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Forza, felicità e la crisi dell’educazione
Alcuni giorni fa, in occasione di una presentazione del libro Adolescenza, riflessioni politicamente scorrette (Emi, 2022) di fronte ai genitori di alcune classi di una scuola media milanese, una mamma ha espresso il suo pensiero in merito al cambiamento generazionale dell’approccio che i genitori hanno nei confronti dei figli.
I nostri genitori – ha affermato – desideravano prima di tutto per noi, che diventassimo donne e uomini forti. Oggi, invece, a molti genitori, se viene chiesto che cosa si augurano per i propri figli, affermano che la loro speranza è che essi siano felici.
Nella sua semplicità e nella sua estrema sintesi trovo che questa frase fotografi alla perfezione l’attuale crisi dell’educazione delle future generazioni. Vi chiederete: perché? Qual è il problema della felicità? Non è forse la meta che tutti, in qualche modo, cerchiamo di raggiungere? Sì, è vero, ma cosa si intende per essa?
La parola felicità condivide la sua radice etimologica con le parole “fecondità” e “fertilità”. Essa è intrinsecamente legata alla nostra capacità di creare, nel senso più vasto del termine. Essere felici significa essere nelle condizioni di poter esprimere i propri talenti. È felice il falegname quando lavora alla sua opera, è felice la madre quando porta in grembo e dà alla luce il proprio figlio, è felice il poeta quando genera poesia. La felicità non esclude sofferenza e delusioni e, anzi, forse nasce proprio dalla capacità di affrontare la crisi con fiducia e di rilanciare il male incontrato. Essa si alimenta nell’apertura a un’altra dimensione, a quella dell’incontro, della relazione, della ricerca di un significato. L’uomo è felice quando circondato dalla bellezza e, come insegna il poeta John Keats (“Beauty is truth, truth beauty”), bellezza è verità. Lo stesso Socrate esortava i suoi allievi a una ricerca costante, fatta di incontri e dialoghi interiori. La vera virtù si raggiunge con la conoscenza di noi stessi e con essa la felicità.
La felicità costa fatica, richiede impegno, passione e forza di volontà. Essere felici è difficile. È una conquista che si raggiunge giorno per giorno, con la nostra presenza, con la nostra voglia di vivere, di capire e di creare, nelle sue infinite forme. Senza forza non può esistere vera felicità. Ecco che allora, mentre la cultura contemporanea elogia fragilità e vacuità, disdegna la fatica e riempie la testa dei giovani di slogan e di parole vuote, i genitori e la scuola del passato, reduci dalla distruzione di una guerra mondiale, cercavano di dare ai ragazzi la forza di diventare adulti e quindi di scegliere, responsabilmente, di perseguire la felicità. Senza forza, l’unica “felicità” possibile è quella di cui parlano e che si auspicano Yuval Noah Harari e il suo ambiente, che vorrebbero intrattenere i giovani “con una combinazione di droghe e giochi per computer”.
Per fortuna ci sono ancora ragazzi, ragazze, insegnanti e genitori, come la mamma incontrata nella scuola media, che si stanno accorgendo dell’inganno, e seppur minati da condizioni di vita sempre più difficili nel nostro Paese e da martellanti bombardamenti mediatici, decidono di opporsi al capovolgimento dell’educazione in atto, che trasforma gli adolescenti, con un utilizzo sfrenato a acritico della tecnologia, in cittadini passivi e senza coraggio. Proprio di questi giorni è la notizia del Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma, che ha deciso di bocciare i progetti di digitalizzazione del piano scuole 4.0, finanziati con il PNRR.
“I nostri figli devono imparare la Storia, tradurre dal Greco e avere capacità critica, non come usare Spotify e Instagram” afferma il consiglio d’istituto del Liceo, che ha avuto, in prima battuta, il coraggio di dire “no” a quasi 300.000 euro di soldi europei girati all’istituto romano per “Next Generation Labs” e “Next Generation Classroom”.
Forse tutto questo non sarà sufficiente a fermare la deriva in atto, forse sono troppo pochi coloro che sono disposti a vedere ciò che sta accadendo e a battersi, con forza, per un paradigma differente. Forse la situazione è già troppo compromessa ed è ormai tardi per cambiare le cose, ma qualcuno di noi, chissà, mentre decide che comunque vale la pena provarci, potrebbe accorgersi di essere felice.
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