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Nasceva Aldo Moro, moriva Aldo Moro
Cenni di storia politica italiana e alcune riflessioni sul presente
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne.
(Giuseppe Ungaretti)
La scelta, la decisione e il coraggio
Il 23 settembre del 1916, ovvero 107 anni fa, nasceva Aldo Moro, cofondatore della Democrazia Cristiana e membro della commissione che si occupò di redigere la Carta costituzionale. La sua personale storia politica è stata, in un certo senso, l’emblema della contorsione, a volte soffocante, fra ideali “religiosi” e volontà pratica di trasformare la realtà attraverso le leggi. Rileggere la vita pubblica e privata di Moro, le sue peripezie politiche e morali, con spirito critico distaccato, capace di evidenziare tanto le ombre quanto le luci del suo percorso istituzionale, ci è oggi di grande aiuto per riuscire ad analizzare le varie drammatiche correlazioni esistenti con il nostro tempo.
La morte di Moro è, infatti, la vera tragedia della politica italiana dell’ultimo secolo. È il segnale d’inizio di un declino inarrestabile del valore decisionale politico, inteso in senso stretto, che procederà poi in modo esponenziale fino all’impotenza pressoché totale della tecnopolitica dei giorni nostri. L’intreccio perverso fra finanza, oligarchia mondiale, terrorismo, crisi dell’esperienza di fede, morte della decisione politica, rinuncia dello Stato alla piena vocazione democratica; tutto ciò è evidentemente racchiuso nell’oscurità dell’affaire Moro, come lo chiamò Leonardo Sciascia. Perciò è ancora molto importante parlarne, poiché le cose che andremo a vedere sono tutt’altro che risolte. A cominciare dalla falsa sospensione di una politica dei due blocchi (si vedano le implicazioni egemoniche nell’attuale Guerra in Ucraina), contro la quale proprio Aldo Moro si batté, in piena Guerra Fredda, per cercare seriamente di superarla.
Per iniziare col piede giusto, è opportuno fare una piccola parentesi culturale che tenga insieme l’ingerenza oligarchico-finanziaria nella politica italiana e la necessità di ripristinare al più presto una dialettica fra democratici laici e democratici, cosiddetti, credenti (quei pochi che sono rimasti in circolazione). Tanto per fare un esempio, il contributo del disegno moroteo di allargamento della democrazia a partire del concetto di laicità come «testimonianza[1]» sia politica che ovviamente spirituale, rimane un punto centrale per il nostro dibattito politico (se non fosse oggi così terribilmente viziato e corrotto da un’informazione alienante, ignorante e manipolatrice). Infatti quando cultura, informazione e politica diventano lo specchio riflettente delle esigenze dei grandi potentati economici, tutte queste dimensioni cessano inevitabilmente di essere una speranza per la costruzione di una società meno frammentata e più consapevole. Se il denaro è politicamente, e socialmente, accettato, come ci ha insegnato Karl Marx, in quanto «motore equivalente generale di tutti gli scambi e involucro del valore[2]» — di un valore dunque utilitaristico ma anche “psicologistico” —, allora, che importanza potrà mai avere l’interrogazione sul senso di una visione politica o, ancor più, spirituale della realtà comune in cui viviamo? Esso, il Denaro, avrà sempre la meglio sulla relazionalità e sulla cura del linguaggio come discorso politico. Tutto diventa così interesse e “volontà di potenza”. Ed è quello che vediamo in opera anche oggi ogni giorno.
Come è noto per Aldo Moro la mobilitazione dei corpi intermedi dello Stato (la famiglia, il sindacato, le associazioni culturali, i circoli creativi), e il loro coinvolgimento nella decisione politica nazionale, era un punto programmatico inderogabile[3]. Il suo scopo politico e culturale — da buon cattolico sociale[4] quale egli era — non si limitava alla semplice organizzazione della società, ma aveva anche una intenzione “costituente” e pedagogica[5]. Essa, però, essendo il frutto di una visone spirituale universale (“cattolico” vuol dire universale) di crescita dell’essere umano, veniva sottovalutata, o vista negativamente, da chi questa apertura cristologica e antropo-teo-logica non la possedeva. Da chi cioè — già allora — si occupava di politica in senso esclusivamente tecnico, affaristico ed economicistico. Come se la politica altro non fosse che un susseguirsi di egoistici interessi di bottega, senza il ben che minimo desiderio di un cambiamento spirituale rivoluzionario delle condizioni socioculturali generali volte a favorire il «pieno sviluppo della persona umana» (Art. 3 comm. 2).
Testimonianza laica-spirituale
Senza voler in alcun modo fare l’elogio della Democrazia Cristiana che, da molti punti di vista, fu un’esperienza politica morbosa e piena di contraddizioni al suo interno, bisogna pure ammettere che oggi la mancanza di un polo laico testimoniale che si rifaccia esplicitamente a un orizzonte di carattere mistico-spirituale (nel caso della DC sarebbe meglio dire religioso-spirituale) è una delle concause dell’avanzata incalzante di una certa filosofia politica riduzionista e anti-umanista che, soprattutto negli ultimi decenni, è fiorita indisturbata a destra come a sinistra. Quindi, a scanso di equivoci, è senz’altro un bene che la visione spesso “moralistica” e “cerchiobottista” della DC sia ormai storia conclusa (anche se, a ben vedere, questa conclusione non è di certo avvenuta in modo “naturale”); eppure, per onestà intellettuale, occorre rimarcare che ciò che venne subito dopo non fu migliore rispetto al modus operandi che ha caratterizzato la politica della casta e degli inciuci. Né fu più conveniente rispetto alle logiche consociativistiche che segnarono, in modo trasversale, una parte importante della storia della Prima Repubblica.
