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Elezioni in Spagna: nuovo flop dei sondaggisti e nessuna maggioranza politica
Volendo esordire con una battuta, non sembra che ultimamente i sondaggisti riscuotano grandi successi con le loro previsioni elettorali, e non solo nel bel paese. Domenica 23 luglio si è votato in Spagna per il rinnovo del Congresso dei deputati e del Senato, i due rami del parlamento di Madrid (le Cortes), e mentre la maggior parte delle rilevazioni demoscopiche pronosticavano la vittoria al blocco conservatore, capeggiato dal partito popolare di Alberto Núñez Feijóo e dalla destra liberista di Vox di Santiago Abascal, le cose sono andate diversamente.
Quel che emerge è un risultato, oramai definitivo, in base al quale nessuna delle forze in campo consegue la maggioranza assoluta. Il cerchio si è chiuso col voto dei residenti all’estero, in base al quale i popolari hanno guadagnato un ulteriore seggio, portando i numeri a 137 seggi contro i 121 dei socialisti, ma resta il fatto che nessuno due maggiori partiti, con gli eventuali alleati, sarebbe in grado di arrivare alla fatidica quota di 176, maggioranza assoluta dei 350 membri del Congresso. Più o meno le stesse le proporzioni si profilano al Senato, dove i 208 seggi saranno spartiti tra popolari (circa 120), socialisti (una settantina) e il residuo tra i catalani e il partito nazionalista basco.
Ricordiamo che quelle del 23 luglio sono state consultazioni anticipate, rispetto alla scadenza naturale del prossimo dicembre. La chiamate alle urne per la prima volta in piena estate è stata voluta dal presidente del governo uscente, il socialista Pedro Sanchez, desideroso di frenare l’emorragia di consensi del suo partito, palesatasi in occasione delle elezioni locali di maggio, quando il PSOE registrò un calo del 6 per cento. Inoltre, il centro sinistra si proponeva di contrastare l’avanzata delle destre, dando vita a una forte mobilitazione popolare per impedire il ritorno al governo di una forza politica, Vox, considerata di estrema destra, la prima della Spagna post-franchista a poter aspirare a ruoli di governo.
Preoccupazioni per l’esito del voto spagnolo erano state espresse anche a Bruxelles, dove si temeva, specie in vista dell’appuntamento delle europee del 2024, l’insediamento di nuovo governo sovranista e antieuropeista, dopo le recenti consultazioni in Grecia, Svezia, Finlandia e Italia, ammesso e non concesso di voler leggere in questi termini la vittoria di Giorgia Meloni…
In effetti, i risultati del centro sinistra sono stati molto migliori delle aspettative. I socialisti hanno guadagnato due seggi rispetto alla precedente legislatura, mentre i radicali di Sumar di Yolanda Diaz, quelli che hanno “assorbito” Podemos (che però già rivendica posizioni nel futuro esecutivo), hanno guadagnato una trentina di seggi, rispetto ai 172 delle destre (a condizione di ottenere l’appoggio del blocco Coalizione delle Isole Canarie e del partito basco UPN), contro i 171 del centrosinistra unito ai partiti regionalisti. I restanti deputati sono andati appannaggio dei partiti regionalisti e autonomisti, come gli indipendentisti baschi e catalani.
Il problema è che con questi numeri, come dicevamo nessuno arriverebbe alla maggioranza assoluta. E se già non era per nulla scontata un’alleanza tra sinistre e autonomisti, le prime parole di Jordi Turull, leader degli indipendentisti catalani, che ha dichiarato la fedeltà ai propri programmi e di non avere nessuna intenzione di salvare la Spagna o Sanchez, assieme alla notizia circolata a poche ore dal voto del mandato di arresto richiesto dal procuratore della Corte suprema spagnola contro alcuni indipendentisti catalani, come l’ex governatore Carles Puigdemont, sembrava porre la pietra tombale rispetto a questo scenario. Il tutto senza contare che lo stesso Puigdemont ha recentemente ribadito che per i catalani socialisti e popolari vanno messi sullo stesso piano, dal che si potrebbe desumere che l’appoggio (e/o la benevola astensione) dei sette indipendentisti catalani non sarebbe garantito a nessuno dei due maggiori partiti.
Del resto, ipotizzare una coalizione tra le destre e gli autonomisti sarebbe ostico, non foss’altro perché Vox è un partito non solo fedele a una linea fortemente liberista in politica economica, ma soprattutto nettamente contrario a qualunque concessione alle istanze autonomiste. Per dirla tutta, Vox propenderebbe, casomai, per una netta contrazione (se non abolizione) degli spazi autonomistici esistenti; basti ricordare che nel corso della campagna elettorale erano circolati dei manifesti della stessa Vox nei quali si vedeva la estelada, il vessillo degli indipendentisti catalani, che finiva nel cestino. La stessa forza politica si è più volte espressa contro nuovi flussi migratori irregolari, a presidio dell’identità e della sicurezza del popolo spagnolo.
A questo punto, l’unica alternativa al ritorno alle urne potrebbe arrivare da una grande coalizione tra popolari e socialisti, opzione al momento decisamente improbabile.
