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Sequenza di golpe in Africa: è solo una coincidenza?


5 Set , 2023|
| 2023 | Visioni

Diversi paesi dell’Africa occidentale e subsahariana, accomunati dal fatto di essere stati parte dell’immenso impero coloniale francese, hanno visto nell’ultimo triennio una serie di rivolgimenti politici e sociali. Nel mese di agosto abbiamo assistito al golpe in Niger, che faceva seguito a quelli in Guinea, Mali, Burkina Faso.

Neanche il tempo di chiudere quel capitolo, che è arrivato il turno del Gabon, stato dell’Africa occidentale grande poco meno dell’Italia, altro ex possedimento francese. E potrebbe non essere l’ultimo, visto che diversi analisti già prevedono ulteriori rivolgimenti in Senegal, paese del quale si era già occupato il podcast Storie di geopolitica e in Camerun, senza escludere nuovi scenari in Ciad, retto da un governo considerato filofrancese dopo il golpe del 2021 (pure per quello vi rimandiamo a un altro episodio dello stesso podcast).

Se l’elemento, neanche l’unico peraltro, che sembra accomunare i vari paesi coinvolti in questa spirale è la loro ex madre patria, pochi dubbi sussistono sul carattere filofrancese di Alì Bongo, il presidente gabonese deposto dal golpe militare dei giorni scorsi, appartenente a una vera e propria dinastia al potere nell’ultimo mezzo secolo; Alì aveva preso nel 2009 il posto del padre Omar, spentosi lo stesso anno dopo aver “regnato” per oltre 40 anni. Alì Bongo era sempre stato confermato nelle successive tornate elettorali e quello del 2023 avrebbe dovuto essere il suo terzo mandato, a dispetto delle irregolarità (come il blocco di Internet) e le accuse di brogli denunziati dalle opposizioni; tra i primi provvedimenti adottati dai golpisti c’è stato proprio l’annullamento di tali consultazioni.

Francesi a parte, il presidente deposto era considerato molto vicino all’ex inquilino della Casa Bianca Barack Obama e agli ambienti del World Economic Forum, e veniva accusato di aver accumulato assieme ai suoi familiari un ingente patrimonio personale; al momento attuale si troverebbe agli arresti domiciliari. Per effetto del golpe, capeggiato da Brice Oligui Nguema, comandante della Guardia Repubblicana (ancora una volta è stato un corpo di élite a guidare la rivolta), tutti i poteri sono stati trasferiti al “Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni”, che ha accusato il governo deposto di essere “irresponsabile e imprevedibile” oltre che di aver provocato “un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese nel caos” .

Analogamente a quanto avvenuto in Burkina Faso e nel Mali, i militari appena preso il potere hanno ordinato la chiusura delle frontiere, presto riaperte, e l’annullamento di una serie di accordi con la ex madrepatria, che ha in Gabon importanti interessi. Ma c’è un altro punto in comune con quanto avvenuto negli altri paesi africani che abbiamo menzionato: la reazione popolare, che ben lungi dall’avversare il golpe, ha salutato il pronunciamento con grandi manifestazioni di piazza. La dinastia Bongo veniva avversata non soltanto per la diffusa corruzione e la troppa accondiscendenza verso Parigi , ma pure per aver fatto arrestare numerosi oppositori, come Gerard Ella Nguema, presidente del Fronte patriottico gabonese, presentatosi alle elezioni del 2016 contro il presidente deposto.

Eppure, lo stesso leader golpista Nuguema, che pochi giorni fa ha giurato come presidente ad interim del paese, non è affatto estraneo a quel sistema di potere. Non solo è imparentato coi Bongo, ma ha stretti legami (anche economici) con gli Stati Uniti, circostanza che ha fatto sollevare diversi dubbi sulle reali dinamiche del golpe. Secondo un’analisi ripresa in Italia da L’Antidiplomatico, visto che a guidare il sollevamento è stato proprio un militare considerato filoamericano, per quale ragione ci sarebbe stata la volontà di rimuovere un presidente filofrancese, in teoria alleati degli statunitensi? E se a Washington – secondo l’ipotesi avanzata, chiaramente tutta da dimostrare – si fosse ritenuto che i francesi non fossero più in grado di tutelare i loro interessi e si fosse deciso di operare una sostituzione della leadership con altro uomo di fiducia? Un argomento a favore potrebbe essere ravvisato nel fatto che molte imprese francesi, nonostante il golpe e a differenza di quanto avvenuto in Niger, stiano continuando a operare in Gabon.

