anticinesi, atlantista in politica estera dopo avere assunto posizioni filo russe solo pochi anni or sono. E in campo economico la destra si scopre più che mai neoliberista, scegliendo ora la repressione dei lavoratori (il diritto di sciopero negato in Ungheria), ora una politica consociativa con i sindacati di maggior “peso”.
I sindacati rappresentativi al di là di qualche manifestazione ridicola non hanno mosso foglia contro la guerra, non è stato proclamato lo sciopero generale, sulla manovra fiscale del Governo (la tassa piatta e i tagli alla sanità perché il welfare per le famiglie è l’esatto contrario del welfare universale) hanno scelto di non creare opposizione intavolando un dialogo con l’Esecutivo dal quale hanno ricevuto le solite promesse. Il taglio al cuneo fiscale accomuna imprenditori e sindacati rappresentativi, eppure a beneficiarne sono soprattutto le aziende che pagano due terzi delle tasse sul lavoro e in termini assolutamente proporzionali alla media europea. E il Governo intanto ha rinunciato ad attaccare caf, patronati, previdenza e sanità integrativa sui quali i sindacati rappresentativi si sorreggono.
Meloni e la destra sposano i precetti neoliberisti, sostengono la moderazione salariale, tagliano i fondi per sanità e istruzione, pensano a un sistema di adeguamento dei salari al costo della vita ancor peggiore del codice Ipca che sappiamo essere stato pensato a livello comunitario per legare il costo del lavoro non all’aumento dei prezzi ma al Pil. Alle politiche di austerità temperata adottate con la pandemia, tanto che stanno lavorando a nuove regole a livello Ue, è subentrata una lotta alla inflazione che poi si ripercuote negativamente sui salari sganciati dal reale costo della vita, salari che con l’aumento del tasso di interesse hanno subito ulteriore impoverimento.
L’Italia è il paese della Ue ove i salari hanno perso maggiore potere di acquisto insieme alla Grecia, veniamo da anni di contrazione dei salari reali e nella P.A. per nove anni il blocco della contrattazione ha trasformato il settore pubblico italiano nella Cenerentola europea.
Veniamo da anni di sacrifici, di impoverimento del welfare e di salari in costante perdita del potere di acquisto , eppure la sola risposta proveniente dalla Cgil è quella di ripetere dei luoghi comuni: “Mancano quelle risposte strutturali per limitare i prezzi e sostenere i redditi da lavoro e pensione anche per via fiscale, interventi necessari per sostenere la coesione sociale”
Le risposte del governo Meloni sono invece ben chiare, e i soli a non volerne capire la portata e il significato sono le formazioni sindacali funzionali al padronatoi: Cgil CIsl Uil.
È imminente il mandare in soffitta il decreto dignità, con le causali che scatteranno dopo il 12 mesi prevedendole dentro la contrattazione nazionale e di secondo livello, visto che ormai l’impianto dei contratti è stato costruito sul sistema delle deroghe e sullo scambio tra miseri aumenti e accrescimento del plusvalore e della produttività.
Se i sindacati complici , il padronato e il Governo sulla riduzione del cuneo fiscale hanno le medesime idee, chi salverà la classe lavoratrice dalla sconfitta ?
A conferma di cio’ dal sito della Cgil leggiamo quanto segue:
“Si annuncia – sottolinea – un provvedimento di riduzione del cuneo fiscale per circa tre miliardi di euro nel mese di maggio. È una richiesta della nostra organizzazione, ma per essere efficace servono due condizioni: che si arrivi al 5% del cuneo sui redditi medi e bassi e che tali interventi siano strutturali e quindi finanziati con almeno 10 miliardi da collocare in legge di bilancio e accompagnati dal meccanismo di fiscal drag”.
Come si vede la controparte confederale avalla una politica fiscale opposta a quella improntata di forte progressività che sarebbe necessaria per ripristinare la funzionalità dei servizi pubblici di base – sanità in primis.
Sia sufficiente tale assunto per arrivare ad alcune conclusioni che necessitano di una premessa indispensabile: non possiamo aspettare i sindacati perché o sono subalterni politicamente, ideologicamente e materialmente ai padroni o risultano ancora deboli e frammentati (quelli di base), né possiamo illuderci sulla opposizione del centro sinistra ancorato com’è al rispetto dei dettami di Maastricht e alla ubbidienza alla tecnocrazia Ue.
Occorre essere consapevoli che la forza lavoro ha da perdere solo le proprie catene, le cui maglie saranno sempre più strette. In assenza di ricette salvifiche, l’opposizione di classe non si costruisce dall’oggi al domani ma iniziare a praticarla ove possibile è la sola strada possibile per non essere complici con l’agenda aziendalista e antipopolare caldeggiata dal padronato e dalla tecnocrazia.
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