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Ma perché la destra è culturalmente poco corredata?
Il Presidente del Consiglio ha proclamato, da Catania, di voler liberare la cultura italiana da un sistema intollerante: si riferiva alla Rai e già questo può suscitare qualche perplessità in quanto è come dire che la cultura si fa, e ha il suo proprio campo, nella televisione pubblica. E le Università? La letteratura? Le grandi case editrici? Gli intellettuali del Paese? Perché la cultura, quella in senso stretto, sta, se non sbaglio, in questi luoghi e in queste persone, di cui Giorgia Meloni non dice: vittima anche lei, sembrerebbe, dell’assolutizzazione del sistema mass-mediatico che, è vero, domina l’informazione nella contemporaneità. Ma è anche vero che coloro che dominano, o quasi, la comunicazione della cultura nello spazio pubblico, specie se ci si riferisca alle persone colte, non appartengono alla destra: nella stragrande maggioranza, a sentire quel che dicono e scrivono, sono di sinistra e veicolano idee germinate da quella parte.
Di tutto ciò il Presidente del Consiglio, penso, che sia consapevole. Ora, quest’orientamento, abbastanza univoco, degli intellettuali che fanno cultura in Italia non è un bene per il Paese che avrebbe bisogno, nei piani alti della cultura, almeno di un certo pluralismo. Meloni attacca, e agisce, nel contesto della televisione pubblica: è la cosa più facile da fare in quanto è lei, e il suo governo, che hanno l’imperium sulle nomine e lo esercitano legittimamente (il che non significa congruamente rispetto a un contesto repubblicano e democratico).
Di più, però, il Presidente e i suoi non potranno fare. Già sarà difficile sostituire la professionalità Rai di sinistra con una professionalità Rai di destra capace di reggere il confronto, anche dal punto di vista della formazione e dell’articolazione del pensiero, con quelli che c’erano prima. Ma qui sta il vero problema della destra di governo: quell’imperium non serve a nulla per creare un’alternativa culturale, un polo culturalmente competitivo, rispetto a quello che oggi ha il campo nei luoghi, diciamo dell’alta cultura (cioè delle idee) del Paese (o della Nazione). E così la destra non ce la può fare: la competizione è impari, anzi nemmeno si apre (qualche anno fa, ma è solo un esempio, a discutere con Stefano Rodotà il centro destra mandava la senatrice Michaela Biancofiore).
Per queste ragioni la sinistra, e la sua “intellighenzia”, possono stare tranquilli; ma non del tutto e non perché una nuova generazione di intellettuali di destra o comunque “liberali”, “neo-liberali” o, anche, repubblicani stia formandosi, ma perché il Paese marca in generale una grave e progressiva decadenza culturale che destra e sinistra sembrano ignorare e a fronte della quale restano inerti o, meglio, fan di tutto per accelerarla.
Ma, tornando a Giorgia Meloni che vuol ‘liberare’ la cultura in Italia, penso che sarebbe utile che facesse un’analisi veritiera dello stato di fatto; e provasse ad operare di conseguenza. Se gli intellettuali sono schierati sull’altro fronte, ci sarà una ragione o, magari, più di una. Proviamo a censirle, non tutte qualcuna
Storicamente, diciamo dalla seconda guerra in avanti, i partiti non di sinistra non hanno curato la formazione di un proprio ceto di intellettuali. Questa opzione ha connotato la Democrazia cristiana e, soprattutto, Forza Italia e la Lega. Conta la gente, il ‘popolo’, e in questa valutazione Forza Italia si è trovata con la Lega. In una prospettiva elettorale l’opzione è risultata vincente più di una volta, l’ultima il 25 settembre 2022: anche questo dev’essere riconosciuto.
A uno come Berlusconi gli intellettuali non sono mai piaciuti perché più difficilmente addomesticabili e, poi, ritenuti inutili in quanto conta il “fare” e gli intellettuali non fanno nulla: se si guarda alla legislazione emanata ai tempi dei governi Berlusconi, lo sfavore verso il ceto accademico è abbastanza evidente. Un inaridimento delle fonti, potremmo dire; e se il pensiero non viene alimentato, ricreato, inventato è più difficile l’impegno in una situazione del genere. Nel deserto trovare una sorgente è impossibile o quasi.
A sua volta questa situazione abbastanza complessa ha selezionato, e ha orientato, il pubblico dei fruitori, a cominciare dai lettori di libri e riviste culturalmente valide (intendo elaborati secondo una metodologia seria). Ciò a sua volta ha indirizzato le scelte delle case editrici, particolarmente di quelle grandi: scelte che sono state condizionate, anche se non sempre, dall’allocazione ideologico-culturale della clientela. Scelte ineccepibili: perché anche una casa editrice dev’essere aziendalmente competitiva sul mercato se vuol sopravvivere.
Alla fine quel di cui si lamenta pubblicamente Giorgia Meloni è da imputarsi principalmente al centro destra, ancor più alla destra, che appaiono oggi privi di un pensiero capace d’intercettare o di innovare, cambiandolo, il clima del tempo. Immediatamente può essere che questo deficit sia poco rilevante ai fini elettorali. Ma è il pensiero che ha modificato la storia del mondo. Non rendersene conto o, comunque, prescindere da questa costante della storia impedisce la formazione di una leadership autentica, capace di farci andare davvero avanti; e si tradiscono i proclami di perseguire solo gli interessi nazionali che, nei fatti, appaiono più modestamente quelli di bottega.
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