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Migranti. Italia chiama Europa


20 Set , 2023|
| 2023 | Visioni

 È la litania che, più o meno da una quindicina d’anni, i cittadini italiani si sentono recitare dagli uomini e dalle donne dei governi che si sono succeduti fino ad oggi: governi, indifferentemente di centro-sinistra o di centro-destra. Oggi, con qualche varietà di accenti, l’Europa è egualmente invocata dalla maggioranza come dall’opposizione. Ma è molto difficile argomentare a sostegno di questa scelta in quanto l’Europa è stata ad oggi inerte o quasi. Vero che ultimamente la Presidente della Commissione ci ha messo – lei stessa – «la faccia»; ma anche a Lampedusa, la scorsa domenica, è stata una comparsata dal sapore scenico (e, per la von der Leyen, certamente utilitaristica, desiderando mantenere il ruolo dopo le prossime elezioni europee: un calcolo probabilmente fondato, considerata la disinvoltura con cui Giorgia Meloni è usa cambiare avviso).  

 Si capisce che, invocando quell’aiuto o quella condivisione che non giungono, la situazione resti invariata: il fenomeno migratorio non è gestito, ma subito «aspettando Godot». Quest’inerzia suscita più di un interrogativo. Il primo, forse, è se i cittadini italiani siano adeguatamente informati circa gli effetti, anche solo a breve termine, del flusso migratorio a getto continuo. Per esempio, scafisti a parte, chi se ne è avvantaggiato, e se ne avvantaggia, in Italia? L’accoglienza diffusa è da sé misura sufficiente? C’è un limite, non ideologico ma reale, all’accoglienza? Quanto costa all’erario l’organizzazione dei soccorsi e l’assistenza successiva all’ingresso in Italia? Qual è l’opinione che sul fenomeno ha la maggioranza degli Italiani? Qual è il quadro normativo corretto?  E poi, anche, la maggioranza degli Italiani è contenta dell’UE?

 Interrogativi di questo genere non sono irrilevanti e, se è vero che non siamo una democrazia diretta, è altrettanto vero che non si vede chi – partito, movimento, autorità, organo d’informazione – possa fornirci informazioni attendibili intorno al reale impatto del fenomeno migratorio sul nostro Paese. Proviamo, invece, a dare un’occhiata alle condotte serbate verso i migranti da due Paesi esposti su fronti geograficamente opposti; ma senza che ciò ne implichi una valutazione positiva e solo per acquisire consapevolezza di quel che gli altri fanno.

 Da una parte, consideriamo il caso della Spagna: nel 2022 ha registrato una diminuzione del 23% nel numero degli arrivi rispetto all’anno precedente; e la diminuzione è continuata anche nel 2023.  A ciò la Spagna è pervenuta perché si è accordata con il Marocco che ha assunto l’impegno di esercitare il controllo sulla sua costa atlantica e ha fatto barriera ai migranti provenienti da Mauritania, Senegal, Gambia e Algeria. Accordo recente e, parrebbe, efficace: la liaison con il Marocco è confermata dall’avere questo Paese ammesso per primi gli Spagnoli all’ingresso nel proprio territorio per portare aiuto ai terremotati (e, dato non irrilevante, respinto recisamente le offerte della Francia). Da registrare che la Spagna, che ha importanti enclaves nella costa marocchina, è indirettamente corresponsabile di quanto accaduto, nel 2022, al confine di una di queste enclave, Melilla: ventitré migranti abbattuti dalle forze di sicurezza marocchine per impedirne il passaggio in territorio spagnolo. E da ricordare, ma non lo si fa mai, che la Spagna e, ancor più, la Francia non solo hanno un passato di feroce dominio coloniale protrattosi per secoli, ma sono tuttora potenze coloniali: una qualunque cartina geopolitica lo confermerà.

