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Per Emanuela: è tempo di un’archeologia del silenzio


10 Ago , 2023|
| 2023 | Visioni

“Archeologia del silenzio” è una formula che Michel Foucault utilizza nella sua Storia della Follia. Ne riassume l’itinerario intellettuale e, soprattutto, etico. Dinanzi allo strapotere della Ragione che ha tacitato la voce della follia, si tratta di indagare la violenza del gesto che zittisce, esclude. Non ha un’esclusiva valenza conoscitiva, ma anche etica: è solo a partire da questa indagine che è possibile rilevare le tracce di chi è stato dimenticato, oppresso. Il silenzio, dunque, come traccia del rimosso, apertura, fessura da cui far entrare la luce e udire la voce dei vinti.

Di un’archeologia del silenzio c’è sempre più bisogno nei riguardi del caso di Emanuela Orlandi. Il recente audio di Marcello Neroni, con le sue pesanti accuse a Papa Wojtyla, e la testimonianza di un’amica di Emanuela, all’interno della serie Netflix The Vatican Girl, che riferisce di avances nei confronti di Emanuela da parte di un prelato, hanno dato nuova linfa mediatica all’oscura vicenda e alla cosiddetta ‘pista sessuale’. Tuttavia, malgrado la perpetua risonanza nazionale e internazionale, questi quarant’anni sono stati costellati di gesti tesi a tacitare ogni possibile conseguimento della verità.

“Strategia del silenzio” è una formula che il compianto Andrea Purgatori utilizzava per descrivere l’atteggiamento del Vaticano nei confronti della sparizione di Emanuela[1]. Anche il magistrato Giancarlo Capaldo, il quale ha lavorato a lungo al caso, ha affermato: ‹‹La difficoltà di pervenire a una soluzione giudiziaria è stata favorita dalla mancanza di collaborazione delle autorità vaticane››[2]. Questo agire con il silenziatore non ha impedito però un fenomeno carsico lento e inesorabile, che ha visto sempre più cittadini comuni, nel corso degli anni, interessarsi e sostenere la famiglia Orlandi, il “branco”, nella propria ricerca di verità e giustizia. L’interesse non deriva soltanto da una spontanea partecipazione emotiva ad un dramma inspiegabile, dinanzi a cui è difficile essere indifferenti, ma dal presentimento che ci sia qualcosa in questa enigmatica storia che riguarda tutti noi: un certo modo spietato, da parte di poteri occulti, di trattare la vita delle persone e, come hanno insegnato questi quarant’anni, una tendenza da parte di altri poteri, ben più manifesti, a frenare una sacrosanta ricerca di verità.

Da una parte, dunque, una complicità nefasta, una gelida indifferenza nei confronti di ciò che per la religione cristiana è il sacro per eccellenza: l’essere umano – il prossimo – nella sua singolarità irripetibile; dall’altra, invece, un probabile coacervo di poteri di varia natura, con origine, posizione geografica e rapporti reciproci piuttosto opachi. Trovare la verità sul caso Orlandi significa probabilmente gettare luce su un intero spaccato di storia dell’ultimo secolo appena trascorso: sdoganare verità scomode, scandalose.

Non stupisce allora che sia improvvisamente comparsa una “nuova” pista, quella di un presunto “giallo” familiare: su vari canali, stampati e non, sono state rivelate le avances subite da Natalina Orlandi da parte di suo zio Mario Meneguzzi, adombrando in maniera nemmeno troppo velata l’ipotesi di un delitto familiare. Venduta subito come nuova promettente pista investigativa, appare invece a chi conosce la vicenda come un’ipotesi piuttosto grottesca. Non solo quel giorno, il 22 giugno 1983, Mario Meneguzzi era fuori Roma, ma ci si chiede: in che modo questa vicenda può riguardare la scomparsa di Emanuela? Solo ammettendo in malafede e in assenza di prove che: 1) Mario Meneguzzi era solito “attenzionare” ragazze molto più giovani e non prendeva bene eventuali rifiuti e, quindi, è probabile che anche Emanuela fosse stata attenzionata; 2) Meneguzzi, non si sa bene come, sarebbe riuscito a nascondere per decenni la cosa a tutti: a ben due inchieste italiane, ai servizi segreti, ai giornalisti di inchiesta, e last but no least – alla famiglia.

