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De libertate: da Hegel a Corto Maltese


29 Mag , 2023|
| 2023 | Visioni

“Hegel è un pensatore aperto”, così argomenta Zizek alla presentazione del suo testo Hegel e il cervello postumano, e ancora: “più che il pensatore della sintesi, per me è il vero teorico dell’assioma che se pianifichi qualcosa, non importa quali sono i tuoi piani, le cose andranno sempre per il verso sbagliato. Un esempio viene offerto dalla rivoluzione francese, in cui la voglia di libertà è sfociata nel terrore. Rinconciliazione per Hegel non significa arrivare a un punto in cui va tutto bene, ma è il momento in cui ci si riappacifica con il fallimento”.

La sintesi non è luogo di appiattimento o di negazione delle profonde rotture e delle laceranti ferite, ma è manifestazione di queste nel loro ricomporsi.

La sintesi presuppone dunque una presa d’atto, per questo non si può rinunciare al soggetto, che è l’espressione non del vuoto compromesso, ma del pieno vivere dello Spirito nel mondo anche senza mediazioni alcune.

L’atto del sintetizzare non deriva dalla pura ragione, ma la supera, va ben oltre la stessa.

La Ragione che trova quindi fondamento nella non-Ragione, ovvero la verità noumenica come non tutto, o ancora più precisamente come eterna parzialità del Tutto.

Hegel non nasconde mai il negativo, anzi è il primo a farlo affiorare, quindi ne dà una lettura tendente al superamento (Aufhebung), così che si possa realizzare, in un punto di apparente quiete, il mondo.

Il moto si arresta solo per una frazione d’attimo e poi riprende la sua vorticosa ed incessante marcia.

Lo Spirito si mostra quindi nella sua intrinseca contraddittorietà, si parla appunto di dialettica hegeliana, nell’avanzare per tentativi e fallimenti.

L’Assoluto non è annientamento del conflitto, ma lo contiene, lo cattura nel suo manifestarsi.

Forse neanche è possibile raggiungere un pieno equilibrio nella sintesi, ma è possibile parlare di una tendenza verso il superamento.

Il superamento è pensabile dunque solo come avanzamento non completamente mediato, cioè in parte irrazionale e che va oltre un millantato panlogismo hegeliano, senza tuttavia cadere nella banalizzazione di Hegel come irrazionalista da contrapporre all’illuminismo kantiano o al materialismo deterministico marxista.

Hegel non è il pensatore che più di tutti riconcilia il pensiero, anzi è il primo a mettere in discussione l’assolutezza della ragione, infilandoci il negativo segnato ed irriducibile e successivamente ammettendo il passaggio attraverso il materiale sensibile.

Ed è lì che vi si trova il simbolico e l’evocativo. 

Hegel è infine il filosofo che più di tutti ha aperto al tema della libertà come assoluto, oltre una certa vulgata (Sputiamo su Hegel, Carla Lonzi) che ne ha letto solo gli elementi costrittivi e limitanti (Stato e famiglia), senza riconoscerne meriti unici, ed infatti è stato il primo ad individuare un nucleo vitale fondamentale dello Stato nella società civile, seppur ben conscio del guasto che può innescare.

La libertà si palesa nel momento stesso in cui viene messo in discussione l’Assoluto, in quanto questo si ricompone come mutamento del punto di vista soggettivo così che il non-Io diventi parzialità riflessa dell’Io.

L’intrinseca complessità ed onnicomprensività rendono in questo modo Hegel un autore unico nel suo genere. In Esso si parla del Reale, della sua eccedenza, ma anche del Metafisico. C’è vita piena nel suo pensiero.

1. Erroneamente Deleuze e Guattari ritengono che siano Nietzsche e Kleist i padri della soggettività libera e destrutturata, irrimediabilmente scissa, ovvero segnata dall’irriducibile negativo, così che questi sembrano battersi contro la tradizione hegeliana dello sviluppo armonioso della Forma e della formazione regolata del Soggetto.

Niente di più falso, invece è proprio Hegel a segnare il passo decisivo verso la produzione, nel perenne flusso intrinseco ed estrinseco al soggetto, dei segmenti dell’Io.

Tuttavia questo incessante catamenarsi non è pienamente liberatorio e non genera nemmeno ordine, ma ordine prodotto dal caos.

La libertà rimane gravata da un onere, come un peso delle volte insostenibile.

Ovvero questa conserva in sé una parte inconscia che è sì atto, ma azione vincolata, in quanto derivante da inquietudine e pulsione alla vita, entrambi potentissimi strumenti di produzione, annientamento e distruzione.

Tuttavia la libertà, così profondamente melanconica, si riscopre in quell’Assoluto che è cambio di prospettiva, modifica dell’angolo visuale dal punto di vista soggettivo che purtuttavia riesce a ritornare in sé.

