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Berlusconi: un potere dai mille volti
Berlusconi ha sempre avuto un piglio attorico se non istrionico: capacità di tenere la scena, intrattenere, assumendo il ruolo più adeguato rispetto alla situazione. Negli ultimi anni ha assunto una postura di leader antieuropeista (ha sempre avuto un fiuto straordinario a capire dove tira il vento e ad adeguarvisi), e persino eccentrico rispetto all’odierno consenso mainstream filo-ucraino e antirusso.
Quando era al governo però la faccia che mostrava era un’altra: uno dei maggiori rappresentanti dell’europeismo di establishment, perfettamente allineato al Partito popolare europeo. Tutti ricordano il clamoroso litigio con Schulz nel 2003, ma lo scambio con il politico tedesco è avvenuto nel corso di una seduta del Parlamento europeo in cui la presidenza Berlusconi si è trovata del tutto allineata all’allora capo della Commissione, Romano Prodi, nell’ottica di integrare i paesi dell’est Europa allora al centro del processo di allargamento, e di preparare una Conferenza per stabilire un testo condiviso per una ulteriore integrazione. I tentativi di considerare il Cavaliere un corpo estraneo alla oligarchia della Ue è, nel migliore dei casi, pesantemente parziale. Nei passaggi essenziali il suo partito c’era e si è sempre allineato.
Stesse considerazioni possono essere fatte per il suo filoamericanismo. Berlusconi è stato uno dei politici più fervidamente atlantisti di sempre, con un sodalizio fortissimo con Bush Jr. che lo ha spinto a far allineare l’Italia alla cosiddetta “Guerra al Terrorismo”, mentre Francia e Germania se ne tenevano un po’ distanti, anche contro il parere contrario della stragrande maggioranza degli italiani in merito alla invasione dell’Iraq. È vero che creò un sodalizio con Putin che è sopravvissuto fino ad oggi. Va a suo onore non rinnegarlo a dispetto di un furore bellicista che oggi si traduce in una russofobia tinta di fanatismo. Va detto che a quel tempo Mosca era ben accetta alle cancellerie occidentali, aveva anche fornito le basi per aiutare lo sforzo bellico Usa.
Le critiche da “destra” e la marginalizzazione
Già alla fine della legislatura 2001-2005 l’Economist, una delle navi ammiraglie del neoliberismo, sparava a palle incatenate: “L’Italia necessita urgentemente di riforme radicali, ma la coalizione di Berlusconi, che in teoria doveva essere dedita al liberismo economico, ha fatto quasi nulla nei suoi cinque anni al governo”.
Era una critica un po’ ingiusta. Nel corso della legislatura si aveva avuto la riforma del mercato del lavoro (L. Biagi 2003), la privatizzazione di Cassa Depositi e Prestiti (2003); Legge Moratti sul scuola e università; riforma peggiorativa delle pensioni (2001, motivata con la solita manfrina della sostenibilità intergenerazionale: “ i futuri risparmi che genererà consentiranno di mantenere un equilibrato sistema di welfare, nel campo della previdenza, così come nella sanità, nella scuola, nell’assistenza ai più bisognosi”). Evidentemente non bastava; sia per il fatto che il cavaliere mirò sempre a mantenere il favore della classe imprenditoriale nazionale, evitando liberalizzazioni che avrebbero favorito investitori esteri (il caso di Alitalia fece imbufalire di brutto il Financial Times e Wall Street Journal), sia per il fatto che la maggior parte dell’energia politica venne impiegata per gli interessi personali del Presidente del Consiglio. Al di là di tutte le sue maschere, se c’è qualcosa che possiamo considerare proprio del “vero io” di Berlusconi è la sua fede nell’attività imprenditoriale come produttrice di ricchezza e indice di realizzazione sociale (e pure umana), ma ciò evidentemente doveva passare in secondo piano rispetto al suo particulare. È chiaro che un capo politico tutto intento a proteggere se stesso dai guai giudiziari e a consolidare il proprio impero industriale non poteva essere il cavallo su cui puntare per la spallata neoliberista.
Arriviamo quindi alla fine del ventennio. Nell’ultima esperienza di governo (2008-11) è uno smacco dietro l’altro. Forte di una facile vittoria (2008) conseguita sull’inutile Veltroni – la cui trovata di non nominare mai il Cavaliere, designandolo nei comizi con l’espressione “il principale esponente della coalizione avversa” si commenta da sé – ma con consensi discendenti (rispetto alla tornata precedente la coazione aveva perso più di due milioni di voti), gli scandali sessuali e la scissione di Gianfranco Fini fiaccano la maggioranza parlamentare.
