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Congedare Vannacci


13 Set , 2023|
| 2023 | Visioni

“Il mondo al contrario” è il grido lanciato da Roberto Vannacci. Forse, egli aveva il modesto obiettivo di dibattere con sé stesso; forse di offrire materia di discussione nelle conversazioni tra amici. O forse no. Poi il sistema mass-mediatico, e l’indignazione di taluni, hanno creato l’occasione per il gran salto: non solo nelle vendite, ma per la diffusione del Vannacci-pensiero. Forse a questo straordinario clamore l’autore non aveva pensato, forse non lo aveva programmato. Forse. Certo, certissimo che egli non se n’è dispiaciuto e ne ha rapacemente approfittato: ora, come usa dire, cavalca la tigre, piuttosto bene, dobbiamo riconoscerlo. Non è qui mia intenzione discutere i contenuti del libro: può anche aver propalato qualche questione reale, specie quella della lievitazione dei diritti e del rilievo politico delle minoranze da cui è conseguito il preoccupante arretramento della massa o delle masse nei discorsi e nell’azione dei dirigenti politici. Il punto non è cosa da poco: si tratta di capire l’evoluzione della democrazia e, anche, della sovranità popolare. Su questo le riflessioni serie e impegnate non mancano: solo che i libri e gli articoli che le veicolano non hanno l’attitudine, per ragioni varie, di pervenire al grande pubblico e di muoverlo, anche come corpo politico a la Rousseau. Vannacci c’è riuscito: bravo lui, ma il suo successo crea notevoli perplessità e interrogativi.

 Se c’è un termine idoneo a cogliere il messaggio essenziale, e gradito a molti (non dimentichiamocelo) del libro, è l’aggettivo ‘normale’. In sé non è una novità: quanti politici ne fanno uso da tempo? Certo loro lo collocano in una dimensione tendenzialmente generale: è normale che in questo Paese ecc.? Vannacci lo coniuga al singolare e ci costruisce il normotipo, l’individuo normale e poi va giù facile cogliendo la normalità nella tradizione e nella natura. Meglio, in quel che l’autore, e con lui parecchi, ritengono sia la tradizione e la natura. Interessante è comunque che anche uno come lui si muova dentro la sfera privata prima che in quella pubblica.

 Ora la domanda, a mio avviso prima e principale, da porsi – e da porre al polemista Vannacci – è precisamente questa (e gliela pongo considerando l’essenza della patria, delle forze armate, della Folgore, dello Stato: cioè dal di dentro del mondo di Vannacci): è normale che un generale della Folgore, addestrato all’obbedienza e al servizio esclusivo della Nazione, se ne esca con un libro del genere e poi si trasformi in conferenziere su temi sensibili politicamente, nelle televisioni e in circoli più o meno esclusivi? Si ribatterà: c’è la libertà di pensiero. Ma non c’è solo la lettera della Costituzione. Accanto, anzi prima, c’è un’etica pubblica repubblicana che è, ahimè, ignota, anche ai generali della Folgore e che si costruisce rigorosamente in base a quel criterio tagliente che è il principio di congruenza. Non spenderò altre parole: le gesta di Vannacci non sono né normali né congrue rispetto all’alto ruolo rivestito e all’affidamento che la Repubblica ha riposto in lui. È una conclusione arcaica, questa? Può essere. Allora dovrebbe piacere a Vannacci. Se intendeva far come ha fatto, prima si sarebbe dovuto dimettere dall’esercito. Non si è dimesso. Allora si sarebbe dovuto istantaneamente sospendere e rapidamente congedare. Direi, senza onore. Non è accaduto nulla di tutto questo. Ma perché lo Stato è ormai quasi sciolto.

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