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L’eredità politica di Berlusconi
“Non temo Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me” diceva Giorgio Gaber, citando per la verità un suo collega cantautore ancora in attività, Gian Piero Alloisio. Da grande artista e profondo conoscitore dell’animo umano, il signor G aveva capito il motivo per cui Silvio Berlusconi era così popolare e così amato da una larga parte degli italiani: fuori da ogni ipocrisia, perché volevano essere come lui.
Perché in fondo c’è stata una parte d’Italia che tollerava la mafia, finanziata in cambio di protezione e frequentata per anni dal nostro; perché c’è stata e c’è ancora una parte d’Italia che non vuole pagare le tasse, che anzi le vede come “un pizzo di Stato”, come ha detto in perfetta continuità politica la premier Meloni; perché c’è un’Italia che mal sopporta i pesi e i contrappesi del modello liberale e che anzi li ha barattati volentieri in cambio della cura degli affari propri, se sotto forma di monopolio e corruzioni ancora meglio, che in fondo non disdegna le furbate e le truffe anche se ai danni di un’orfana, che ama il genio dell’impresa sportiva e della creatività televisiva (indiscutibili, gli vanno riconosciute) e si riconosce nella peggiore cultura machista (anche una parte del genere femminile, non va nascosto).
Questa, se vogliamo dircela tutta, senza ipocrisia e con onestà intellettuale, è la verità e il motivo dell’ondata emotiva di questi giorni. In poche parole, Berlusconi è stato l’incarnazione del “liberismo in salsa italiana”, che si è mangiato tutte le culture politiche del Dopoguerra, dalla fine degli ’80 in poi. Un predominio incontrastato, anche perché l’opposizione politica non poteva e non ha voluto contrastarlo, per un motivo molto semplice prima di qualunque altro. Perché la “sinistra storica” (chiamiamola così, per comodità, quella che va dalla morte di Berlinguer in poi) ha abbracciato la dottrina liberista in tutto l’Occidente e quella italiana, nello specifico, era ed è ancora attraversata da una serie di conflitti d’interesse in tutti i settori praticamente della nostra vita comunitaria. Sarebbe stato dunque impossibile per la sinistra storica battere Berlusconi sul terreno del grande conflitto d’interesse che il magnate incarnava, quando essa stessa inglobava al suo interno innumerevoli conflitti d’interesse. Un’autobiografia della nazione, parafrasando Gobetti, dagli anni ’80 in poi, quella di Berlusconi. Che infatti negli anni del vero potere politico e mediatico trovò filo da torcere e opposizione solo da alcuni giornalisti, da alcuni scrittori e intellettuali, una buona parte della stampa estera e una parte d’italiani che non si riconoscono nell’Italia cialtrona sopradescritta (è una minoranza, se vogliamo dircela anche questa senza ipocrisia).
Ma l’eredità politica che Silvio Berlusconi lascia è se possibile ancora più mefitica. Con il “suo” liberismo che non risponde più alle esigenze di una società azzoppata da anni di crisi internazionali, con la fine della globalizzazione, Berlusconi lascia un’Italia e un’Europa intera in cui la “normalizzazione” dei partiti della destra radicale, che hanno radici neofasciste, è definitiva fino al punto da diventare parte integrante del mainstream conservatore.
Quando nel 1993, ad una famosa conferenza all’interno di una Standa bolognese, sdoganò l’estrema destra italiana, la sua dichiarazione fece scalpore. Disse che come sindaco di Roma avrebbe preferito Fini a Rutelli (i due poi nel corso degli anni hanno quasi invertito i ruoli a destra e a sinistra, ma questa è un’altra storia). Trent’anni dopo, non solo la destra erede della tradizione post-fascista è al governo in Italia, ma è maggioranza o è comunque molto forte in quasi tutti i Paesi europei. Tant’è che la povera Europa ormai “morta politicamente”, schiacciata com’è stata geopoliticamente ed economicamente dalla dottrina americana che ha deciso di utilizzare la guerra in Ucraina per regolare la “competizione strategica” tra le superpotenze mondiali, nella povera Europa allo sbando dicevamo le forze nazionaliste di destra diventeranno maggioranza con i conservatori del Ppe dopo le Europee del 2024 e probabilmente da una posizione di forza.
Quando si parla di nazionalismo di destra si parla di concrete azioni politiche dai tratti illiberali, niente a che vedere con le stupidaggini di un ritorno al fascismo del Novecento, ma qualcosa se possibile di tremendamente più serio. In Italia, per esempio, si cerca di coprire il fallimento sulle politiche economiche togliendo il controllo ai poteri indipendenti dall’esecutivo, come quello della Corte dei Conti; oppure, per coprire il fallimento sulle politiche migratorie, i cui flussi irregolari aumentano a livelli esponenziali, si dichiara lo stato di emergenza, che può permettere alla premier e ai ministri di bypassare il Parlamento, di utilizzare poteri speciali per istituire centri di detenzione, di rimuovere protezioni speciali e diritti specifici. Il tutto nel silenzio quasi generale, come conseguenza di un sistema anche mediatico che appunto cincischia di ritorno al fascismo ma che in realtà liscia il pelo a colei che potrebbe essere la potenziale leader di un asse conservatore post-Merkel nella prossima politica europea, Meloni appunto.
In Spagna, nelle elezioni anticipate del prossimo mese, il partito di destra d’ispirazione franchista Vox potrebbe emergere conquistando addirittura un ruolo nel prossimo governo, sarebbe la prima volta dalla caduta di Franco. Nella Germania appena entrata in recessione, gli ultimi sondaggi danno Alternative für Deutschland al secondo posto, davanti ai socialdemocratici al governo. E pensare che quando all’inizio del millennio, il partito austriaco di Jörg Haider (FPÖ) aveva fatto commenti solidali con il regime nazista, l’indignazione fu generale e l’Ue impose sanzioni diplomatiche all’Austria. Oggi l’FPÖ guida i sondaggi di opinione in Austria e ha fatto parte della coalizione di governo nel 2017. Così come in Svezia, dove il partito dei democratici svedesi con radici neonaziste, è arrivato secondo nelle ultime elezioni e ha negoziato un accordo per sostenere il governo di destra.
Di Marine Le Pen in Francia e dell’autocrazia ungherese di Orbán sappiamo tutto. Poco si sa di quello che sta succedendo in Polonia, divenuta nel frattempo alleato-pilastro degli americani in funzione antirussa, e sul fatto che il governo di destra sta per istituire una commissione in teoria per indagare sulle influenze russe ma in pratica per controllare l’opposizione.
Se qualcuno non avesse capito a cosa avrebbero portato decenni di politiche europee di austerità e l’annullamento totale di qualunque autonomia strategica europea, se ne accorgerà definitivamente la prossima primavera. Quando i tecnocrati europei “alla Mario Draghi” diranno che sì, in fondo questi nazionalisti di destra non sono poi così male, e gli “eredi politici” di Berlusconi si accomoderanno con loro più che volentieri per dividersi le spoglie del defunto europeo.
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