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L’ombra del Mes sull’Italia
Con l’avvento al Governo del centrodestra a trazione meloniana, si presumeva – prima ancora di metterlo alla ‘vera’ prova – che la politica economica italiana intraprendesse un percorso diametralmente opposto e in controtendenza rispetto a quelli segnati dai predecessori, a loro volta in contrasto fra loro: si pensi agli esecutivi guidati da Giuseppe Conte e dal banchiere Mario Draghi.
Tralasciando, sin dal primo momento, l’evidente e innegabile continuità con quest’ultimo in materia di politica estera, lungi dal voler formulare un giudizio politico su tale aspetto, ciò che pare inaspettatamente collocarsi nella medesima direzione è anche l’atteggiamento verso le ricette economiche neoliberali dell’Unione europea. A questo proposito, rimbalza agli onori della cronaca il dilemma circa la ratifica del fondo denominato Meccanismo europeo di stabilità (c.d. MES), conosciuto – per logiche convenienti di marketing – come“Fondo salva Stati”. Esso corrisponde alla classica logica politico-finanziaria, oltre che rappresentarne un chiaro corollario, della fondazione dell’ordinamento euro-unitario incentrato sulle sole logiche di libero mercato, secondo cui sarebbe necessario che gli Stati nazionali non siano più i responsabili e i custodi delle politiche economiche (monetarie, di bilancio, di programmazione di investimenti), poiché suddetto potere di indirizzo è di competenza di organi sovranazionali, tecnici e spoliticizzati.
Il MES rappresenta uno strumento politico di dimensioni rilevantissime, dacché contiene al proprio interno meccanismi di condizionalità finanziaria tali da poter letteralmente eterodirigere vastissimi ambiti concernenti le scelte di politica economica dei singoli Stati membri, in special modo di quei paesi che versano già in condizioni finanziarie non rosee, tenendo in considerazione anzitutto l’entità del loro debito pubblico. In cambio della ratifica, l’attuale Governo pare stia temporeggiando, al fine di contrattare con i vertici UE alcune revisioni di altre misure in materia economica (si parla di una proposta di revisione del c.d. Patto di stabilità), le quali potrebbero definitivamente indurre l’esecutivo a cedere definitivamente sulla ratifica del “Fondo affonda Stati”. Tra gli altri benefici paventati, si evidenzia la possibilità per l’Italia di ottenere dei punteggi maggiormente favorevoli da parte delle agenzie di rating (organizzazioni interamente private con l’ufficio di stilare classifiche indicanti l’affidabilità dei singoli paesi per i mercati e i loro investimenti), il che è indice di come si cerchi oltremodo di emarginare completamente la politica dello stesso Governo e del Parlamento dalle sovrane decisioni in materia di politica economica. Di talché, lo scenario rischia di farsi sempre più preoccupante: il MES è l’imperdibile occasione per l’Unione europea di affidare in toto, attraverso un commissariamento,il controllo delle scelte politiche nazionali alle ordinarie dinamiche di mercato, mediante la vigile osservazione di agenzie private del tutto spoliticizzate e indipendenti da ogni forma di controllo pubblico.
In altri termini, la ratifica del MES costituisce una vera e propria spada di Damocle per gli Stati nazionali e, al contempo, rappresenterebbe la decisione per antonomasia contrastante anche con la più labile idea di sovranismo, da intendersi quale forma di autodeterminazione, per uno Stato, consistente nella predeterminazione di margini di scelta in merito alla propria politica economica, frutto del confronto Governo-Parlamento.
Sicché, è agevole prevedere come l’azione economica dell’attuale esecutivo finirà per collocarsi all’interno del solco tracciato dal precedente Governo presieduto dall’ex Presidente della BCE e che, in secondo luogo, essa si conformerà pienamente al diktat euro-unitario, rappresentato principalmente dall’erogazione di risorse in cambio di un pieno accoglimento da parte italiana del c.d. “mercato delle riforme” (l’espressione è impiegata da A. Somma), propugnato da Bruxelles e dai principali operatori economici del mercato, consistente in precise misure, tra le quali: il massimo contenimento della spesa pubblica a discapito dei sistemi di welfare; l’emarginazione del potere politico rispetto alle decisioni in materia finanziaria; l’inasprimento del meccanismo di libera concorrenza nel mercato, relegando i pubblici poteri a meri esecutori di volontà esterne al sistema parlamentare e rappresentativo (id est, alla democrazia).
In conclusione, all’interno della cornice politico-istituzionale maggioritaria si sta delineando un quadro sempre più chiaro e preoccupante, rappresentato da una una sostanziale unità di vedute per quanto inerisce alle scelte di politica economica e finanziaria (oltre che in materia di politica estera), riflettendosi in modo drastico sui diritti sociali fondamentali, mentre sembra che l’attenzione delle forze politiche in sede di dibattito parlamentare permanga esclusivamente sulla materia dei diritti civili e della riforma della giustizia, temi tuttavia che andrebbero ragionevolmente posposti – per la loro importanza – a quelli che, con decisioni cruciali, il nostro Governo si appresta a deliberare.
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