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La spirale della violenza


31 Mag , 2023|
| 2023 | Sassi nello stagno

29 Maggio, Abbiategrasso, Italia. Nell’istituto Alessandrini, uno studente di 16 anni porta in classe un coltello e una pistola giocattolo. Viene interrogato dall’insegnante di italiano, ma prende un’insufficienza. Sono le 8:25. Il ragazzo inizia a discutere animatamente con la docente e decide di estrarre il coltello, fino a colpirla a un braccio e alla testa. I compagni scappano in lacrime, “forse minacciati dal 16enne con una pistola giocattolo”, almeno questo i giornali riportano. Dalle prime informazioni emerse, lo studente rischiava il debito in storia e italiano. Ora è in stato di ricovero in neuropsichiatria, sebbene non “abbia mai avuto particolari problemi di rendimento, né problemi di natura psichica. Nell’ultimo periodo sarebbe stato ripreso però più volte dai professori per motivi disciplinari.”

L’ennesimo caso di violenza giovanile, l’ennesimo caso di violenza a scuola. Qual è la prima reazione? Il ricovero psichiatrico.

Come al solito, medicalizzare diventa il modo per depoliticizzare un fatto che, se analizzato in profondità, investe la società nel suo complesso. Una società sempre più competitiva, diseguale e aggressiva. Che produce alienazioni continue e fornisce premi e gratificazioni a chi viene ritenuto un “vincente” rispetto agli altri. D’altronde una competizione ha senso solo se c’é qualcuno che poi perde, che poi viene ritenuto un “fallito”.

Non si può allora parlare di educazione senza interfacciarsi con queste logiche di sistema.

Fuori dalla scuola, i ragazzi sono prevalentemente soggetti consumatori oppure oggetti di pretese più grandi di loro. Tutto sembra allontanare i più giovani da un rapporto autentico con se stessi. E tutto viene scandito dalle furia dell’iper-competitività che anestetizza le emozioni e impoverisce le esistenze. Almeno per quanto riguarda i maschietti, queste dinamiche sono anche il frutto di logiche di matrice patriarcale-capitalistica: guai infatti a mostrarti solo, fragile e inadatto.

Non è difficile cogliere gli effetti sui più giovani della nuova società dei consumi mediatizzata: basta ascoltare i contenuti delle canzoni trap, ad esempio, che forniscono uno spaccato realistico degli umori profondi più diffusi.

La situazione è la seguente: l’incapacità di corrispondere ad attese eccessive e una condizione di alienazione spersonalizzante producono uno stato di frustrazione psico-esistenziale che alimenta una spirale di rabbia e di desiderio di prevaricazione sugli altri. Quasi si trattasse di un modo malato per riaffermare la propria inafferrabile unicità, ma più come corpi di automi che come persone.

Nel frattempo la scuola pubblica sembra essere sempre meno capace di opporre resistenza a tali fenomeni: classi sempre più numerose, professori mal pagati con carichi di lavoro sempre più elevati, una didattica alle volte estranea alla sensibilità dei più giovani, poiché più interessata al discorso sulle “competenze” che a quello della valorizzazione dell’attitudine critica dei ragazzi. E così, mentre gli studenti diventano un dato numerico in perenne competizione per accaparrarsi il “voto” più alto possibile, gli insegnanti abbandonati a loro stessi vestono i panni dei poliziotti “deboli” sui quali tutti possono scaricare la responsabilità degli eventuali insuccessi.

Tutto questo mentre aumenta, fra alunni e famiglie, il peso delle disuguaglianze economiche e crescono i fenomeni di povertà ed esclusione sociale. Ma è un problema che non fa notizia.

Ancora una volta la complessità e la comprensione delle cause profonde sono i grandi assenti nelle analisi e nel giudizio dei protagonisti del discorso pubblico.

Di:

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