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Nel vuoto del tempo. La crisi della coscienza europea negli anni Venti e Trenta del Novecento
Mario Pezzella
Editore: Rogas
Era il Novecento: tra i molteplici drammi occorsi, gas asfissianti, carri armati, bombardamenti aerei, baionette contro mitragliatrici.
Un’inaudita carneficina.
Dove si celavano i sognatori d’un mondo di uguali, senza sfruttamento, senza violenza dell’uomo sull’uomo?
Erano nel “vuoto del tempo”: “Un vuoto di tempo (zeitlücke) è quando le sue dimensioni tacciono…Il presente è l’incrocio nell’attimo di vibrazioni in senso quasi musicale che sempre più indistintamente si prorogano dal passato e verso il futuro; vibrazioni in senso quasi musicale, come in un diapason, il cui suono si dilata e si attenua lentamente, prima di spegnersi, intreccio del suono appena udito e attesa di quel che è per venire.”
E così, il presente è una puntuale precisione in cui sussultano, riecheggiano, sono al tempo stesso presenti due dimensioni: passato e futuro.
Gli anni Venti e Trenta del Novecento europeo mettono in crisi la coscienza in un tempo che si fa ammutolito, assiderato, abbagliato dal presente, frastornato e sequestrato da esso stesso.
Dalla coscienza umana affiorerebbe l’esperienza conosciuta come “il trascorrere del tempo”, che contraddistingue i fenomeni ed i cambiamenti materiali nonchè spaziali dell’esperienza.
Molto di ciò che concerne la “percezione del tempo” pare, ergo, discendere dalla mente: il passato è un ricordo, originato dalla memoria del vissuto, il presente una comprensione, una lettura del reale adottata al momento della percezione, il futuro una previsione, una proiezione dei costrutti intellettuali.
Eppure, c’è stato un tempo privo dello sguardo voltato verso il passato e spoglio dell’immaginazione del futuro.
Un tempo senza frequenza, senza scansione.
Come può riuscire l’Uomo in assenza di passato ed in assenza di futuro a decodificare il presente nella sua realtà?
Egli non ne è capace: ha smarrito la disposizione ad esaminare il tempo ed a pilotarlo verso la propria ubicazione nel mondo.
Egli non ne è capace: ha disperso la profondità del suo specifico ruolo storico e della sua individuale funzione sociale.
Egli, di fronte alle trincee, alla fame, alla morte, alle privazioni materiali e spirituali è annichilito: nessun progetto, nessun disegno, nessuna intenzione, nessun futuro.
La scenografia la compongono i totalitarismi nazi-fascisti.
La mente umana al cospetto del terrore può smarcarsi da ciò che invade i suoi occhi?
Paul Celan, Thomas Mann, Krakauer, Walter Benjamin, Céline, René Char, e Aleksandr Sokurov pongono il fascismo come stato d’animo, un insieme di sentimenti ed emozioni, provate, in special modo, dalla borghesia, afasica.
In “Strada a senso unico” Walter Benjamin, narrando della Repubblica di Weimar, richiama proprio la crisi coscienza, che, depauperata della capacità di riflessione critica sugli eventi storici, piomba nell’assurdità fino alla bestialità più turpe.
Il tempo si blinda al presente: nessuna prospettiva, nessun panorama e, conseguentemente, deficienza di storicità e di storicismo.
Un tempo sospeso.
L’azione è bloccata, irrigidita.
La reazione è pressoché assente.
Mutazione antropologica irreversibile?
Malattia della mente: dismissione del Vero, rimozione del Bello, cancellazione del Reale.
I capi diventano divinità scese in Terra, le idee puzzano di semplicismo: “Disperata ebbrezza immaginaria”
Oggi, proprio ora, nel presente che stiamo vivendo, quell’inquietudine riemerge?
Mario Pezzella trova un tratto affine: il silenzio assordante della coscienza, l’incapacità, forse cercata, voluta strenuamente, a rimanere di ghiaccio pensando, pur fugacemente, con il ventre sazio ed appagato agli ultimi della fila!
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