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Le PASO argentine del 2023
Il 13 agosto in Argentina si sono celebrate le PASO (Primarie Aperte Simultanee e Obbligatorie), una peculiarità elettorale del paese in cui gli schieramenti non solo scelgono il proprio candidato per le elezioni generali ma in cui devono necessariamente partecipare per poter essere presenti sulla scheda elettorale ad ottobre (la legge richiede che ciascuna formula ottenga almeno l’1,5% dei voti validi).
La tornata, segnata da un basso tasso di partecipazione (solo il 69%), ha visto come vincitore l’economista Javier Gerardo Milei, istrionico leader dell’estrema destra che negli ultimi quattro anni si è riconvertito da fenomeno mediatico in un vero e proprio terremoto politico capace di attirare il voto sia dei settori più conservatori e reazionari della società che di quelli a reddito basso. La sua candidatura ha raccolto più del 30% distanziando di quasi 9 punti il Ministro dell’Economia uscente, il peronista Sergio Massa e scalzato il centro destra di Juntos por el Cambio (la coalizione che esprimeva l’ex Presidente della Repubblica Mauricio Macri) dal ruolo di principale avversario del Peronismo. Massa si è fermato al 21,4% (a cui deve essere sommato il 5,8 di Juan Grabois, l’altro candidato peronista con cui Massa si contendeva la leadership della coalizione); i candidati di Juntos por el Cambio Patricia Bullrich e Horacio Larreta invece hanno raccolto rispettivamente il 16,98% e l’11,3% consegnando alla prima il ruolo di candidata di tutta la coalizione.
La retorica anticasta di Milei intrisa di volgarità, insulti e invettive contro i politici corrotti e incapaci e i lavoratori pubblici parassiti è riuscita a fare breccia in un paese che è stato fiaccato prima da una terribile crisi economica e poi dalla pandemia di Covid 19, in cui l’inflazione ha superato il 114 per cento (la quarta più alta del mondo), la povertà pesa come un macigno su più di 18 milioni di persone e il salario medio si aggira sull’equivalente di 350 euro al mese. In questo scenario il famigerato “dollaro blu” (la valuta degli stati uniti nel mercato parallelo e illegale) viene scambiato a 283,175 pesos mentre il settore agricolo, traino delle esportazioni del paese, soffre a causa della peggiore siccità degli ultimi 60 anni. In questo scenario tragico Milei con la sua formazione, La Libertà Avanza, è riuscito ad espugnare anche le storiche roccaforti del peronismo come le province di Santa Cruz, Tucuman e La Rioja, nonostante nelle ultime settimane il partito sia precipitato al centro di uno scandalo nazionale dopo che un suo ex alleato, Carlos Maslatòn, ha denunciato un sistema in cui le candidature per la varie cariche elettive (sindaco, legislatore, governatore) venivano letteralmente vendute in cambio di denaro con un vero e proprio listino prezzi che varia a seconda della carica.
Il programma politico di Milei è un vero e proprio sogno per gli anarco capitalisti. Identifica tutto ciò che è pubblico e statale con il male assoluto: tra le sue proposte principali, infatti, ci sono la privatizzazione dell’istruzione e del servizio sanitario, legalizzare la vendita degli organi, l’abolizione della Banca Centrale, la privatizzazione delle imprese statali e la dollarizzazione totale dell’economia. Un programma ultraliberista accompagnato da una forte retorica securitaria e dalla promessa di liberalizzare il più possibile il possesso delle armi da fuoco.
Il fenomeno Milei inizialmente sembrava limitato alla città di Buenos Aires; nato come risposta di destra ai fallimenti della coalizione macrista che nel 2019 aveva lasciato un paese in crisi nera con un’inflazione e un tasso di povertà più che raddoppiati rispetto a quattro anni prima e un nuovo debito di 57 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale, il prestito più grande mai erogato nella storia del Fondo che come ammesso dallo stesso Macri è stato utilizzato “per pagare le banche commerciali che se ne volevano andare dal paese per paura che tornasse il kirchnerismo[1].”
