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Didattica digitale: un disastro annunciato
Lettera aperta ai Dirigenti Scolastici e al Dirigente Generale del Dipartimento Istruzione e Cultura
Cari Dirigenti,
scrivo questa lettera aperta per conoscere la vostra posizione, e le vostre intenzioni, in merito alla digitalizzazione della didattica.
Con l’avvento della “buona scuola” di Matteo Renzi, dal Ministero in giù si sono iniziate a celebrare le potenzialità e le virtù della didattica digitale. Le scuole di ogni ordine e grado si sono dotate di registri elettronici, di tablet, di lavagne multimediali, e il digitale è divenuto la nuova frontiera dell’insegnamento.
Dal punto di vista scientifico la didattica digitale non solo deprime l’apprendimento, ma arreca anche gravi disturbi fisici, neurologici, cognitivi e comportamentali agli studenti. È quanto sostiene, nel suo libro “Il cretino digitale”, il neuro-scienziato francese Michel Desmurget: «per quel che riguarda l’uso ricreativo degli schermi, infatti, la scienza evidenzia una lunga lista di influenze deleterie, tanto per il bambino quanto per l’adolescente. Influenze che colpiscono tutti i capisaldi dello sviluppo, da quello somatico, ossia il corpo (con effetti, per esempio, sull’obesità o la maturazione cardiovascolare), fino a quello emotivo (per esempio l’aggressività o la depressione), passando per quello cognitivo, detto anche intellettuale (per esempio il linguaggio o la concentrazione). Le ripercussioni sono tantissime e influiscono anche sul rendimento scolastico. Sembrerebbe infatti che l’uso del digitale fatto in classe, con fini educativi, non sia più benefico degli altri. Le famose indagini internazionali PISA ce lo confermano con risultati a dir poco spaventosi». Qui Desmurget si riferisce a un’indagine condotta dai Paesi OCSE nel 2012. Nella quale, tra l’altro, si mostra come i Paesi membri che hanno investito di più nella didattica digitale sono quelli che hanno avuto i risultati scolastici più deludenti.
Così, mentre i giovani scontano gli effetti deleteri della sovra-esposizione a schermi a fini ricreativi, cosa fa la scuola? Digitalizza la didattica: in questo modo la sovra-esposizione a schermi viene promossa a iper-esposizione per mano della scuola stessa.
“Demenza digitale” è una locuzione coniata in Corea del Sud, il Paese all’avanguardia nella digitalizzazione della didattica. Ma è anche il nome di una patologia, e il titolo di un libro pubblicato del neuro-scienziato tedesco Manfred Spitzer, che dirige la Clinica Psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm. A chi non avesse tempo di leggerlo segnalo un documento di tre facciate, «Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento», un’indagine conoscitiva condotta dal Senato nel 2021. Ne riporto qualche estratto. «Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica… Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani. Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche. È quanto sostengono, ciascuno dal proprio punto di vista «scientifico», la maggior parte dei neurologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei pedagogisti, dei grafologi, degli esponenti delle Forze dell’ordine auditi. Un quadro oggettivamente allarmante, anche perché evidentemente destinato a peggiorare. […]Per quest’insieme di ragioni, non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani. […] Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri».
Dunque, le istituzioni sono perfettamente al corrente della gravità della situazione. Ma invece di correre ai ripari, invece di «incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria» come consiglia l’indagine appena citata, promuovono ed esaltano la didattica digitale.
A chi abbia conservato un minimo di autonomia di giudizio, questa situazione non può che apparire surreale. Ma è sufficiente andarsi a leggere il “Piano scuola 4.0” per rendersi conto di quanto sia reale l’avanzata della didattica digitale, e dunque ingente il danno che la scuola sta arrecando agli studenti. Un danno che il PNRR sta portando a livelli parossistici, proprio perché vincola le scuole a mettere in atto forme sempre più spinte di didattica digitale.
Il conflitto d’interessi legato alla didattica digitale è tanto palese quanto sottaciuto. Da una parte i profitti esorbitanti dei colossi del digitale. I quali, come è noto, perseguono i loro obiettivi infiltrando le istituzioni e comprandone i vertici. Dall’altra la missione della scuola, che è quella di mettere gli studenti nelle migliori condizioni per crescere culturalmente e intellettualmente. Per “saper leggere il libro del mondo”, come cantava Fabrizio De Andrè.
Gli interessi delle multinazionali dell’informatica confliggono con quelli dei giovani anche fuori dalla scuola. Basti pensare al fenomeno degli “hikikomori”, o ritirati sociali. Il termine, di origine giapponese, indica in genere adolescenti che hanno sviluppato una tale dipendenza da videogiochi, social media e internet che non escono più dalle loro stanze. Molti di loro arrivano persino ad abbandonare la scuola. Solamente in Italia sono stati accertati 120.000 casi. Il fenomeno è in crescita e, dietro a ciascuno di questi casi, c’è una famiglia in preda alla disperazione. Una famiglia lasciata sola dalle stesse istituzioni che, perseverando nel celebrare la digitalizzazione, riempiono di schermi persino le scuole, come se fuori non ce ne fossero già fin troppi. Tenendo presente che sul fenomeno “hikikomori” non c’è ad oggi una vigilanza attiva, e che in genere la vigilanza passiva rileva dall’uno al dieci per cento dei casi effettivi, ci si rende facilmente conto del fatto che si tratta di una piaga sociale di proporzioni spaventose. Centinaia di migliaia di giovani che stanno morendo dentro. Non dentro la loro stanza, dentro il loro animo. Perché un adolescente che non riesce più ad uscire dalla sua stanza, non è poi così diverso da un adolescente sepolto nella sua bara. Non sarebbe forse il caso che, almeno a scuola, gli schermi rimangano accesi solo per il tempo strettamente necessario?
Vi prego, cari Dirigenti, non sottraetevi alle vostre responsabilità rispondendo che siete tenuti a seguire le direttive ministeriali. Se lo faceste, data la gravità della situazione non sareste poi così diversi da quegli ufficiali che, eseguendo gli ordini senza discuterli, si sono resi complici di massacri e disastri. E, per favore, non rispondete che «occorre educare i giovani all’uso consapevole di questi strumenti». Chiamare “strumenti” i dispositivi digitali vuol dire, come minimo, non aver compreso la portata della problematica: «lo smartphone, ormai, non è più uno strumento, ma è diventato un’appendice del corpo» si legge nell’indagine sopra citata. E il fatto che la scuola promuova “l’uso consapevole” di qualcosa che ha le «stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche della cocaina» deve far riflettere. Così come, a livello locale, debbono far riflettere i numeri recentemente forniti dal dottor Stefano Calzolari, direttore dell’Unità operativa di neuropsichiatria infantile territoriale dell’APSS. Numeri che mostrano un incremento allarmante dei disturbi dell’apprendimento e dei disagi psicologico-sociali. Sarebbe senz’altro riduttivo imputare il dilagare dei disturbi segnalati da Calzolari solamente all’invasione di schermi cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio. Ma negare che l’abuso delle tecnologie digitali – fuori e dentro la scuola – stia contribuendo ad aggravare la situazione, vuol dire negare l’evidenza, cioè assumere il più antiscientifico degli atteggiamenti. «Oggi un docente non può ignorare i risultati scaturiti dalla scienza empirica e dagli studi teorici» ha recentemente affermato Paolo Pendenza, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi per il Trentino. E un Dirigente Scolastico, può ignorarli?
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