 La Grecia non ha un passato coloniale (le colonie greche risalgono all’antichità …); e nemmeno può ritenersi oggi una potenza (ma non lo è nemmeno la Spagna), né in UE né in assoluto. Da qualche anno ha costruito – e continua ad estendere – un muro sul fiume Evros, al confine con la Turchia: pare che il numero dei migranti sia molto diminuito. Il muro: la reazione greca alla crisi migratoria del 2020, quando i villaggi greci nei pressi del fiume sono stati invasi dai migranti e gli abitanti hanno denunciato i furti subiti. Da registrare: il muro è lungo una quarantina di km, è dotato di pali d’acciaio alti cinque metri ed è stato costruito integralmente con fondi greci. Qualcuno ipotizza che la sua erezione abbia incrementato i flussi migratori verso l’Italia.

 Si potrebbe continuare su questa linea d’indagine ed esaminare le recentissime misure anti-migranti (forse, anche anti-Italia), assunte da Germania e Francia. In Italia la questione migratoria è complessa non solo in sé (difficoltà di gestione e lunghezza delle nostre coste), ma anche perché non se ne sa molto, ognuno costruendo e propalando la propria narrazione interessata, con ciò dimostrando un sostanziale disprezzo e dell’opinione pubblica e dell’interesse generale. Circolano slogan, boutade, menzogne. Vi è incertezza e anche paura. Su tutto, le colpe dei dirigenti politici incapaci di trovare una linea comune su un problema comune. La divisione ci paralizza, anche se l’impressione è che, sull’affaire migranti, i cittadini siano (molto) meno divisi. Ecco che, da sinistra a destra, si ha bisogno di un terzo a cui addossare la colpa o a cui rivolgersi per sbrogliare la matassa: la cruda realtà è che non siamo capaci di fare da soli, per varie ragioni, ma anche perché siamo schiacciati dallo spettro di assumere responsabilità, spesso non avendo, o smarrendo, la percezione del significato, anche morale, del termine responsabilità.

 Il governo Meloni ci ha sorpreso, ma fino a un certo punto: dalla destra ci si sarebbe atteso che sviluppasse una linea decisionale indipendente e nuova. Invece anche Meloni continua a chiamare, e forse di più, l’Europa (e l’amica von der Leyen) in soccorso. Così la decisione è rimessa agli eventi e l’Italia mina ulteriormente la sua credibilità e alimenta l’atavico giudizio di inaffidabilità e ambiguità. Luca Picotti ha scritto che, da noi, sull’immigrazione ci stanno perdendo tutti, ciascuno avviluppato dalle proprie contraddizioni: destra, sinistra, europeisti. L’analisi è corretta, ma non indica una possibile soluzione, magari parziale, magari temporanea, magari da aggiustare in itinere; e a perderci è più di tutti l’Italia.

 Lo stallo dura da troppo tempo e metodicamente ne scaturisce l’indicazione dell’urgenza di un cambiamento di rotta. Giusto continuare a sollecitare l’Europa, però cercando di non essere monocordi (aiutateci!) e invitando l’Ue ad assumere piuttosto una politica di generale iniziativa verso l’Africa, ove possibile (perché potrebbe non esserlo per la presenza importante in quel Continente di Cina e Russia e per la presumibile ostilità della Francia). Ma contemporaneamente il Governo dovrebbe smettere di fare propaganda e avviare un percorso per elaborare una strategia e un’azione italiane. Se siamo un grande Paese dovremmo avere l’autorità e la forza per presentarci e dialogare utilmente con gli Stati del Nord Africa: mettendoci anche i nostri soldi e non temendo più di tanto la reazione dei cari partners europei, esattamente come gli altri dimostrano di non temere (e non temerci). È sovranismo questo? Può essere. Ma non lo sarebbe sicuramente se un’iniziativa indipendente, italiana, fosse frutto di un’intesa tra maggioranza e opposizione. Il Presidente della Repubblica dovrebbe farsene promotore, almeno invitando al dialogo in argomento: un invito da esprimersi non all’interno dei palazzi, ma pubblicamente. Credo che ciò corrisponda perfettamente alla sua funzione costituzionale. Si vedrebbe allora se i partiti siano capaci di mettere da parte i rispettivi interessi corporativi. Ma, se si continuerà a chiamare l’Europa, si dimostrerà soltanto l’invincibile debolezza della ‘Nazione’; e, soprattutto, l’incuranza verso gli Italiani.

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