Quando si parla della valle di Susa, ormai la si identifica con il movimento No-Tav. Quando si parla del movimento – quasi sempre in chiave negativa sui media mainstream – se ne parla come di una massa informe, omologata, spersonalizzata. Se c’è, invece, una caratteristica saliente dell’ormai trentennale movimento valsusino, che si batte contro la realizzazione del tunnel per l’alta velocità, è quella di non essere affatto omogeneo. Al contrario, la forza di questa aggregazione è stata quelle di riuscire ad aggregare molte diversità, ciascuna con le sue istanze, le sue caratteristiche, i suoi metodi di azione. Basta partecipare ad alcune delle marce organizzate in valle, per vedere come si possano incontrare, sullo stesso cammino, giovani e anziani, cattolici e anarchici, persone di ceto diverso, uniti però da una profonda sensibilità ambientale. Un movimento è sempre fatto di persone, non è mai solo una massa, ma nel caso della val di Susa c’è sempre stata una grande apertura verso chi voleva aderire e collaborare. Non ci si è neppure chiusi nella retorica del luogo, non è necessario essere valsusini per partecipare alle attività del movimento, “valsusini si diventa”.
Una storia di persone, dunque ed è quella che ci racconta Voci narranti. Storie resistenti della val di Susa, curato da Mariella Bo e Marilena Cappellino (edizioni Intra Moenia). Una storia fatta di voci, di personalità, di vicende personali diverse, non appiattite sull’immagine del ribelle contro lo Stato.
Dodici storie, dodici voci diverse tra di loro, che hanno in comune la volontà di resistere, per difendere il loro territorio. Da queste voci emerge che “resistenza” non significa solo opporsi a un’azione per arrestarne le conseguenze, ma anche e soprattutto proporre nuove soluzioni, andare al di là della lettura omologata e imposta dall’alto dei fatti, per tentare di percorrere nuove strade.
Guardare avanti, senza dimenticare il passato, così emergono episodi che collegano l’attualità a vicende di altri tempi: Celerina, per esempio, riprende dalla memoria familiare un episodio accaduto nel 1940, in piena epoca fascista, per riallacciare la resistenza di sua madre con la sua di oggi. La val di Susa, peraltro, vanta una lunga tradizione di “resistenze”, dall’antifascismo, alla lotta partigiana, alle battaglie sindacali – non dimentichiamo che stiamo parlando di una valle che ha conosciuto l’industria già dalla fine dell’Ottocento.
Sono molte le vicende personali raccontate dai protagonisti, le loro esperienze lavorative, le scelte famigliari e i loro, spesso, diversi modi di partecipazione al movimento. Ci si è arrivati per strade diverse, partendo da punti diversi, ma una cosa accomuna la quasi totalità delle storie: la profonda indignazione dopo gli atti di violenza, in particolare quelli del dicembre 2005 a Venaus. «La molla che mi ha spinto ad avvicinarmi al movimento No TAV è partita principalmente dal modo violento con cui lo stato ci ha imposto l’alta velocità, con la polizia che viene a sgombrare il presidio a Venaus dove c’erano persone che semplicemente stavano lì a presidiare e sono stati manganellati a freddo – ricorda Ezio – Questo fa scattare la molla della ribellione. In una democrazia non si dovrebbe assolutamente verificare una cosa del genere. Quindi da lì sono partito, come si suol dire a testa bassa, convinto». Gli fa eco Celerina, quando dice: «è quando ho visto la casetta di Venaus, che ho pensato: “Noi non ci fermeremo mai”».
Sebbene l’immagine del movimento No-Tav venga spesso associato ad atti di violenza, in realtà si è spesso trattato di gesti di reazione a una violenza imposta, ma soprattutto nel movimento c’è una forte componente di non violenza, che risale alle esperienze di Achille Croce negli anni Settanta a Condove, a cui molti militanti si rifanno. Lo racconta bene Laura, quando parla della Repubblica della Maddalena: «L’esperienza in Clarea è stata un’esperienza unica, funzionava tutto così bene, sembrava di sognare là. Alla Repubblica della Maddalena, tanto vituperata, era davvero possibile riuscire ad andare d’accordo tutti quanti, senza bisogno di sparare o di ammazzarsi o di menarsi: ecco, lì è stata proprio la dimostrazione che la nonviolenza funziona e che il confronto tra le persone è fondamentale».
Una sorta di filo rosso sembra attraversare tutte e dodici le storie narrate ed è quello della percezione comune, che grazie all’impegno condiviso in questi anni, nella valle si è venuta a creare una vera comunità. Comunità è una parola trappola, vuole dire molte cose, ma non sempre ne definisce davvero le caratteristiche, ma se c’è un tratto comune a tutte le comunità è che si fondano sulle relazioni. La passione comune, l’impegno, la paura e la presenza di un nemico comune hanno spinto le persone a parlarsi, a scambiarsi idee, anche in modo duro a volte, ma soprattutto a parlarsi, a conoscersi individualmente e a stabilire dei legami. Legami che si sono allargati, dalla valle a molte altre parti d’Italia, grazie alla condivisione degli intenti. «È stato bello conoscere tutte queste realtà e vedere le persone che ci hanno aperto le porte di casa loro, così come facciamo noi con quelli che arrivano da altri paesi. Quando sono andata a Messina la prima sera ci ha ospitato una professoressa con la sua mamma già anziana; poi ci hanno trovato una camera e ci siamo rimasti una settimana» racconta Celerina.
Emerge anche il fatto importante, solitamente trascurato dai media, relativo alle nuove sensibilità nate in valle. La questione del treno ha spinto la gente a informarsi e ad allargare il proprio orizzonte di conoscenze. È nata così una nuova attenzione verso l’ambiente, verso il tema dei rifiuti, dell’acqua pubblica, ma non solo, come racconta Franco: «Ci siamo accorti che in Valle in questi anni sono cresciute tante altre sensibilità, ad esempio anche oggi quando molte persone appartenenti al movimento No TAV hanno contribuito ad affrontare il problema dell’immigrazione delle persone che passavano queste valli, su queste montagne d’inverno con la neve e non solo».
Un intreccio di racconti, memorie, aspirazioni che restituisce a una comunità troppo spesso demonizzata dagli organi di comunicazione, evocata solo quando avvengono degli scontri, senza quasi mai approfondirne le caratteristiche di fondo, le motivazioni. Dare voce alle persone, che pur appartenendo al movimento, rimangono individui con le loro personalità, le loro aspettative, questa è la chiave del libro e in questo sta la sua importanza.
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