La crisi dello spread consegna Berlusconi alla storia. Ma bisogna notare che cercò di restare in sella il più a lungo possibile: il giorno stesso in cui viene recapitata la famosa Lettera della BCE (5 agosto 2011) organizza in fretta e furia una conferenza stampa con Tremonti in cui promette di fare le famose “riforme” (senza però parlare della missiva firmata da Draghi e Trichet). Come abbiamo già spiegato, la minaccia era di cessare l’acquisto di titoli italiani facendo lievitare lo spread. Per venire incontro alle pretese espresse con questo (davvero ignobile) ricatto, dopo la già massacrante manovra di contenimento della spesa pubblica per 47 mld € (D. L. 98 del 6 luglio 2011, che inserisce le famose “clausole di salvaguardia”, aumento automatico dell’IVA – la tassa più ingiusta – se non viene rispettato l’obiettivo di bilancio), verrà approvata una ulteriore manovra da 45,5 mld €; in più il governo scriverà alla Ue il 26 ottobre promettendo mari e… Monti. Quest’ultima comunicazione è un vero programma di austerità con tutti crismi.
A novembre entra in carica Mario Monti, ed inizia il definitivo declino del Cavaliere. Nel decennio successivo sarà alternativamente in maggioranza e all’opposizione, ma mai più come ministro o capo della coalizione: Forza Italia, resuscitata dalla ceneri (si era precedentemente unificata con Alleanza Nazionale col nome del Popolo della Libertà) avrà un trend elettorale calante, sempre più al di sotto di Lega e Fratelli d’Italia.
Nel 2012 era ancora abbastanza arzillo e dialetticamente pericoloso nella campagna elettorale per le politiche del 2013; fresco della cacciata da parte dei poteri europei, si disse perfino che sarebbe stato defenestrato per aver caldeggiato l’uscita dell’Italia dall’euro, sebbene manchi ogni conferma in documenti ufficiali; critica la BCE e afferma che la Germania dovrebbe uscire dall’UEM. Verso la fine del decennio appare sempre più appannato, nella campagna per le europee del 2018 manifesta difficoltà mnemoniche evidenti (confonde le lire con gli euro, vantando di aver portato le pensioni minime a mille lire); diventa la stampella liberal e moderata di una coalizione dominata dalla Meloni, posando da padre nobile della Patria ed aprendo a diritti LGBT (i valori cattolici meglio dimenticarli) e alla tutela degli animali.
Un bilancio di tutto ciò è difficile. Da un lato si annoverano coloro che ritengono abbia rovinato l’Italia, vuoi sul piano culturale per l’effetto della televisione commerciale e lo sdoganamento di comportamenti poco commendevoli, vuoi per la gestione economica classista e aziendalista. Dall’altro c’è chi ritiene che in posture discutibili abbia assunto una maggiore autonomia rispetto a quei poteri che alla fine per questo lo hanno defenestrato.
Probabilmente in entrambe di queste posizioni c’è una parte di verità, non dobbiamo dimenticare che Berlusconi ha agito in dialettica non solo con il centro-sinistra, ma anche coi vari poteri forti con cui è sceso a patti ed ha favorito o da cui si è fatto aiutare.
Questo complesso di soggetti diversi ha creato un orizzonte egemonico comune, nel quale il fondatore di Forza Italia si è mosso con modalità diverse dai suoi avversari, anche perché bene o male, avevano elettorati diversi cui rispondere.
Il centro-sinistra aveva un elettorato che, imbufalito per via della polarizzazione di cui abbiamo parlato, chiedeva un livello di scontro molto alto; molto più di quanto i dirigenti fossero disposti a determinare, preferendo invece mettersi d’accordo con l’ “anomalia antidemocratica” in molte occasioni. Il loro margine, quindi era limitato fra la necessità di mostrare un certo grado di colonna vertebrale (in realtà ne avevano ben poca) e la volontà di non portare il conflitto fino alla paralisi delle istituzioni – cosa che per esempio sarebbe molto probabilmente avvenuta se avessero cercato di togliere le televisioni a Berlusconi, una volta al governo.
Quest’ultimo invece doveva muoversi fra la garanzia dei propri interessi personali e la conservazione del consenso (cosa per cui ha avuto sempre grandissima attenzione) evitando provvedimenti impopolari o dolorosi. Solo per alcune categorie però: verso quelle che lo votavano poco come gli insegnanti o gli odiati magistrati non ebbe riguardi a misure dure se non apertamente vessatorie. Entro questo margine il rispetto della ortodossia mainstream non riuscì sempre splendidamente, e alla fine il quadro di compatibilità si ruppe, lasciando il campo ai propri avversari e ai poteri europei che lo avrebbero marginalizzato in maniera definitiva.
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