La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.

(A)politicismo animalesco e reclutamento delle masse


29 Ago , 2023|
| 2023 | Visioni

La suggestiva illustrazione, qui in evidenza, adattata da Amore ed Odio (1970) di Eibl-Eibesfeldt, vuole mostrare come nelle uniformi militari, indumenti da parata o da spettacolo degli umani si conservi il “mostrarsi grossi” attraverso l’accentuazione delle spalle come nell’arruffarsi del pelo di altri primati in stato di minaccia o nell’ipotetica ricostruzione a opera di Leyhausen di un nostro antenato in figura. In alto: uomo della popolazione Waika;  al centro: performer Kabuki (giappone); in basso: Alessandro II di Russia.

Le forze irrazionali e “animalesche” che caratterizzano la “massa” agiscono trasversalmente e continuamente a diversi livelli con schemi comportamentali ripetitivi e la capacità di influenzarli è a prima vista una costante nell’arte del governo[1]: se da un punto di vista dei metodi e delle forme di governo delle masse molte cose sono cambiate nell’ultimo secolo, sembra che nell’azione dei governi contemporanei si conservi immutato un nucleo di contenuti ideologici. Anzi, potremmo affermare con una forzatura dettata da ragioni di spazio che la politica contemporanea a quasi ogni livelloha fatto sua la lezione “della psicologia delle folle” del secolo scorso, potenziandola con una certa interpretazione della cibernetica riduzionista, esasperando il controllo razionale sull’irrazionalità degli individui e concentrando grandi energie e risorse in questo compito reso più realizzabile da una crescente potenza dei mezzi tecnologici e di accumulo di conoscenze. Dagli studi di Freud, Wundt e Le Bon passando per il comportamentismo e lo studio “scientifico” dell’istinto iniziato con l’etologia classica di Lorenz, Von Frish e Tinbergen, fino all’applicazione algoritmica nei social network delle scoperte di anatomofisiologia (come il famoso numero di Dunbar[2]), si è raggiunto un grado di consapevolezza e controllo tale degli istinti da far impallidire il più machiavellico dei principi del passato.

Tra gli istinti più sfruttati e conosciuti  che caratterizzano la nostra specie vi sono il mimetismo, in particolare quello di rango[3], ovvero il tendere a emulare individui di rango superiore, e il sentimento di appartenenza al gruppo, chiamato in termini tecnici anglofoni “in-group/out-group”, identificabile in termini più comuni come “Noi contro Loro” e su cui questo intervento vuole concentrarsi.

Noi contro Loro

La conoscenza di questa forma mentis è testimoniata dalle fonti storiche recenti e antiche, ed è compresa in ogni buon manuale del demagogo addestrato all’utilizzo di false dicotomie  per smuovere i peggiori sentimenti e mobilitare le più grette forze celate in noi, oppure per venderci il più insulso dei prodotti del capitalismo. Una mente geniale come quella di Aristotele nel sua Retorica già segnalava lucidamente:

“Si deve mirare a uno dei due obiettivi: far vedere che o chi parla è un uomo di valore, nel caso specifico o in assoluto, o che sia cattivo l’avversario, nel caso specifico o in assoluto.”

Aristotele, Retorica III – 19 (Traduzione di F. Cannavò, Bompiani, 2014, p. 411)

Oggi ben sappiamo che, come altri primati sociali, siamo naturalmente portati ad identificarci come membri di un gruppo e la cosa è così radicata nel nostro istinto che come ha mostrato una serie di esperimenti del 1970 di Tajfel  siamo in grado di formare gruppi e divisioni sulle cose più insignificanti come, ad esempio, il gruppo di quelli che “sovrastimano” e quelli che “sottostimano” il numero di punti neri proiettati su uno schermo. Questo ed altri esperimenti hanno portato alla formulazione di molteplici teorie e varianti come la teoria dell’identità sociale o teoria dei gruppi minimi, la teoria della categorizzazione del sé, della polarizzazione sociale, neotribalismo, ecc. 

Da allora il trattamento “scientifico” della propensione a creare gruppi e ad identificarsi con questi nella nostra specie è stato analizzato in maniera sempre più approfondita, ad esempio con la creazione di test per la valutazione di bias impliciti basati sugli stereotipi – come l’IAT (implicit association test) utilizzato con risultati simili anche con altri primati come i macachi[4] – o con l’ausilio dell’indagine neurofisiologica, dove ad esempio è stato possibile osservare che bastano circa cinquanta millisecondi di esposizione al volto di un altro individuo per l’attivazione dell’amigdala (individuo di un altro gruppo) o dell’area fusiforme facciale (individuo del nostro gruppo)[5].