Tuttavia, l’anarco capitalismo di Milei non è solamente l’espressione dell’antiperonismo viscerale che da sempre caratterizza la capitale bensì un movimento di protesta e di rigetto contro tutta la classe politica tradizionale che ha avuto in forte successo soprattutto nelle regioni interne dell’Argentina irrompendo con forza tanto nei bastioni dell’opposizione conservatrice quanto in quelli peronisti. I video in cui travestito da supereroe promette di “prendere a calci in culo i keynesiani e i collettivisti” uniti iniziative demagogiche come la lotteria con cui mette periodicamente in premio il suo stipendio da deputato lo hanno trasformato in un personaggio pop con una fortissima connotazione antisistema, o come dice lui “anticasta”.
A queste caratteristiche già di per se sgradevoli del vincitore delle PASO se ne deve segnalare un’altra che spesso passa inosservata sulla stampa internazionale: Milei si circonda di apologeti della dittatura militare, soggetti che giustificano o addirittura rivendicano i desaperecidos, i voli della morte le torture e le esecuzioni sommarie del governo golpista come strumenti legittimi di lotta politica; soggetti che cercano di avallare una narrazione in cui gli oppositori della giunta militare vengono marchiati a fuoco come “terroristi” che dovevano essere eliminati con ogni mezzo, narrazione già utilizzata dagli avvocati dei militari nel famoso processo alla giunta istruito dal Procuratore Strassera, processo che si è concluso con la condanna dei dittatori militari.[2]
La sconfitta dei peronisti.
Veniamo quindi al grande sconfitto di queste PASO: il Peronismo. Sfiancato da quattro anni di lotte intestine tra il Presidente Alberto Fernandez e la sua Vice Cristina Kirchner il Peronismo sotto le insegne delle Coalizione “Unione per la Patria” ha ottenuto quello che probabilmente è il peggior risultato della sua storia. Quattro anni fa il ticket tra Alberto e Cristina, prima alleati poi divenuti acerrimi nemici durante il primo governo di lei, metteva fine a quattro anni di guerra aperta tra i peronisti ottenendo l’unità necessaria per vincere le elezioni e tornare alla Casa Rosada dopo il fallimento macrista; l’unità però è durata poco.
Cristina ha criticato fin da subito le scelte economiche del Presidente da lei considerate inadeguate per fronteggiare le crisi sociale del paese ed una linea politica troppo timida su argomenti considerati cruciali dalla Kirchner come la giustizia, prima privatamente e poi in pubblico con feroci lettere aperte e comizi in cui ministri e dirigenti politici vicini a Fernandez venivano accusati di inadeguatezza con espressioni come “Ci sono funzionari che non funzionano” oppure “A quelli che ha paura dico che esistono altre occupazioni oltre al ministro o al legislatore, che si trovino un altro lavoro!” fino a raggiugere l’apice quando durante un evento pubblico per i 100 anni della YPF, la compagnia nazionale di idrocarburi, con una voce rotta dalla frustrazione si è rivolta al Presidente seduto accanto a lei dicendo “Alberto, hai in mano la penna (metafora per il potere) ti chiedo di usarla!”
I continui rimpasti di governo per cercare di far fronte alle tensioni interne, le dimissioni e i licenziamenti dei Ministri spesso avvenute con modalità al limite del tragicomico (iconico il caso del Ministro degli Esteri licenziato con una telefonata mentre si trovava in missione diplomatica all’estero) hanno fatalmente compromesso l’immagine di Alberto Fernandez come leader con fortissime ripercussioni sulla sua credibilità.
La Vice era diventata una critica feroce del Presidente accusandolo pubblicamente di aver causato la sconfitta del Governo alle elezioni legislative del 2021 adottando una politica che non rispondeva agli interessi della maggioranza sociale, che non prestava la dovuta attenzione ai bassi salari e all’esplosione del fenomeno del lavoro povero. Altro importante terreno di scontro tra i due è stata sottoscrizione di un accordo con l’FMI per il pagamento del prestito contratto da Macri con forti tagli alla spesa sociale, approvato in Parlamento solo grazie al voto favorevole dell’opposizione.
Il Presidente assediato dalle opposizioni esterne ed interne e con un indice di gradimento a terra ha cercato di resistere fino all’ultimo ma a marzo ha gettato la spugna rinunciando alla candidatura e aprendo una lotta interna per la successione che si è risolta solo 24 ore prima della scadenza del termine per la presentazione delle liste con un accordo sul Ministro dell’Economia Sergio Massa.
