Avrei potuto scrivere anche ‘itinerante’: il modello dovrebbe essere quello dei predicatori itineranti del Medioevo, che si spostavano abitualmente da un luogo a un altro per l’esercizio della loro attività. Questi predicatori – tra i quali si annoverava anche Sant’Antonio da Padova – diedero vita a un’esperienza culturale di alto livello, tra etica, annuncio evangelico, teatralità popolaresca. Qualche minima traccia c’è di tutto ciò in Giorgia Meloni: intendo un’evidente tendenza alla recitazione declamatoria che, si direbbe, fa parte del suo modo di essere, manifestata anche quando non era ai vertici della Repubblica. Come lei, altri nel suo partito, meno abili, però. Ma l’inconsistenza dei discorsi di Meloni mi inducono a preferire l’aggettivo ‘vagante’. Se consultiamo uno dei dizionari più comuni (il Devoto-Oli) leggiamo che vagante è da riferire a «quanto si sposta da un luogo a un altro irregolarmente, senza direzione o meta prestabilita». Sì, Meloni più vagante che itinerante.
Sui viaggi di Giorgia, Wikipedia c’ha fatto una pagina intitolata: «Elenco dei viaggi presidenziali internazionali realizzati da Giorgia Meloni». Risultano ventiquattro Stati visitati finora dalla nostra Presidente, alcuni più volte come la Polonia e la Tunisia. L’elenco è, però, un mero elenco: manca qualsiasi commento, qualsiasi analisi, qualsiasi descrizione, qualsiasi report, qualsiasi valutazione. Come se Meloni non ci fosse nemmeno andata: quasi viaggi per finta.
L’impressione è che questi viaggi siano stati fatti un po’ ad pompam: per farsi conoscere come persona e per allacciare rapporti personali. Forse, imitando Berlusconi (che, però, sembrava un poco più attrezzato). Da studiare, in questa prospettiva, l’atteggiamento, le posture, anche le mises di Meloni all’estero. Può essere che vi sia, sottostante, un’illusione e, anche, il desiderio di illudere (prova ne sarebbe la chat di istruzioni per la recente visita a Caivano: «le persone devono sembrare persone qualunque che accolgano Giorgia festanti …»). Tanti pensano che per ottenere occorra stringere amicizie, suscitare ammirazione, infondere fiducia. E non è sbagliato: quanti così si conducono nella vita di ogni giorno? Ma questo modulo comportamentale – che, penso, la Presidente dovrebbe aver osservato nella sua ascesa dentro al partito – è replicabile e, soprattutto, è replicabile fruttuosamente nei rapporti internazionali tra Stati? Qui non si tratta di ottenere un mandato da avvocato o un incarico a redigere un progetto urbanistico o un trattamento sanitario di favore. O l’appoggio di una certa correntucola di partito. Italietta, sì: noi siamo anche questo e non vogliamo cambiare. Ma, quando ci si confronta, si discute, si propone si chiede, ci si accorda in qualità di statista con uno o più altri statisti, la simpatia o il savoir faire contano fino a un certo punto, direi molto poco. Conta chi rappresentiamo; e l’Italia, noi, siamo oggi debolissimi anche nello scacchiere internazionale perché siamo deboli a partire dall’interno, valutato quel che oggi è /o ha il Paese. Eravamo un Paese di media potenza, in certi tratti della vita repubblicana parecchio scaltro nei rapporti con le grandi potenze e con gli Stati che erano meno di noi. Ora, la nostra modesta potenza si è dissolta e siamo rimasti avvolti da molti pregiudizi, in parte fondati, che minano la nostra credibilità: pregiudizi, peraltro, inveterati e facili da cogliersi anche sol leggendo la letteratura straniera, vecchia e nuova, di ogni genere, ivi compresi i gialli scritti da inglesi o americani, quali possiamo leggere abbastanza spesso tra i «Gialli Mondadori».
Che Meloni si illuda di riuscire a cambiare questo e altro è, si capisce, un’illusione. Ma può anche essere che lei si illuda sopravalutandosi; e, più probabilmente, che cerchi di illudere l’ospite di turno; e, più di tutti, il suo elettorato fatto di corporazioni e associazioni particolari che ha già ampiamente sostenuto con varie misure ispirate a una parzialità almeno fastidiosa. Però niente muta o muterà. Anche perché questo Governo non fa veramente nulla per invertire la rotta e tira provincialmente a campare con turismo e made in Italy, che non ci porteranno esattamente da nessuna parte: esattamente come la Grecia.
Penso che tutti, e non solo l’attuale Presidente del Consiglio, dovremmo rivedere attentamente i filmati di un viaggio decisivo per il destino del Paese, compiuto da un altro Presidente del Consiglio: il viaggio a Washington di Alcide De Gasperi nel gennaio del 1947. Al di là del cappotto che De Gasperi, non avendone uno adeguato, si era fatto prestare dal Ministro Attilio Piccioni, il tratto sobrio della postura e l’eloquio essenziale di quel Presidente integrano tuttora una condotta da manuale della Repubblica. Soprattutto De Gasperi non fece mai promesse a vanvera e ci «mise sempre la faccia» avendo tuttavia il buon gusto di non usare espressioni del genere, da cronaca sportiva o da bar. Meloni è una strana conservatrice: dei paradigmi del vecchio, austero, leale conservatorismo non ha nulla. Rifugge da una rivoluzione restauratrice e crede fino a un certo punto alla Patria (o, pardon, alla Nazione). È invece espressione e tutrice degli interessi di una piccola borghesia a cui sono ignoti grandi orizzonti o grandi ideali. E, se varerà l’autonomia differenziata, spaccherà definitivamente una Patria o una Nazione che già ora sono ridotte ad astrazioni impercettibili.
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