È evidente che prima di lanciare scoop di tale portata e chiamare in causa persone morte, che ormai non possono più difendersi, è necessario avere quantomeno degli indizi su ogni punto necessario a suffragare la propria tesi. Il sospetto, a udire tali notizie, è che ci sia una regia che voglia derubricare la vicenda Orlandi a mero fatto di cronaca. Ma è evidente che non si tratta di semplice “cronaca”, non lo è mai stata. Sembra possibile leggere in questo senso anche i rallentamenti per la formazione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul caso in questione.

Se finora, però, ci siamo mossi nell’ambito del possibile e del probabile, la sopra menzionata archeologia del silenzio deve partire da fatti. Se è vero, purtroppo, che in questa triste vicenda si hanno tanti indizi e tante piste, ma nessuna prova cogente; è altresì vero che ci sono oggettivi atti di ostilità nei confronti della ricerca della verità.

Di seguito si enuncia una bozza, appena un indice, dei compiti per la futura Commissione Parlamentare. Ed è forse su questo che i veri giornalisti d’inchiesta dovrebbero battersi, più che rifarsi a fantasiose ipotesi.

  1. Si sono dovuti aspettare quarant’anni perché in Vaticano si aprisse un’inchiesta su una propria cittadina scomparsa, malgrado, già a partire dal 3 luglio 1983, Giovanni Paolo II lanciasse appelli per la liberazione di Emanuela. È davvero sufficiente motivare l’omissione affermando che, poiché scomparsa sul suolo italiano, era compito della magistratura italiana indagare sulla vicenda?[3] Perché negare, inoltre, le varie rogatorie internazionali che sono state intraprese negli anni a sostegno delle indagini sul caso Orlandi?
  2. L’avv.ssa Laura Sgrò riferisce che in Vaticano si afferma l’inesistenza di un fascicolo su Emanuela Orlandi. Tuttavia, dalle intercettazioni di Raoul Bonarelli nel 1993, all’epoca vicecapo della gendarmeria vaticana, risulta che a quest’ultimo fu intimato da Camillo Cibin di negare qualsivoglia attività di indagine sulla vicenda Orlandi in sede di interrogatorio[4]. Perché doverlo ordinare, se semplicemente non è mai esistito alcun fascicolo, alcuna indagine? Inoltre, l’avv.ssa Sgrò riporta un incontro con padre Georg, il segretario di Papa Ratzinger, in cui quest’ultimo gli avrebbe rivelato l’esistenza di un fascicolo in Vaticano sul caso Orlandi, tesi poi misteriosamente ritrattata dall’arcivescovo nell’ambito di anticipazioni del suo ultimo libro Nient’altro che la Verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI[5]. In aggiunta,Paolo Gabriele, aiutante di camera di Benedetto XVI, ha dichiarato in colloquio con Gianluigi Nuzzi di aver visto in Vaticano il rapporto su Emanuela Orlandi[6].
  3. Sono le ore 20 del 22 giugno 1983. Emanuela sarebbe stata rapita da poco. Giunge in Vaticano una telefonata per il segretario Panciroli. Si tratterebbe dei rapitori che chiedono un riscatto per Emanuela. Questo episodio è stato rivelato all’avv.ssa Laura Sgrò solo nel 2018 da Mons. Viganò. La Sgrò ne chiede conto in Vaticano. Dei presenti all’epoca, nessuno ricorda[7]. Come mai?
  4. Andrea Purgatori ha raccolto la testimonianza di una donna che lavorava nella Segreteria Stampa del Vaticano. Lei riferisce di aver risposto ad una telefonata da parte dei rapitori e di aver appuntato quanto riferito per poi consegnarlo a mons. Panciroli. Panciroli le telefona la sera tardi e le intima di dimenticarsi della telefonata dei rapitori e di quanto ha udito[8]. Perché?
  5. Lo stesso Andrea Purgatori, che per primo ha argomentato sull’implausibilità della pista internazionale, ha riferito di essere stato allontanato dal caso Orlandi a seguito dell’arrivo nella redazione del Corriere della Sera di una lettera con le chiavi incrociate di San Pietro[9]. Perché?