Un paese in crisi democratica.
La crisi del Peronismo non si risolve semplicemente nello scontro tra due dirigenti politici o tra due fazioni interne. È la manifestazione di una profonda crisi di rappresentanza dei ceti popolari che hanno perso un importante organizzazione politica che aveva sempre significato non solo progresso e trasformazione sociale ma anche la possibilità di fare attivamente politica e partecipare attivamente al processo democratico.
Lucia Campora, membro dell’Assemblea Legislativa delle Città di Buenos Aires, ha inquadrato molto bene la questione quando intervistata da Pablo Iglesias ha dichiarato “Faccio parte di un gruppo parlamentare con rappresentanti di diversi settori sociali ma nessuno vive in una villa[3] non c’è nessuna compagna trans, nessuna migrante, nessuna netturbina.”
Il Peronismo ha un mese e mezzo di tempo per riorganizzarsi e mobilitare il proprio elettorato stanco e deluso da quattro anni di governo che non sono stati all’altezza delle promesse e delle aspettative; Massa può ancora vincere ma visti i numeri per avere successo dovrà necessariamente accedere al ballottaggio che quasi sicuramente sarà contro Milei, galvanizzato ed entusiasmato da questo successo a sorpresa.
La sfida però è molto più grande di una singola elezione presidenziale. Cristina Kirchner dopo l’attentato da cui si è salvata miracolosamente solo un anno fa[4], ha messo in guardia sulla necessità per il paese di ricostruire il “Patto democratico” tra tutti i settori della società; nella sua analisi l’attentato è il risultato di una campagna mediatica di distruzione personale finalizzata a screditare tutto il movimento peronista condotta da conglomerati mediatici vicini a importanti interessi finanziari; un’operazione che secondo la Kirchner accompagna i tentativi di quella che lei ha ribattezzato la “mafia giudiziaria” di proscriverla per via giudiziaria portando avanti cause penali strumentali e pretestuose finalizzate non tanto ad escludere lei dalla scena politica ma “a disciplinare i politici, a fare in modo che nessuno prenda coraggio, ed abbia paura di decidere e di legiferare”; Cristina Kirchner sostiene con forza che la magistratura argentina si sia convertita in uno strumento “Lawfare”[5], uno strumento di persecuzione politica che ha lo scopo di eliminare quei dirigenti che non si adeguano all’ideologia neoliberale. Difficile liquidare queste tesi come un disperato tentativo di difesa in un continente dove Lula e Rafael Correa sono stati proscritti con accuse inventate; a sostegno della tesi della Kirchner c’è poi il fatto che il procuratore che l’ha accusata per corruzione e uno dei giudici che in quella stessa causa l’hanno condannata a 12 anni di prigione giocavano a calcio nella residenza presidenziale su invito dell’allora Presidente Mauricio Macri.
Se e in che modo il Peronismo riuscirà a ricostruire il patto democratico è tutto da vedere. Quello che è certo è che questa rappresenta la sfida più grande che il movimento abbia affrontato negli ultimi 20 anni, forse anche più grande di quando Nestor Kirchner[6] prese in mano il paese dopo il disastro finanziario del 2001, nel momento storico di maggior debolezza politica dal ritorno della democrazia.
Difficile prevedere quale sarà l’epilogo del primo turno delle presidenziali ad ottobre ma il percorso che conduce fino a lì sarà molto interessante da osservare e da studiare.
[1] La corrente interna al peronismo che fa riferimento alla ex Presidente e attuale Vicepresidente Cristina Fernandez de Kirchner.
[2] Sul punto si può vedere il film “Argentina 1985”, 2022, regia di Santiago Mitre.
[3] Le baraccopoli che si trovano a Buenos Aires.
[4] L’estremista di destra Fernando Sabag Montiel ha aspettato la Vicepresidente sotto casa e approfittando di un bagno di folla con i sostenitori le ha puntato una pistola a pochi centimetri dal volto ma l’arma si è inceppata facendo fallire l’attentato.
[5] L’attuazione di colpi di stato non per mano militare ma per mano dell’autorità giudiziaria.
[6] Presidente dal 2003 al 2007. Marito di Cristina Kirchner.
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