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Made in Italy, italian style, bel paese: eccellenze italiane


15 Giu , 2023|
| 2023 | Visioni

 Il dato è passato quasi inosservato: stampa e televisioni istituzionali ne hanno dato notizia, poi hanno lasciato perdere. Scomparso. Eppure si sarebbe dovuto avviare una seria, e severa, riflessione; aprire un dibattito; anzi, introdurre un’inchiesta. Un tentativo è stato fatto solo da Paolo Bricco su Il Sole. Il silenzio omertoso ha, invece, unito, ancora una volta, maggioranza e opposizione. I politici hanno annusato il pericolo: quello che temono più di tutti, la caduta del consenso elettorale. Miseria di una democrazia che rifiuta di perseguire l’interesse comune a cui preferisce quello corporativo. E allora meglio tacere; e se è così si intuisce che la questione coinvolge – trasversalmente – una parte significativa dell’elettorato: il che non significa la maggior parte, ma quella più organizzata e capace di farsi sentire (ed ascoltare) a protezione dei propri interessi materiali. I cittadini qualunque destinati all’invisibilità perché silenti, per tante ragioni.

 Questa – finalmente – la notizia: la produzione industriale italiana è calata di oltre il 7% durante l’ultimo anno. Addirittura oltre il 17 l’industria del legno e (da sottolineare) oltre il 10 l’industria chimica e metallurgica. Ma la politica nazionale, soprattutto, quella locale e regionale, e il sistema mass-mediatico irreggimentato, magnificano le nostre sorti in grazia delle nostre eccellenze: marchi doc, cucina italiana, tradizioni artigianali, il Paese più bello e accogliente del mondo ecc. Tutto spinge verso l’esaltazione dell’industria del turismo e del tempo libero in genere. Anche Covid-19 che ha compiuto il miracolo di trasformare le nostre piazze, le nostre vie, i nostri portici in stuoli di plateatici; le Soprintendenze inascoltate. E poi le trasmissioni televisive: chef reali o fasulli, ristoranti italiani in Italia e all’estero, didattica culinaria, alberghi in competizione. La tutela ad oltranza dei balneari e l’interesse, anche economico, dello Stato taciuto, non perseguito, quasi un pizzo. La ricerca spasmodica, da parte delle amministrazioni comunali, alla patente Unesco anche laddove è ridicola: come se Giotto a Padova ne avesse avuto bisogno. E i b&b cresciuti come funghi per l’avidità di proprietari piccoli e grandi; e insieme la caduta della residenzialità cittadina e urbana in genere.

 Un battage martellante, divertimento, svago, mobilità presentati come importanti componenti del PIL nazionale, l’ambiente e il patrimonio storico-artistico come beni da sfruttare, l’Italia che offre agli Italiani, dei settori interessati, una rendita di posizione che discende non dalla fatica, ma dalla sua straordinaria storia e dalle sue altrettanto straordinarie bellezze naturali. E all’estero la costruzione e il rimbalzo di un’immagine corrispondente; ma al fondo valutazioni di inaffidabilità, paese levantino, un popolo da vacanza.

 Parole, impressioni, pregiudizi talora fondati, ma talora, e di più, gratuiti. Però consentiti e tollerati: perché? Perché siamo debolissimi. In altri tempi avremmo suscitato progetti di conquista (e, in effetti, lo siamo stati, fino al 1861 o, anzi, fino al 1918). La conclusione – che è anche il titolo – dell’articolo di Bricco è questa: «l’economia italiana non può vivere di solo turismo». Ma su La Fionda lo avevamo denunciato più volte. Se siamo fuori gioco dalla siderurgia, se effettiva, ed emblematica, è da noi la desertificazione automotive, la conseguenza è che ci indeboliremo ancor di più. I dirigenti politici, se mai se ne rendono conto, tacciono: questo governo ha dimostrato di pescare voti dalle piccole o micro imprese e non vuol compromettere questa riserva (che ha alimentato). Ma nemmeno Draghi aveva segnato un cambio di passo; tutt’altro.

 Più deboli, ma anche più poveri. L’industria, a maggior ragione, la grande industria realizza condizioni di lavoro parecchio migliori rispetto a quelle consentite dai padroni del turismo e annessi; e i salari sarebbero più alti. Ha ragione chi ha messo da una parte alta intensità di ricerca e alta produttività, dall’altra (purtroppo) alta intensità di lavoro e bassa produttività. Se poi è vero che il lusso francese sta lasciando l’Asia per venire in Italia per la produzione di pelletteria, calzature e abbigliamento, vuol dire che i nostri salari sono davvero troppo bassi; e i giovani sembrano arrendersi e accettare quando non riescono ad abbandonare il Paese. E i Paese resta esposto: perché il made in Italy è legato alla moda e i flussi turistici sono per loro natura migranti.

 Le nostre città d’arte, anche quelle minori perché da noi questo genere di patrimonio è diffuso, sono destinate a divenire invivibili: centri storici trasformati in centri commerciali, la monumentalità a rischio, le città che sono non luoghi, i residenti quasi una specie in via di estinzione. Poi ci sarebbe anche una questione etica legata al trionfo del consumismo edonista: l’impressione è che lo stiamo subendo più degli altri. Ciò non sarà senza conseguenze. Ma se non cambia la qualità del nostro ceto politico, è sempre più difficile sperare.

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