 Noi e loro si sostengono e definiscono reciprocamente: nel 2011 uno studio sull’attivazione della via dopaminergica mesolimbica (emozioni e piacere) tra tifosi sportivi ha mostrato come questa sia simile in caso di vittoria del proprio team o di sconfitta del team avversario[6], un atteggiamento comunemente conosciuto come schadenfreude, il godimento del dolore altrui. È così che la spinta motivazionale del “fare politica” di molti individui è alimentata come una droga da questi semplici meccanismi neurofisiologici, adattando il proprio pensiero e la propria azione alla ricerca di attenzioni e conferme del gruppo o all’annientamento, o presunto tale, del gruppo avversario[7].

Gli elementi minimi per operare la discriminazione di un gruppo sono illustrati dal celebre esperimento mentale della biologia evolutiva effetto barba verde e sono tre: un marcatore percepibile arbitrario, la capacità di riconoscere questo marcatore ed il trattamento differenziale in base a questo riconoscimento. Come dimostrato dall’esperimento dei punti neri su schermo, l’arbitrarietà dei marcatori è uno degli elementi più manipolabili dello schema e su cui l’aspetto culturale della nostra specie può fare maggiore leva: l’ipotetica barba verde dell’esperimento mentale, l’utilizzo di certi termini o semplicemente di una parola, un nastro su un braccio, un taglio di capelli, un accento, un indumento, una posa, una preferenza per un genere musicale o un film, e moltissimi altri marcatori arbitrari ci sono stati regalati dalla creatività umana nel corso della storia.

Per sintetizzare, la forza istintiva del “Noi contro loro” è mostrata da[8]: a) la velocità e la minima stimolazione sensoriale richiesta al cervello per processare questi marcatori; b) l’automatismo inconscio di questo processo; c) la presenza di questa tendenza in altre specie e nei giovanissimi della nostra specie; d) la tendenza alla creazione e al rinforzo di questi marcatori arbitrari e del loro riconoscimento, che potremmo definire parte importante del processo di indottrinamento nelle comunità umane[9].

Stesso indottrinamento, differente ideologia

Caratteristiche universali di questa propensione sono: l’associazione di  sentimenti positivi con il proprio gruppo e di sentimenti negativi con il gruppo altro; allocazione preferenziale di risorse per il proprio gruppo a discapito dell’altro; ricerca di conferme nel proprio gruppo; schemi comportamentali ripetitivi nella demarcazione dell’altro che partono dalla derisione e lo scherzo, fino ad arrivare ad una escalation di violenza; la propensione a perdonare i membri del proprio gruppo e a perseguitare quelli dell’altro, o peggio ancora la vendetta nei confronti di un traditore, un membro che era uno di “noi”, ma ora sta con “loro”;  la ricerca della complessità nella descrizione delle caratteristiche del proprio gruppo e l’essenzialismo riduzionista nei confronti dell’altro.

Quest’ultima caratteristica dell’essenzialismo è particolarmente importante nel discorso politico contemporaneo e sta a significare la banalizzazione ed iper-semplificazione del pensiero del gruppo avversario grazie all’attivazione di una fitta rete di connessioni e associazioni che in pochi istanti vengono attribuite a “Loro” dopo una parolina fuori posto o la rilevazione di un marcatore arbitrario: “hai detto questo, allora pensi questo, questo e quest’altro”. Oggigiorno vi è un abuso di questo schema retorico ed è anche il modo per far scadere più velocemente qualunque confronto dal potenziale dialettico[10]: “analfabeta funzionale”, “complottista”, “pidiota”, “novax”, “satanista”, “putiniano” ed un’altra lunghissima lista di termini la cui funzione psicologica è semplicemente l’attivazione emotiva di una catena di associazioni tutt’altro che razionali.

Ciò che qui si vuole sottolineare non è tanto un ripasso nozionistico di questi meccanismi, di cui si trova ormai spiegazione in ogni buon manuale di psicologia sociale, antropologia e biologia evolutiva, ma il fatto che pur essendovi oggigiorno un palese riconoscimento di questi meccanismi “animaleschi” vi è un indottrinamento tale che perfino soggetti che si proclamano rivali e di visioni ideologiche diverse se non opposte, utilizzano assiduamente queste tecniche e queste metodologie nello strutturare la loro azione politica. La cosa più sconcertante è che da tutte le parti vi è l’accusa verso l’ “altro” di utilizzare queste tecniche di manipolazione e assistiamo così ad un paradosso ancora più profondo: la disvelazione di  questi processi è alla base del loro stesso rinforzo. “Sono loro che manipolano con la propaganda, noi siamo le vittime”, “loro ci mettono difronte a false dicotomie, noi siamo la ragione”, “loro sono i deturpatori della verità, noi colo che la diffondono”, ed il giochino delle parti prosegue immutato, perpetrando degli antichi schemi comportamentali in cui soggetti con differenti ideologie, ma medesimo indottrinamento cambiano i nodi di un sistema mantenendone invariata la struttura.