Un dato significativo arriva dalla partecipazione al voto, che è stata di tutto rispetto, sfiorando il 70 per cento, in crescita rispetto alle consultazioni del 2019: sono stati circa 25 milioni di spagnoli (sugli oltre 37 aventi diritto) che si sono recati alle urne nonostante il caldo afoso di fine luglio. In tal senso, la Spagna si colloca in controtendenza rispetto al crescente fenomeno dell’astensionismo, che ha interessato molte nazioni europee, tra le quali l’Italia, dove alle politiche dello scorso 25 settembre votarono meno del 64 per cento degli aventi diritto (con un calo di circa il 9 rispetto alla precedente tornata), senza contare il forte calo di partecipazione registrato nelle più recenti consultazioni regionali e locali nostrane.
L’altro dato che salta all’occhio è l’intento dell’elettorato spagnolo di penalizzare la destra di Vox, che perde circa venti seggi alla Camera, penalizzando così indirettamente il partito popolare, che contava sul suo apporto per raggiungere la maggioranza e dare vita a un programma di governo incentrato sulla riduzione delle imposte sui redditi e su una serie di strette in materia di eutanasia e aborto; ricordiamo che l’interruzione di gravidanza è oggi consentita alle spagnole dai 16 anni in su, anche senza il consenso dei genitori, misura fortemente contestate dalla destra, al pari di quelle in favore delle persone transessuali, varate sempre dal governo Sanchez.
Tra i meriti rivendicati dall’esecutivo di centro sinistra uscente una serie di provvedimenti volti a rilanciare la crescita e i consumi, come quelli in favore dei trasporti pubblici, con abbonamenti a costi ridotti, e le misure contro il caro vita, con l’annuncio la scorsa primavera dell’azzeramento dell’IVA sui generi di prima necessità, benefit per giovani e pensionati e l’innalzamento a 1.080 euro (rispetto ai mille attuali) del salario minimo, politiche finanziate con nuove imposizioni fiscali a carico di banche, compagnie energetiche e grandi patrimoni.
A prescindere dall’orientamento politico, le politiche economiche dell’esecutivo Sanchez sembrano aver dato alcuni risultati importanti, come il contenimento delle bollette, il calo della disoccupazione (anche giovanile) e la crescita del PIL; in tal senso, i risultati elettorali, in controtendenza rispetto ai sondaggi, potrebbero essere interpretati come un giudizio positivo degli spagnoli, che non hanno voluto esprimere un certo gradimento per il governo uscente, rispetto alla linea liberista sposata dalle destre.
Ora, a prescindere dalla battuta iniziale, che speriamo ci verrà perdonata circa il lavoro per nulla facile dei sondaggisti, il presunto vento di destra non sembra esserci stato, non in Spagna perlomeno.
Si potrebbe con ciò ipotizzare che lo spostamento degli umori e dei flussi dell’elettorato sia motivato molto più da questioni concrete – tasse, lavoro, costo della vita, servizi – che da presunte battaglie ideologiche, che in alcuni casi (non sempre per carità) potrebbero aver fatto il loro tempo. La stessa partecipazione al voto, ulteriore dato in controtendenza rispetto a molte nazioni europee, potrebbe prestarsi a questa lettura.
La Spagna nel frattempo ha assunto, già a partire dal primo luglio, la presidenza di turno della UE. Resta ora da vedere se ci sarà a Madrid un capo del governo in carica e nel pieno delle sue funzioni, e se questa persona sarà in grado di influire su politiche che spesso, a prescindere dalla famiglia politica di appartenenza, sembrano creare molta di quella disaffezione al voto, che si traduce in astensionismo e/o in un (inutile) voto di protesta.
Nelle prossime settimane sarà inaugurata la nuova legislatura, dopodiché il re Filippo VI avvierà un giro di consultazioni, preliminare all’affidamento dell’incarico esplorativo di presidente del nuovo Governo: solo alla fine di questa fase politica si vedrà se ci sarà una maggioranza di governo o se gli spagnoli dovranno, presumibilmente tra fine anno e gennaio 2024, tornare alle urne.
FONTI
www.money.it/Sondaggi-politici-Italia-sono-attendibili-flop-dubbi
www.agi.it/estero/news/2023-07-24/elezioni-spagna-nessuna-maggioranza-scenari-voto-22360263/
it.insideover.com/politica/il-voto-su-sanchez-il-peso-di-vox-e-lombra-del-caos-guida-alle-elezioni-in-spagna.html
www.lafionda.org/2023/07/19/elezioni-in-spagna-hanno-perso-loro-abbiamo-vinto-noi/
www.abc.es/espana/podemos-garantiza-disciplina-voto-reclama-ministerio-futuro-20230802040322-nt.html
www.ispionline.it/it/pubblicazione/elezioni-in-spagna-verso-unestate-caliente-130216
www.micromega.net/elezioni-in-spagna-non-soffia-alcun-vento-di-destra/
www.ilriformista.it/spagna-sanchez-alla-prova-dei-numeri-il-dialogo-con-gli-indipendentisti-catalani-per-evitare-le-elezioni-a-gennaio-373046/
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