Il Gabon, similmente a molti dei suoi vicini, è un paese ricco di risorse naturali. Oro, diamanti, manganese, uranio, niobio, minerali di ferro, gas naturale, circa le quali la società Francese Eramet detiene una posizione di fortissima preminenza (per non dire di monopolio); ma è il petrolio (il Gabon è membro dell’OPEC) a fare la parte del leone: l’oro nero rappresenta il 38,5 per cento del PIL e oltre il 70,5 dell’export complessivo. Nonostante queste enormi ricchezze, quasi nulla, tanto per cambiare, è andato appannaggio dei cittadini: circa un terzo dei gabonesi vive (o, per meglio dire, sopravvive) con meno di 1 dollaro al giorno, e circa il 60 per cento del paese è privo di assistenza sanitaria e/o di un accesso regolare all’acqua potabile. Il tasso di disoccupazione sfiora il 40 per cento dei giovani sotto i 24 anni, in un paese nel quale oltre la metà dei circa 2 milioni e 200 mila abitanti ha un’età compresa tra i 18 e i 59 anni.

Nel territorio della cosiddetta France Afrique, il predominio economico di Parigi è stato finora pressoché incontrastato, grazie alla compiacenza di leader politici locali (vedi il caso dei Bongo). Giusto per fare alcuni esempi riferiti proprio a questa fetta del continente nero, pensiamo al gruppo Bolloré che controlla i porti e i trasporti marittimi dell’Africa occidentale; il Bouygues/Vinci che ha in mano edilizia, energia, risorse idriche e lavori pubblici; Total che controlla petrolio e gas; Comilog operativa nel settore della manganese, senza dimenticare i servizi finanziari e tecnologici affidati a gruppi come France Telecom, Société Generale, Credit Lyonnais, BNP-Paribas, AXA. E potremmo continuare, parlando di gruppi e società straniere sempre pronte ad accaparrarsi contratti e appalti.

Quando qualche leader locale ha tentato di risollevare il suo paese e difenderne la sovranità, pensiamo alla figura di Thomas Sankara, si è provveduto a rovesciarlo e assassinarlo (1987).

In estrema sintesi, senza ripetere cose già dette mille volte per tante nazioni africane, si riscontra il solito mix tra sfruttamento e deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, che salvo pochissimi privilegiati non trae alcun beneficio dalle grandi risorse a disposizione.

Come in Niger, anche in Gabon si trova un’importante base militare francese, che ha sede nei pressi della capitale Libreville e che nel continente è seconda per importanza solo a quella di Gibuti; anche gli americani sono di stanza in Gabon, presso la base di Agadez (Air Base 201).

Fra i timori circolati in occidente dopo il nuovo colpo di stato ci sarebbe quello di un rafforzamento della presenza russa in questa parte del continente nero, già radicata in Centrafrica, dal quale potrebbero partire nuovi sostegni ai gruppi ribelli presenti in Camerun (per molti il prossimo della lista), nel quale da oltre 40 anni “regna” il francofilo Paul Biya, e in Nigeria, paese fondamentale per i giacimenti di idrocarburi, del quale dal 2023 è presidente Ahmed Tinubu, a sua volta accusato di brogli elettorali.

Il golpe in Niger – resta da vedere per quello in Gabon, che però è improbabile susciti le stesse risposte – aveva scatenato una dura reazione nel continente, con le minacce di intervento militare da parte dell’ECOWAS, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest, avvertimenti mai concretizzatisi, vuoi per la contrarietà espressa da paesi come Mali, Burkina Faso (essi stessi membri dell’Ecowas) che dall’Algeria. Inoltre, l’ampio sostegno popolare che c’è stato nei diversi paesi interessati dai pronunciamenti militari, dove molti cittadini si sono dichiarati pronti ad arruolarsi per difendere la loro terra da qualunque aggressione, come il fallimentare approccio della diplomazia di Washington, sembrano per il momento aver indotto tutti a più miti consigli.

E non hanno avuto miglior fortuna gli avvertimenti contro i golpisti nigerini dell’Unione africana, mentre la minaccia di sanzioni, che andrebbero a detrimento di alcune tra le popolazioni più povere del pianeta, non appare come una prospettiva percorribile, pena una nuova e devastante crisi umanitaria.

La verità è che le organizzazioni africane non dispongono del potenziale e delle risorse per condurre un’operazione militare di questa portata, che rischierebbe solo di scatenare un conflitto dalle conseguenze difficilmente prevedibili in alcune delle regioni più disgraziate del pianeta, oltre a fomentare un nuovo terreno di scontro tra il cosiddetto occidente (capeggiato in questo caso da americani e francesi) e il blocco alternativo a trazione russo-cinese, oggi incarnato dai BRICS, che tra l’altro si preparano ad accogliere nelle loro fila un paese come l’Etiopia, che ospita proprio la sede della Unione africana. Come scrive Ugo Trojano per Analisi Difesa , riferendosi al Niger: “Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.”