La soggettività risulta dunque palesemente scissa, ma diventa ugualmente tale in quanto riconquista.

Questo è ciò che intendo dire quando parlo della portata profondamente rivoluzionaria di uno sguardo, ovvero di quel in sé che riscopre pienamente se stesso solo quando attraversato dall’altrui vista.

Una riscoperta profondamente ontologica dell’essenza dapprima come auto-rappresentazione e manifestazione all’esterno, e poi rafforzata dalla potenza che plasma legami personali e sociali.

In Hegel c’è una chiave ontologico-sociale per comprendere la soggettività come energia non assorbita né riassorbibile che produce una tendenza alla coazione nel tentativo di superare l’elemento dialettico.

Questo è il meccanismo mediante il quale la finitezza dell’individuo si palesa per essere conglobato dall’in sé infinito ed inconciliato che soggiorna presso il grande Altro.

Dunque l’infinito che contiene il finito, ma anche “il sapere dell’infinito nel finito” come prodotto che dimora in Noi.

É in questi termini che va inteso il senso delle parole di Pippin, quando afferma che “la donna è un sintomo dell’uomo”, ovvero che “la donna è il fattore determinante, il sintomo verso il quale l’uomo si orienta, si aggrappa affinché esso dia consistenza alla sua vita”.

Non è allora un caso che nel giovane Hegel sia l’Amore il simbolo della infinita libertà e come tale si manifesti nella sua caducità e fragilità.

Infatti, deve essere chiaro come in Hegel, lo Spirito sia immerso e riemerge dal Negativo, costituendo quest’ultimo al tempo stesso sia la crisi che l’immagine riflessa dell’Assoluto.

Lo Spirito Assoluto per essere ontologicamente tale deve contenere e non può espellere l’oggetto del suo stesso compiersi.

Si tratta, in sintesi, di un’auto-riflessività retroattiva del Tutto sullo speculativo.

Quindi la libertà sta in quell’Astuzia della Ragione che nell’inversione soggettiva dello sguardo né cancella né assolve dai propri peccati, dai propri fallimenti, dalle proprie delusioni, ma che comunque legge la storia in termini di avanzamento.

Un esempio mi appare come lampante e ce lo offre Verdi con la sua suggestiva ed immediata arte.

Simon Boccanegra, il personaggio la cui la vita pubblica si schiude verso quella privata, secondo un rapporto biunivoco.

La sua è una vittoria vista dagli occhi della Storia, nel finale tutto è al proprio posto, tutto è riappacificato, ma il suo incedere verso la morte è un immane tormento ed in nemmeno una nota appare lo Spirito di salvezza e di speranza.

Che poi non può che essere così, ovvero che l’infinito e l’Assoluto flirtano pericolosamente con la morte, per poi poter riscoprire, riconquistare e attingere a piene mani dal “mondo della vita” comunque attraversato costantemente da perdite non evitabili.

Anche il Signore, nella duplice definizione di padrone e di Dio, fa esperienza di morte, esperisce la paura del dileguarsi, del baratro dell’indefinito, dell’indeterminato, ma è attraverso questa che rinasce come autocoscienza, come coscienza che conosce sé.

Nella lotta per il riconoscimento entrambi i soggetti che vi partecipano sperimentano la paura dinanzi all’Assoluto, entrambi si fanno servi per divenire Spirito.

E questo è il senso profondo se si vede al mondo con occhi diversi da quelli della Storia.

2. Il divenire soggettività non è una scelta, ma contingenza che ti cade addosso.

Non si può rinunciare ad essere e ad essere tali.

Il soggetto esiste e non può essere né accantonato né cancellato con un colpo di spugna, tuttavia si possono percepire le scissioni molecolari presenti al proprio interno.

Esistere in quanto soggetto non è un’opportunità, ma è unica soluzione possibile, come quando Laing ci parla del concetto di “identità alterata”, è libertà di esistenza dal momento che è l’unica strada che la ragione riesce a percorrere.

Ed in questo il razionalismo ha ancora tanto da insegnare contro ogni logica destrutturante che porta il momento di fuga fuori dal soggetto e non attraversante lo Stesso.

La ragione in ciò conduce al vero, ad una realtà mediata dalla volontà di volere.

Per questo motivo il soggetto necessariamente si allontana da sé per approdare presso il sapere detenuto presso un grande Altro sempre diverso e in divenire.

Trova la ragion d’esistenza fuori di sé.

Ma quando questo ritorna in sé, si porta dentro tutte le lacerazioni e le sofferenze che ha sperimentato.

Tuttavia per pacificarsi può intraprendere un percorso di cura del sé che altro non è che la presa di coscienza dell’infinita conoscenza della propria finitudine.

Si badi bene non è detto che il risultato sia univocamente e necessariamente la guarigione, almeno non nel senso individualistico del termine, diversamente è postulabile come liberazione collettiva, in quanto questa può arrivare solo come laico miracolo immanente insito alla riappropriazione dell’Io.