  6. Il giorno 17 luglio 1983 viene fatta ritrovare dai presunti rapitori una cassetta audio in cui Ercole Orlandi riconosce la voce di Emanuela. Il Sismi analizza la cassetta e sentenzia che si tratta di spezzoni di un film a luci rosse. Tuttavia, dopo anni, Pietro Orlandi scova documenti sempre del Sismi dai quali si evince che la voce femminile dell’audio era proprio quella di Emanuela[10]. Qualcuno ha mentito? Perché?
  7. Il 15 luglio 1985 il pentito Massimo Speranza, ex membro della banda della Magliana, afferma di conoscere la sorte di Emanuela e di poter fornire anche prove al riguardo. Tuttavia, in quegli anni è in voga la pista internazionale e nessuno prende sul serio le sue dichiarazioni. Il magistrato Otello Lupacchini commenta al riguardo: “significa che la situazione era allora mantenuta particolarmente riservata, stante l’enormità del caso e dei personaggi implicati”[11].  Perché?
  8. Monsignor Miserachs era uno degli insegnanti di Emanuela, l’ultimo di costoro ad averla vista. In una puntata di Quarto Grado ha rivelato che nel corso degli anni non è stato interrogato da nessuno. Questo accadde solo nel 2012 grazie alla volontà di Papa Ratzinger di approfondire la questione[12]. La convocazione avveniva dieci giorni prima dell’apertura della tomba di De Pedis in Sant’Apollinare. Perché così tardi?
  9. Nel 2009, a seguito delle rivelazioni di Sabrina Minardi, Sergio Virtù, sodale di De Pedis, racconta alla fidanzata in una telefonata intercettata di essere preoccupato per il suo coinvolgimento nella vicenda Orlandi. In seguito, negherà di aver mai proferito tali parole, affermando che sia stata un’altra persona[13]. Perché nessuna perizia ha comparato la voce al telefono con quella di Virtù?
  10. Tra il 2011 e il 2012 Capaldo racconta di aver avuto due incontri con due emissari vaticani per giungere ad una sorta di “trattativa”: in cambio della restituzione del corpo di Emanuela, costoro avrebbero richiesto lo spostamento della salma di De Pedis dai sotterranei della basilica di Sant’Apollinare. Tuttavia, in seguito, la trattativa si blocca. Capaldo non è mai stato del tutto chiaro al riguardo, ma ha anche affermato che avrebbe dato informazioni più dettagliate nelle sedi preposte[14]. Se confermata, questa notizia sarebbe di una gravità inaudita, perché certificherebbe che in Vaticano c’è qualcuno che sa e che ha nascosto le proprie informazioni per anni. Perché?
  11. Nell’aprile 2023 Capaldo e Pinotti hanno rinvenuto un documento che proverebbe il passaggio e la permanenza della Orlandi a Londra. Si tratta di una lettera datata 6 febbraio 1993, in cui l’arcivescovo di Canterbury George Carey si rivolge al cardinale Poletti chiedendogli di poter discutere della “situazione di Emanuela Orlandi”[15]. Ad oggi, l’arcivescovo ha ottantasette anni. Perché non cercare di interrogarlo subito su quanto emerso?
  12. Il Vaticano considera false e ridicole le carte emerse nell’ambito di Vatileaks, all’interno delle quali sono presenti dei documenti riguardanti i costi del mantenimento della Orlandi a Londra. Tuttavia, se falsi e ridicoli, perché mai sono stati conservati in una cassaforte della Prefettura degli affari economici? A questo quesito più volte posto da Pietro Orlandi il Vaticano non ha risposto.
  13. Il cardinale Becciu ha dichiarato nel 2017 che il caso Orlandi fosse definitivamente chiuso. La replica della madre, Maria Pezzano Orlandi, non si fa attendere sul Corriere della Sera. In base a quanto sommamente elencato finora, in mezzo a tutti questi quesiti ancora irrisolti, come fare a sostenere che il caso possa essere chiuso? Perché dichiarare una cosa del genere?