Gli americani di interessi strategici nel continente nero ne hanno, eccome, ragion per cui è improbabile che vogliano scatenare un simile putiferio, mentre che i francesi agiscano di loro iniziativa è impensabile; a maggior ragione questo discorso varrebbe per l’ECOWAS.  Gli USA hanno insediato sul suolo africano un importante comando militare (AFRICOM) e hanno addestrato, in funzione antiterrorismo, molti militari, compresi quelli nigerini, e metterseli contro, lungi dal produrre vantaggi, rischierebbe di farli cadere ancora di più nella “rete” russo-cinese.

Cina e Russia per ora stanno a guardare riguardo al Gabon, Pechino ha solo chiesto l’incolumità per Bongo, limitandosi a esprimere preoccupazione per l’accaduto.

In sostanza, ipotizzare che l’Africa occidentale – che si parli di questo o quel paese poco importa – possa divenire teatro di un’operazione simile a quella avvenuta in Libia nel 2011 appare quantomeno improbabile, e noi lo speriamo vivamente visto che sappiamo fin troppo bene chi ne pagherebbe lo scotto.

Circa i timori, da più parti sollevati, che Mosca e/o Pechino possano sostituirsi al predominio occidentale quali nuove potenze di riferimento per una buona parte degli stati africani è presto per dirlo. Resta il fatto che con la loro presenza nel continente nero questi due paesi (e la Turchia) hanno garantito una serie di investimenti e misure che hanno portato diversi vantaggi, pensiamo solo alle nuove infrastrutture, rappresentando agli occhi di molti popoli africani un qualcosa di ben diverso rispetto al mero sfruttamento, privo di significativi vantaggi, sinora prodotto dal neocolonialismo di matrice occidentale. Solo il tempo ci dirà se queste nazioni avranno fatto bene a vedere nei russi e nei cinesi una sorta di spiraglio di luce, che possa permettere loro di appropriarsi di quella sovranità monetaria che non hanno mai avuto, anche a causa del famoso franco CFA.

Investimenti russi e cinesi a parte, ricordiamo che nel marzo 2018, ben 44 capi di Stato africani hanno varato una grande area di libero scambio continentale africana (ACFTA), comprendente circa 1,3 miliardi di persone, e hanno dato vita a gennaio 2022 a un nuovo sistema di pagamento panafricano (PAPSS) per le loro imprese, incentrato sulle valute locali, un qualcosa che inevitabilmente è destinato a confliggere con la sopravvivenza della valuta neocolonialista.

Venendo alle conclusioni, che l’Occidente in generale, e la Francia in particolare, stiano perdendo colpi di Africa sarebbe arduo da negare. In qualche modo, le stesse dichiarazioni dell’alto rappresentante per la politica estera della UE, Josep Borrell, che ha parlato di un aumento del rischio instabilità per la regione, come le citate prese di posizione delle organizzazioni africane , non sembrano andare molto oltre il linguaggio ufficiale della diplomazia.

Ammesso e non concesso che le campagne di disinformazione antioccidentale presuntamente ordite a Mosca o Pechino possano aver avuto un ruolo nel fomentare le popolazioni africane, permangono i molti, troppi errori commessi in quel continente: come osserva l’analista Giacomo Gabellini molti di questi sarebbero “da attribuire al senso di onnipotenza che ha pervaso le classi dirigenti statunitensi a partire dal collasso dell’Unione Sovietica. Questa percezione distorta ha atrofizzato il pensiero critico e alimentato un sostanziale disinteresse per il resto del mondo”. E tra questi sbagli va certamente annoverato quello di aver foraggiato ristrettissime élite e/o regimi dispotici i quali, tra corruzione e violenza, hanno contribuito non poco all’attuale situazione africana, una situazione che ha finito comprensibilmente per esasperare le popolazioni locali.

Il problema, come scrive Giovanni Carbone, responsabile del Programma Africa ISPI, resta che “la lunga esperienza del continente con i golpe ha già mostrato che l’ottimismo nei confronti delle soluzioni militari è in genere mal riposto”, anche se si potrebbe obiettare che molti tiranni locali sono stati foraggiati proprio dall’Occidente. Più in generale, come osserva Peter Haski “È in discussione l’intera strategia francese in Sahel, mentre un enorme punto di domanda aleggia sul modello degli stati africani dopo un periodo di democratizzazione poco convincente. In attesa delle risposte, l’epidemia del potere militare prosegue”.

FONTI

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www.notiziegeopolitiche.net/francia-golpe-gabon-gli-interessi-a-rischio/

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“Colpo di Stato in NIGER: scoppierà la guerra in Africa?” – Video Nova Lectio – www.youtube.com/watch?v=AOyXzDAgy6c

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www.ispionline.it/it/pubblicazione/gabon-un-golpe-in-piu-139389

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