Lacan parla appositamente di raggiungimento della guarigione in aggiunta o per eccesso come frutto della cura della Verità, spostando l’accento sul dovere etico piuttosto che sulle preoccupazioni utilitaristiche, così che la realtà si prendi cura di sé, se il soggetto si occuperà della ricerca affannosa del suo percorso, della sua strada.

E forse è proprio vero che la realtà è davvero “meno di niente” e tutto ciò che effettivamente conti sia solo un meraviglioso ed eccedente sogno o sovrumana tragedia.

3. Umberto Eco, ironicamente, affermava di leggere Hegel quando volesse dilettarsi un poco e Corto Maltese per impegnarsi intellettualmente, creando così un parallelismo tra il filosofo idealista tedesco e l’errante marinaio nato dall’illuminata penna di Hugo Pratt.

E spingendoci a fondo, possiamo scorgere in Corto il vero prototipo dello Spirito hegeliano.

Il character romantico a cui Hegel poteva riferirsi nella costruzione di una nuova soggettività.

Corto Maltese è un’anima fragile, profondamente in pena, scissa, contraddittoria, ma capace di slanci eroici di pura passione.

Un antieroe moderno che si scontra innanzitutto con se stesso, e che per puro caso si immerge in vicende più grandi di lui che lo travolgono in stupefacenti viaggi mozzafiato.

Alla fine ritrova sempre il proprio Io o forse lo perde a poco a poco in una riconciliazione che è frutto di una riflessione profondamente malinconica.

Ciò che produce questa perenne condanna è molto probabilmente una presenza/assenza all’interno della propria vita, ovvero una donna.

In un albo successivo alla morte del suo inventore, Equatoria, si fa riferimento anche ad una nostalgia verso la propria terra natia, questo è fuor di dubbio, ma personalmente non lo ritengo elemento dirimente alla base di questa sua irrequietezza.

Infatti Corto è spirito gitano, come la madre, e l’unico luogo dove forse trova un po’ di quiete, ma che in fin dei conti lo fiacca nell’ozio, è Venezia.

La chiave di lettura, secondo me, la si deve rintracciare in Corte sconta detta arcana, dove vi è un rifermento ad una fantomatica Lei del passato che lo intristisce oltremodo e ad una tendenza alla fuga come elemento tanto liberatorio quanto condanna dell’animo a non trovare mai pace pure quando ha davanti a sé tutto quello che cerca senza riuscire ad accorgersene (Un’aquila nella giungla).

Esso finisce per essere un personaggio affascinante nella sua refrattarietà ai tòpoi come quando ribalta l’assunto dell’homo faber fortunae suae con un atto autodistruttivo, ovvero da bambino si lacera la mano con un coltello per costruirsi la linea della fortuna, di cui era sprovvisto.

Un taglio che segna irrimediabilmente una frattura nel regolare fluire dell’universo. Un atto decisorio che rompe definitivamente con le norme naturali e che rimanda a rituali mistici.

Si badi beni, decidere significa liberarsi, ma anche aprire le porte al senso di colpa.

Un gesto che rende liberi, che scioglie dai vincoli con il mondo esterno, ma lasciando intatto un livello di ethos comune che guidi l’opra della storia.

É un personaggio libero nella misura in cui rinuncia al muoversi secondo una direttrice imposta da un’etica convenzionale e risponde solo al proprio modello di morale che è puro, appunto perché libero.

Non lo muove né il denaro, a differenza del nemico/amico Rasputin, né la fame di potere né la sete di vendetta, ma solo la sana avventura, quindi sceglie con chi parteggiare e persegue senza curvature per la propria via.

Non dobbiamo dimenticarci come l’etica dello Stato con cui esso si rapporta è quella onnicomprensiva e totalitaria del nazifascismo, ma allo stesso tempo viene a conoscenza anche di altre forme ugualmente oppressive di potere in giro per il mondo, in un’epoca, ancora una volta, di crisi del moderno e sua riaffermazione più forte e violenta.

In definitiva, in un’epoca di nazionalismi e conflitti mondiali, riesce a conservare un germe di refrattarietà che non ne permette l’assimilazione.

La riscoperta di un nucleo resistente all’omologazione forzata del pensiero dominante permette di continuare ad ideare un mondo pluralistico che costituisce la base del moderno declinato in chiave liberal-democratico, così che la grande scommessa dello Stato costituzionale, ovvero la libertà, sia realmente mantenuta in vita.

E la libertà manifesta tutta la sua forza prorompente e propulsiva nell’immediatezza dell’arte in ogni sua forma che sia letteraria, visiva o sonora.

Questo è l’insegnamento più grande che l’opera d’arte può donarci ancora, rimettendo sempre in discussione se stessa e palesandosi fuori dagli schemi in cui cercano invano di ingabbiarla.

Di:

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