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Spinte alla vita


20 Set , 2023|
| 2023 | Voci

Mi chiamo Giuseppe e mia figlia ha tentato il suicidio in modo serio: si è precipitata dal quarto piano procurandosi delle lesioni, non sto qui a elencarle, che l’hanno portata prima a oltre venti giorni di terapia intensiva al San Giovanni e poi al CTO in unità spinale. È allettata e un paio d’ore al giorno in sedia a rotelle. Correttamente, i sanitari del CTO hanno chiesto la consulenza psichiatrica, prima al San Giovanni e poi ai servizi territoriali di salute mentale di competenza. Bene, mi sono recato quindi all’SPDC e poi al CSM, dove ho descritto le condizioni di mia figlia. I sanitari erano giustamente allarmati del fatto che altre volte avesse effettuato T.S. (tentativi di suicidio). Nonostante abbia cercato di spiegare la sua struttura di personalità (a proposito, ho esercitato come psichiatra per quasi quarant’anni e sono stato direttore di una scuola di psicoterapia), il focus dei sanitari si è incentrato sulla compulsione al suicidio, i life events e l’organizzazione di personalità, pur se presi in considerazione, rimanevano sullo sfondo come elementi accessori e intercambiabili. L’imperativo categorico dello Psichiatra del CSM è evitare un ulteriore T.S. di una persona al momento immobilizzata a letto o sulla sedia a rotelle, nessuna attenzione all’ordine dei significati personali e al contesto. Ho accettato di buon grado con mia moglie, che è cardiologa, un incontro con lo psichiatra del CSM e con lo psicologo del CTO, (vi lascio immaginare il nostro sentimento di disperazione, entrambi anziani e con la nostra unica figlia in questo stato). Lo psichiatra del CSM, dopo una scrupolosa intervista a nostra figlia, dichiara in riunione, in sua presenza, che doveva essere curata farmacologicamente molto prima e che era tutto sbagliato, sia il nostro approccio che quello di Ilaria al proprio disagio, e che doveva assolutamente assumere quel farmaco allo scopo di prevenire il suicidio. Poi ci dice che bisogna anche trovare qualcuno come psicoterapeuta perché la struttura pubblica, nello specifico il CSM, a causa del carico di lavoro, non è in grado di garantire questo servizio se non con tempi di attesa di mesi. Non ho nulla contro i farmaci, come potrei, oltretutto, vista la mia professione non posso non considerarli uno strumento cruciale di liberazione dalle catene. Nonostante lo stravagante approccio del dottore (faccio fatica a chiamarlo collega), incoraggiamo Ilaria ad assumere la CLOZAPINA* ai dosaggi (bassi) prescritti; risultato: mia figlia assume un habitus ebetiforme, è disartrica** e scialorroica***. A questo punto interrompiamo il farmaco e mandiamo a quel paese lo psicofarmacologo del Centro di Salute Mentale. Da ciò nasce un’amara riflessione: mia moglie e io siamo in grado di richiedere un’altra consulenza, magari pagando, ma gli altri, quelli che non possono, cosa hanno dal servizio pubblico? Una psichiatria efficaciente nel difendere sé stessa, e dov’è quel potente strumento terapeutico che è il lavoro di equipe (che è l’orgoglio del nostro approccio al disagio e alla malattia mentale)? È un paradosso: come professionista avevo scelto (ora sono in pensione) di non fare più attività privata e di lavorare solo nel pubblico (dirigevo un’unità operativa), e mi ritrovo con psichiatri che pur lavorando nel pubblico sono costretti a comportarsi come se fossero nel loro studio privato, avendo come obiettivo primario collocarsi in una posizione di garanzia. È Ilaria a richiedere uno psichiatra che abbia almeno una formazione psicoterapeutica e sappia che colpevolizzare famiglia e paziente sia perlomeno inopportuno. Ilaria ha trentacinque anni, figlia unica, una storia personale sufficientemente travagliata sin dall’adolescenza. È laureata in filosofia presso l’università di Bari, dove vivo con mia moglie, mentre Ilaria, da poco più di una decina d’anni, dopo aver vinto una borsa di studio alla Sorbona, decise di rimanere a Roma per seguire un corso (accettando nel frattempo lavori precari, mentre iniziava una carriera letteraria), e vivere con un ragazzo anche lui inserito nell’ambiente letterario. Poi, come spesso accade, ruppe la relazione affettiva che durava oramai da sei anni, e s’imbarcò in relazioni di scarso spessore, per poi sposarsi con un altro scrittore. Si arriva presto alla separazione e poi al divorzio. Tutto questo è vissuto con un sentimento di inadeguatezza e di fallimento personale da lei che, nel frattempo, nel 2020, aveva ripreso l’università (un corso di laurea magistrale in scienze filosofiche) qui a Roma, collezionava 30 e lode, le mancavano pochi esami, ma anche lì si sentiva ormai fuori tempo massimo e quindi fuori luogo. Il 3 Maggio si lancia nel vuoto, un prodigio che sia viva. Sono con lei, giustamente deflessa nel tono dell’umore, in unità spinale, con lei che vorrebbe riprendere a vivere, preparare l’esame su Husserl, ma non riesce a concentrarsi, l’avrebbe fatto, nonostante la sofferenza fisica. “Nessun farmaco attivante!” sentenzia lo psichiatra del servizio pubblico, a cui non sembra nulla interessare delle spinte alla vita, quali per esempio la preparazione di un esame universitario o la presentazione del suo ultimo romanzo. L’obiettivo è evitare il suicidio, ma senza vita come si fa?

Il mio nome è Giuseppe, sono un padre che per anni ha fatto lo psichiatra e lo psicoterapeuta, cercando di mettersi nei panni dell’altro.

Roma, 29 giugno 2022                                                                                         

P.s.: Ilaria oggi sta abbastanza bene, cammina anche senza stampelle, ha ripreso le sue consuete attività, permane un alternante dolore trafittivo al bacino che scema con antinfiammatori.

Ho deciso di rendere pubblica questa lettera che inviai, senza riscontro alcuno, a un’associazione di familiari di pazienti psichiatrici, perché penso che sia interessante un resoconto dello stare dall’altra parte. Non è stato solo un mettersi nei panni dell’altro ma essere l’altro. Un’esperienza tutto sommato utile essere il familiare di una persona che accede alla psichiatria, come psichiatra è stato formidabile. Non riesco a provare astio nei confronti dello psico-farmacologo del CSM, ecco, non vi è alcun sentimento di rivalsa, semmai di intima pietà. Per carità, ognuno è libero di pensarla come gli pare, se poi ha deciso che i propri punti di riferimento sono i recettori, i citocromi e le molecole in generale come dargli addosso, tutto sommato è un laureato in medicina, a cosa potrebbe appellarsi? Forse siamo noi cittadini a poter fare a meno di una psichiatria, che tutto spiega senza comprendere nulla, una psichiatria incapace di focalizzare sui comportamenti umani, trasfigurandoli in patologie mentali. 

Note

* CLOZAPINA: farmaco antipsicotico considerato universalmente dagli psichiatri come “l’ultima spiaggia”, Scevro da effetti collaterali di tipo neurologico (parkinsonismo) può dare leucopenia fino alla aplasia midollare motivo per il quale è obbligatoria una periodica conta leucocitaria.

**Disartrica: difficoltà ad articolare le parole.

***Scialorroica: profusa salivazione.         

                                                    

Di:

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