Questa è la storia di Psyche: soffio, vento, respiro.
Parola suggestiva come pochissime.
Per i Greci, seguaci dei riti misterici dell’Orfismo, il corpo fisico è una galera per l’anima.
E’ un caso l’assonanza delle parole σῶμα, corpo, e σῆμα, tomba?
Una prigione dai cui lacci l’anima deve affrancasi mediante ritualità iniziatiche a carattere soteriologico.
Lo scotto da pagare sarebbe la degradante permanenza in uno status di “non-esistenza”.
La condanna senz’appello sarebbe la trasmigrazione.
Nel V secolo a.C., inizia ad affacciarsi l’idea che l’essenza di un essere umano sia un’entità invisibile, presente in ciascuno, che lo scorta dalla nascita ed è la sede in cui vengono elaborate le sue esperienze. L’anima, quindi, non ha più soltanto la consistenza di un’ombra. Sì, è in grado di sopravvivere nell’Ade ma, ormai, è incapace di esplicare energia vivificatrice.
Con la speculazione socratica la Psyché designa il mondo interiore dell’uomo.
Già Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, Vita e pensiero, aveva asserito: “Il concetto di psiche inventato da Socrate e codificato da Platone è centrale a questo proposito: Socrate diceva che il compito dell’uomo è la cura dell’anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che poi oggi l’anima venga interpretata in un altro senso, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronunciava sull’immortalità dell’anima, perché non aveva ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone emergeranno. Ma, nonostante più di duemila anni, ancora oggi si pensa che l’essenza dell’uomo sia la psyche. Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell’anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l’apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyche è una grandiosa creazione dei greci. L’Occidente viene da qui.”
Platone, nel decimo capitolo del dialogo delle Leggi, sostiene che l’anima è immateriale, incorporea e costituita dalla sostanza degli dei. Il Timeo annunciala nozione di un’Anima del mondo, che genera le anime particolari, e ripartita in tre attività: loghistòn, razionale; thumoeidès, volitiva-irascibile; epithymetikòn, concupiscibile.
Aristotele intende l’anima come entelechia indistinta dal corpo, coincidente con la sua forma: l’anima, così, rappresenta la capacità di realizzare le potenzialità vitali del corpo, pertanto, non è disgiungibile da questo. Essa, allora, è mortale, benché un principio di eternità alberghi nell’anima intellettiva, operante senza il sostegno di un organo corporeo.
Plotino, poi, sdoppia l’anima in “superiore”, originaria e legata al divino, esente dalla corruzione, ed “inferiore”, preposta al governo del cosmo, in “commercio” con la materia o, nel caso degli individui, al governo del corpo. L’anima originaria non è mai oggetto di “caduta” e non discende mai nel mondo materiale.
Eppure, la Psyché dei Greci non corrisponde né all’anima cristiana né alla psiche della psicoanalisi!
I libri raccolti in I Greci e l’anima. Una trilogia di Giulio Guidorizzi (Raffaello Cortina Editore, 2023) trattano tre aspetti dei fenomeni mentali: la follia, il sogno, le passioni.
Prodotti sì dall’anima, ma non dalla sua parte cosciente!
La follia non fu esclusivamente malattia bensì strumento per coartare i limiti dell’anima ed espandere la personalità. E’ parte dell’esperienza religiosa, si pone alla base dell’attività di profeti e finanche di politici, è il canto degli oracoli.
Vigono regole e norme in questa pazzia: influenza poeti e cantori, né ne sono privi culti estatici, quale quello di Dioniso, in cui gli adepti vivono esperienze visionarie. In Grecia i pazzi non vengono curati, isolati, talvolta reclusi: piuttosto la società si assume l’onere di modellare la follia al proprio interno, sfruttandola in maniera creativo.
Quanto deve civiltà occidentale alla non-ragione?
“Chi è sveglio partecipa al mondo comune, chi sogna si rifugia in uno suo proprio”, così Eraclito.
Ogni uomo sperimenta l’alternanza di pensiero cosciente e di immagini incontrollabili che il sogno fa emergere da un apparente nulla. Ciò lo pone dinanzi alla consapevolezza di muoversi tra due universi paralleli, organizzati con categorie diverse ma presenti nella mente di ciascuno.
Varia tuttavia il senso che ogni civiltà attribuisce all’onirico.
Freud non ha, forse, costruito la base della sua dottrina partendo da un antico sogno, quello raccontato da Sofocle nell’Edipo re?
Alle origini della cultura occidentale, infatti, i greci svilupparono una vera e propria cultura del sogno: la vita notturna non è ancillare ed insignificante bensì un messaggio idoneo a scagliarsi sulla vita cosciente. Ai sogni si domandano consigli concernenti scelte da compiere, oracoli, addirittura miracolose guarigioni. Fino a Platone: il sogno diventa l’inscindibile compagno dell’anima che lo genera, il prodotto della sua parte più segreta.
Infine, le passioni che “colorano” emotivamente l’esistenza. Esse vengono vissute come un’esperienza trascinante e perturbante. Assolute protagoniste dei poemi epici e delle tragedie. L’ira, l’amore, l’odio, la paura, il desiderio sono tra le travolgenti passioni che soggiogano Achille, Edipo, Medea. Sono impeti della psiche ambivalenti e viverli sorregge la conoscenza delle sfere più insabbiate della mente. Concepite alla maniera di forze che si impossessano dell’anima, le passioni sono subìte dagli eroi del mito che le impersonano. Variamente considerate, talvolta come esito dell’intervento divino, talvolta come avvisaglia di un scontro interiore all’individuo, talvolta come freno al predominio della ragione sull’irrazionalità.
Una trilogia densissima, pregna della malìa dell’irrisolto…
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