Data la mole di atteggiamenti ostili alla ricerca della verità, sembra evidente a chi scrive che ci siano dei segreti da difendere. Sul silenzio del Vaticano Ferruccio Pinotti afferma:

Il Vaticano avrebbe potuto benissimo deviare le responsabilità attribuite ai suoi massimi vertici per il caso Orlandi, inventando una versione di comodo e scaricandole su qualche prelato di seconda fila, magari defunto e che, come tale, non avrebbe potuto difendersi. Eppure non lo ha fatto. Il sospetto è che l’imbarazzo del Vaticano derivi dalla consapevolezza della caratura del personaggio implicato nella vicenda; una quarantennale chiusura a riccio che non si spiega altrimenti.[16]

Anche l’avv.ssa Laura Sgrò è della medesima opinione:

Nel 2012, quando si è riaperto quel vespaio, siccome qualcuno era già morto bastava che facessero trovare una letterina che diceva “sono stato io, ahimè”. Tuttavia non l’hanno mai fatto. Il problema è che è meglio che stiano zitti anziché rischiare di essere smentiti. Poi un altro problema è che, secondo me, le prove delle telefonate che avvenivano con il codice 158 ci sono e quindi è meglio stare zitti. Se non era lui (il Papa) a essere coinvolto direttamente, era comunque qualcuno di molto vicino.[17]

Pietro Orlandi conferma: ‹‹Emanuela è stata usata per creare l’oggetto di un ricatto. Quello più grosso. Un ricatto che poteva colpire qualcuno di veramente importante. È questo il motivo per cui dopo quarant’anni, quello che è successo ancora non lo sappiamo e c’è qualcuno che da quarant’anni fa di tutto per impedire che quella verità possa uscire fuori››[18].

Il prezzo del silenzio sembra essere quello di un segreto inconfessabile. La volontà di Papa Francesco di aprire per la prima volta un’inchiesta in Vaticano sul caso è sicuramente da encomiare e da monitorare con molta attenzione. Tuttavia, dati i precedenti, le molteplici piste e gli attori coinvolti nella vicenda, la verità sul caso Orlandi potrebbe suscitare uno scandalo internazionale pari solo a quello che in passato ha avuto l’affare Dreyfus. Non sarà per nulla facile farla emergere. All’epoca, però, c’erano i Zola, una cospicua mole di intellettuali a sostenere la ricerca della verità. Dove sono oggi gli intellettuali per Emanuela? Forse anche il mondo della cultura dovrebbe iniziare a farsi sentire.


[1] A. Purgatori a DiMartedì di Giovanni Floris, La7, 31 gennaio 2023.

[2] F. Pinotti, G. Capaldo, La ragazza che sapeva troppo, Solferino, Milano 2023, p. 249.

[3] Nel 1986, il cardinale Casaroli scrive: “nessuna inchiesta giudiziaria è stata esperita dalla magistratura vaticana, essendo i fatti avvenuti fuori dal territorio”, aggiungendo che “le notizie relative al caso, occasionalmente pervenute negli uffici della Santa Sede, sono state trasmesse a suo tempo al pubblico ministero dottor Sica”.

[4] F. Pinotti, G. Capaldo, op. cit., p. 363.

[5] L. Sgrò, Cercando Emanuela, Rizzoli, Milano 2023, p. 79.

[6] Ivi, p. 78.

[7] Ivi, p. 94.

[8] Ivi, p. 149.

[9] Ivi, p. 146.

[10] F. Pinotti – G. Capaldo, op. cit., p. 357.

[11] Ivi, p. 193.

[12] L. Sgrò, op. cit., p. 76.

[13] F. Pinotti, G. Capaldo, op. cit., p. 202.

[14] L. Sgrò, op. cit., pp. 80-88.

[15] F. Pinotti, G. Capaldo, op. cit., p. 316.

[16] Ivi, p. 278.

[17] Ivi, p. 372.

[18] L. Sgrò, Cercando Emanuela, Rizzoli, Milano 2023, p. 155.

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