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Spagna: non basta Sumar
Domenica 23 luglio si sono svolte le elezioni generali in Spagna per il rinnovo del Congresso dei Deputati e del Senato. Si trattava di elezioni anticipate chiamate dal primo ministro Pedro Sanchez a seguito della sconfitta elettorale alle elezioni locali del 28 maggio scorso. I risultati hanno decretato una vittoria di misura del Partito Popolare di Alberto Feijóo con il 33% e 136 seggi sul Partito Socialista Operaio (PSOE) di Sanchez rimasto fermo al 31,7% e a 122 seggi. Terzo posto per Vox di Santiago Abascal con il 12,4% e 32 seggi e quarto per Sumar di Yolanda Diaz con il 12,3% e 30 seggi. In totale il blocco di destra totalizza 169 seggi (-7 dalla maggioranza) mentre quello di sinistra 153 e i partiti regionalisti stimati a 28.
Ma in politica le aspettative sono fondamentali e determinano la reazione pubblica ai risultati. La sera in cui i risultati venivano man mano annunciati a tutti è sembrato chiaro che il Partito Popolare fosse molto lontano dai 150 seggi che il leader Feijóo aveva segnato come obiettivo e che i sondaggi pronosticavano avrebbe agilmente superato. Il PSOE è riuscito ad accorciare le distanze e a raggiungere in termini di voto il suo miglior risultato dal 2008 grazie a una campagna elettorale di Pedro Sanchez quasi senza errori.
Le reazioni di PSOE, PP e VOX
È lui infatti il vero vincitore della serata e si nota dalla diretta televisiva. La piazza del PSOE a Madrid, dove poco prima si ballava a ritmo di Pedro di Raffaella Carrà, accoglie il presidente del governo con un boato e al grido di “No pasaran” festeggiano la non-vittoria della destra. Dalla piazza del PP invece il leader Feijóo ne esce umiliato: deve ribadire che a vincere sono stati loro [N.d.A. excusatio non petita… accusatio manifesta] e far finta di non sentire che il pubblico inneggia alla popolare presidente della comunità di Madrid Isabel Diaz Ayuso, presente sul palco.
La delusione è evidente anche nelle dichiarazioni del leader dell’estrema destra Santiago Abascal che sperava che il suo Vox potesse essere decisivo in un governo a guida popolare e che invece ora risulta ininfluente nella formazione del prossimo governo spagnolo. Nel suo discorso non può che ribadire il leitmotiv della sua campagna elettorale: Sanchez come alleato del comunismo, “indipendentismo golpista” e terrorismo contrapposto a lui, alfiere della “Grande Spagna”.
La sinistra: non basta sumar
Di tutt’altro umore le dichiarazioni rilasciate da Yolanda Diaz dal comitato di Sumar dove dietro di lei compaiono i volti noti della sua coalizione: Inigo Errejon di Mas Pais, Alberto Garzon di Izquierda Unida, Ione Belarra di Podemos e il coordinatore della sua campagna elettorale Ernesto Urtasan. La ministra del lavoro annuncia «abbiamo vinto». Un’analisi decisamente un po’ scarna che rispecchia il sollievo di una parte dell’elettorato spagnolo ma che sicuramente pecca di superficialità. Il risultato della sinistra merita infatti particolare attenzione.
Si tratta di una percentuale sotto le attese che apre molti interrogativi all’interno della formazione creata ad aprile di quest’anno dalla ministra Diaz. Il primo di tutti è stato sollevato stamattina da una dichiarazione video della ministra delle politiche sociali del governo Sanchez nonché leader di Podemos Ione Belarra. L’analisi di Belarra non lascia scampo ai fedelissimi di Diaz e va dritta al punto: Sumar rispetto ad Unidas Podemos nel 2019 ha perso 700.000 voti. Evidentemente unire i partiti della sinistra non è stato sufficiente ed è mancata la spinta propulsiva che commentatori e sondaggisti prevedevano potesse dare Yolanda Diaz.
Da Podemos, che potrà contare su 5 deputati eletti all’interno di Sumar (nella scorsa legislatura erano 23), arrivano avvertimenti chiari che hanno radici più profonde che affondano nel modo con cui la ministra Diaz ha scelto di formare le liste elettorali. Occorre fare qualche veloce passo indietro.
La successione a Iglesias
Nel 2019 il leader della coalizione che comprendeva Podemos e Izquierda Unida prendeva il nome di Unidas Podemos e a capo c’era Pablo Iglesias, diventato in quello stesso anno vicepresidente e ministro delle politiche sociali e agenda 2030. Sono anni difficili: Unidas Podemos, socio di minoranza del governo Sanchez, deve contrattare con il PSOE perché rispetti gli impegni di governo presi, deve difendersi dagli attacchi quotidiani della stampa e dei media televisivi e affrontare una pandemia dalle conseguenze sociali potenzialmente disastrose. Nel 2021 Iglesias decide allora di fare un passo indietro dal governo e lasciare il suo posto di vicepresidente a Yolanda Diaz, ministra del lavoro in quota Izquierda Unida.
È Yolanda Diaz quindi a subentrare ad Iglesias come leader della coalizione, ma i piani della ministra sono altri: creare un nuovo soggetto e riunire parte delle scissioni avvenute negli anni (da qui il nome Sumar, aggiungere). Facendo così Diaz ha volutamente scavalcato le strutture e gli organismi creati alacremente da Podemos nel corso degli anni. È stato fatto credere agli elettori di sinistra che fosse necessario un rebranding della sinistra, che Unidas Podemos non bastasse più. In realtà si voleva colpire la parte giudicata più radicale, quella di Iglesias, quella uscita vincitrice dal congresso di Vistalegre II del 2017.