Ovviamente uno dei motivi fondamentali del perpetrarsi di questo giochino antichissimo è che il presunto controllo razionale sull’irrazionale paga: non vi investirebbero altrimenti ingenti risorse coloro che amministrano il potere o aspirano a farlo. Questo è oggi particolarmente visibile grazie ai social, dove scorrendo post e commenti del “mainstream” così come del “dissenso” (definizioni semplicistiche e spesso tutt’altro che esemplificative, partorite dalla stessa mentalità polarizzata) la retorica utilizzata è una variazione su tema ed il tenore che si riscontra è quasi sempre lo stesso, quello ormai ben studiato del “Noi contro loro”. Ogni fazione ha i suoi marcatori arbitrari, i suoi meme, i suoi trigger, ma l’effetto comportamentale è lo stesso ed è quello descritto nella sezione precedente. Si può altresì osservare che queste tecniche funzionano grazie all’osservazione dell’incremento quantificabile di visualizzazioni, condivisioni, commenti, interazioni, “likes” e “followers”, a loro volta potenti strumenti di indottrinamento e domesticazione per plasmare individui sempre più drogati dal controllo e dalla quantificazione esasperata.

Il “Noi contro loro”  è sicuramente uno dei più potenti mezzi di indottrinamento e coercizione inconscia a disposizione del potere per tenere in vita un sistema così artificiale come quello delle società di massa anonime e rendere lo scontro il più orizzontale possibile: d’altronde il dividi et impera non è stato inventato di certo ieri. Ripetere in modo inconsapevole questi schemi è uno dei favori più grandi che si possa fare all’attuale stato di cose per mantenerlo immutato. Ricordare queste cose non vuol dire utopisticamente fare a meno di ogni strumento politico conosciuto, ma significa aver sempre presente che ciò che facciamo e come lo facciamo sono parti inscindibili di uno stesso processo e che alimentare una o l’altra disposizione animale che ci portiamo sempre dentro non è astratto machiavellismo legittimato dai giusti fini, ma è ciò che struttura qualsivoglia azione collettiva. Riprendendo un lucido Gramsci dal carcere in un celebre passo sull’apoliticismo animalesco:

“Bisogna proprio dire che i primi ad essere dimenticati sono proprio i primi elementi, le cose più elementari; d’altronde, essi, ripetendosi infinite volte, diventano i pilastri della politica e di qualsivoglia azione collettiva.”[11]


[1]     In realtà, come sappiamo grazie all’antropologia moderna, questa non è una costante di tutte le forme di governo o

più ampiamente del fare politica della nostra specie, ma come nota George Mosse nel suo celebre La nazionalizzazione

delle masse, è invece parte centrale della “nuova politica” inaugurata agli inizi del XX secolo in particolar modo con i “totalitarismi”.

[2]     La dimensione della neocorteccia di Homo sapiens secondo il famoso numero elaborato dall’antropologo

Robin Dunbar sarebbe in grado di sostenere lo sviluppo di reti sociali di circa 150 individui (oggi sappiamo essere almeno il triplo). Questo è dovuto al fatto che la nostra specie si è evoluta da piccole tribù semi-nomadi ed ha conservato questa caratteristica per oltre il 94% della sua storia naturale.

[3]     A differenza del famoso mimetismo studiato da Girard, il mimetismo di rango – o di dominanza – è stato studiato in

sociobiologia da autori come Desmond Morris (1969) e Eibl-Eibesfeldt (1970, 1988) ed oltre che a livello individuale

può agire su intere popolazione come in alcuni casi di colonialismo.

[4]    N. Mahajan et al., “The Evolution of Intergroup Bias: Perceptions and Attitudes in Rhesus Macaques,” JPSP 100 (2011): 387.

[5]    T. A. Ito and G. R. Urland, “Race and Gender on the Brain: Electrocortical Measures of Attention to the Race and Gender of Multiply Categorizable Individuals,” JPSP 85 (2003): 616; Cfr, Sapolsky (2017), ch. 11.

[6]   M. Cikara et al., “Us Versus Them: Social Identity Shapes Neural Responses to Intergroup Competition and Harm”,   Psych Sci 22 (2011): 306

[7]     Un altro potente meccanismo di assimilazione della subordinazione e del conformismo ben conosciuto è studiato è,

come abbiamo già notato, il “comando”, il “dominio” o semplicemente l’illusione di esercitarlo senza subirlo.

[8]  Come esaustivamente documentato dal già citato volume del celebre primatologo di Stanford Robert Sapolsky del 2017, Behave, dove si può trovare un lista abbastanza aggiornata di evidenze sperimentali su questi argomenti.

[9]  Per un volume un po’ datato che si confronta in modo diretto sul tema senza troppo peli sulla lingua si veda Indoctrinability, Ideology and WarfareEvolutionary Perspectives, edito da Irenäus Eibl-Eibesfeldt e Frank K. Salter, 1998.

[10]   E non è un caso che anche lo spazio che sta accogliendo queste mie riflessioni è stato recentemente vittima di un

tentativo simile.

[11]   In particolare Quaderno 15,§ (4) o nell’edizione Einaudi volume III, p. 1752. Noto con piacere che ciclicamente un articolo de La Fionda si conclude con questa importante citazione, come qui o qui.

Di:

La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!