Irene Montero e le liste elettorali
Il progetto di Sumar si concretizza a piccoli passi nel 2023 ma la chiamata anticipata alle urne scombussola i piani della sinistra e stravolge le carte. Le scadenze sono strette e Podemos, come ribadito da Iglesias su CanalRed, per senso di responsabilità nei confronti dei suoi iscritti negozia un accordo con Sumar tutt’altro che lusinghiero: 8 seggi in posti di eleggibilità e l’esclusione dalle liste di due pilastri del partito, la ministra dell’uguaglianza Irene Montero e il portavoce del gruppo parlamentare di UP Pablo Echenique.
L’accordo ha sancito la marginalizzazione di Podemos dal discorso pubblico. La strategia mediatica della sinistra è stata totalmente incentrata su Yolanda Diaz, il cui viso compariva nel simbolo di Sumar sulle schede elettorali. Podemos ha voluto invece ribadire le riforme avviate dal governo su impulso della loro formazione come la ley de vivienda e la ley trans.
Il cerchio si chiude
Come in un cerchio che si chiude torniamo a parlare del fatidico 23 luglio.
Il voto di domenica ha evidenziato come una parte del paese desideri che si continui sulla strada di queste riforme eppure a beneficiarne è stato quasi unicamente Sanchez, in una posizione più forte che mai, che oscura gli alleati di sinistra e i detrattori all’interno del partito.
Se nella storica Andalusia rossa il PSOE perde 4 seggi, è la Catalogna la vera sorpresa di questa tornata. La prima forza della regione è proprio il PSOE con 19 seggi (+7 dal 2019) che ha ottenuto più voti degli indipendentisti di sinistra e di destra messi insieme, cioè Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), Candidatura d’Unitat Popular (CUP) e Junts per Catalunya. Complice della débâcle per i separatisti un’affluenza in calo nella regione e il voto utile: avendo perso fiducia per l’indipendenza molti elettori a favore potrebbero aver votato turandosi il naso per il PSOE che è sicuramente più aperto al dialogo della destra fortemente avversa alle autonomie locali.
Nonostante questo risultato mediocre sarà proprio il partito di Carles Puigdemont, Junts, a decidere le sorti di Pedro Sanchez, dato che ERC e i baschi di EH Bildu si sono detti già a favore di un governo di sinistra dopo aver sostenuto già nel 2019 l’investitura di Sanchez con l’astensione. La leader di Junts Miriam Nogueras nel suo discorso post-elezioni ha chiaramente detto che non concederà i suoi voti a Pedro Sanchez senza chiedere qualcosa in cambio.
Il possibile ruolo di Sumar
Sumar oggi si è offerto di porsi come interlocutore con i partiti indipendentisti con il preciso obiettivo di riguadagnare centralità all’interno del dibattito politico. È Jaume Asens, ex deputato di En Comù Podem (costola catalana di UP) a guidare la negoziazione. Ma la questione è tutt’altro che facile e in mezzo ci potrebbero essere tre temi spinosi: le tasse, l’amnistia per i leader “in esilio” come Puigdemont e concedere alla Generalitat catalana di organizzare un referendum sull’indipendenza della regione. L’ultima opzione è già stata bollata dall’ex presidente socialista e protagonista di questa campagna elettorale Josè Luis Rodriguez Zapatero come “incostituzionale”.
Se il nuovo problema di Pedro Sanchez è Junts come scrive Neus Tomas su El Diario è anche vero che il problema di Junts è Pedro Sanchez. Il presidente infatti per quanto lo abbia escluso nella riunione esecutiva del PSOE ha un’arma molto potente: indire nuove elezioni. Da fonti vicine a Junts è chiaro che nel partito una ripetizione elettorale genera molti malumori. Gli indipendentisti non avrebbero tempo di riorganizzarsi e potrebbero andare ancora peggio di quanto è accaduto a questa tornata. Lo scontro tra proposte radicali e realtà sarà una costante delle consultazioni che seguiranno nei prossimi giorni.
La destra all’angolo invoca le larghe intese
Senza alleati possibili di rilievo tra i partiti regionalisti il PP punta tutto su un’alleanza con il PSOE. D’altronde i popolari hanno condotto una campagna elettorale molto confusa: da un lato invocando un governo di larghe intese che superasse la forte polarizzazione del paese e dall’altro alleandosi con Vox nelle comunità locali.
Il risultato di questa strategia è stato palesemente fallimentare ma ora anche una certa parte di stampa come la famosa Ana Rosa Quintana di Telecinco suggerisce che a governare sia il primo partito con il sostegno del secondo affinché si formi un governo che rappresenti entrambi i partiti e quindi una grossa fetta del paese. Un richiamo all’unità nazionale che arriva in un momento storico in cui il PSOE difficilmente cambierà la strategia che lo ha portato ad un risultato così lusinghiero.
Il futuro della Spagna
Nelle mani di Junts ma anche in quelle di Sanchez c’è il futuro della Spagna. Quanto sarà disposto ad arretrare il leader socialista per mantenere il posto alla Moncloa? Quanto pretenderà Junts? Conviene a Pedro Sanchez scommettere un’altra volta sulle elezioni anticipate? Che ruolo riuscirà a ritagliarsi Sumar in queste consultazioni? E Podemos? Difficile rispondere, ma i giochi sono appena all’inizio.
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