Nel panorama politico odierno non esiste una vera posizione, nemmeno teorica, che possiamo considerare antagonista al Sistema neoliberista; che cioè si faccia portatrice di una visione antropologica e culturale diametralmente opposta a quella meccanicistica e finanziaristica, la quale concepisce l’umano come una merce inanimata e totalmente necessitata dalle condizioni materiali e ambientali. Tutte le posizioni in campo, volenti o nolenti, sono oggi al servizio dell’ordine mercantile dominante. Siano esse d’ispirazione marxista o di derivazione liberale illuminista. L’appiattimento culturale sulla dimensione tecnologica e finanziaria dell’intera classe dirigente italiana (ed europea), è talmente forte da rendere superflua ogni memoria relativa alle proprie derivazioni ideologiche di appartenenza.
Destra e sinistra, lo si è pensato tante volte, non hanno più alcuna ragione d’esistere[6]. La storia politica ha così, da una parte, perso il suo senso dialettico ideale, divenendo un tutt’uno con l’omologazione consumistica della legge di Mercato (Pasolini docet); ma, dall’altra, ha anche acquistato — potenzialmente — una maggiore libertà d’espressione che, per il momento, e si spera che sia solo per il momento, fatica ad esercitare con quel grado di maturità e di coraggio che sarebbe opportuno avere ogni qual volta aumenta il livello di responsabilità. Come dire, pensandola un po’ più ottimisticamente, forse, non tutti i mali vengono per nuocere. Ma, su questo punto, staremo a vedere.
Una storia da sondare
Restando sempre alla nostra realtà più recente, in Italia il legame fra mondo “laico” e mondo “cristiano democratico” col famoso Compromesso storico (1973) tanto ambiguo e rischioso quanto ambizioso e innovativo, è stato forse l’ultimo tentativo di coraggiosa resistenza politica stricto sensu nei confronti dell’avanzata del vero grande “terrorismo” speculativo, ovvero quello militare-finanziario-transazionale che, al tempo di Moro, aveva già ignobilmente favorito — ad esempio — il colpo di Stato cileno con la destituzione violenta di Salvador Allende per mano statunitense (motivo questo per cui Berlinguer, preoccupato della delicata situazione italiana, decise di assecondare Moro e di provare la via del Compromesso[7], cercando comunque, dal suo punto di vista, di mantenere in piedi una certa “vocazione maggioritaria”).
Eppure, come tutti sappiamo, il compromesso storico non andò in porto. Non solo. Il vincolo stretto (anche se forse inevitabile) che era nato subito dopo la Seconda guerra mondiale col celeberrimo Patto atlantico, avallato e sostenuto soprattutto dalla DC di De Gasperi, unendosi all’operazione economica del Piano Marshall (1947) per la rinascita dell’Europa sotto il dominio degli Stati Uniti, portò ad un indebolimento politico come mai era successo. Questi due fondamentali episodi, morto il Presidente Moro, ebbero un’accelerazione fortissima e un consolidamento micidiale da parte di quasi tutte le susseguenti classi dirigenti italiane. Fino ad arrivare alle spudorate politiche, per l’appunto succubi dell’atlantismo assoluto, dei governi prima Draghi e poi Meloni[8].
Infatti, guarda caso, dopo la visita di Stato di Aldo Moro a Henry Kissinger negli Stati Uniti (1974), dove Moro — diciamo così — fu messo in guardia sulla pericolosità delle sue idee politiche, idee che in quel momento erano decisamente “non allineate” ai desiderata d’Oltreoceano[9]; ebbene, qualche anno dopo, proprio nel giorno fatidico della fiducia al governo di Solidarietà Nazionale, che avrebbe portato alla formazione di un patto fra PCI e DC troppo forte e pericoloso per gli equilibri geopolitici euro-statunitensi, ecco che il Presidente della DC fu rapito dalle Brigate Rosse, con l’esito tragico che purtroppo conosciamo tutti[10]. Il resto, verrebbe da dire, se fossimo in un paese veramente libero e democratico, è storia. Ma, purtroppo, non è così.
Ad oggi esistono almeno due possibilità storiche sul caso del rapimento di Moro: una possibilità che possiamo definire giornalistica e giudiziaria, basata sui fatti di cronaca di quei giorni, sulle interviste e sulle immagini televisive; ma poi c’è anche la storia “segreta”, insabbiata e mai del tutto rivelata all’opinione pubblica, nonostante le numerose prove, la quale è di sicuro la più completa e rilevante. Questa sorta di seconda opzione storica ogni volta che viene affrontata rischia di diventare troppo ingarbugliata e complessa per noi comuni mortali. E potrebbe, inoltre, farci deragliare verso quelle che il mainstream chiamerebbe infinite “teorie del complotto”. Anche se la storia, in generale, conosce da sempre forme più o meno note di “complotto” o di “retroscena” a scapito dei popoli o di personaggi scomodi di rilievo (vedi le recenti dichiarazioni di Amato sulla strage di Ustica). Dunque non sarebbe poi una grande novità se dietro al rapimento di Moro, o dietro ad altri fatti poco chiari del nostro Paese, ci fosse lo zampino di strutture di potere paramilitari come Gladio[11] o di altre meno note. Diverse Commissioni d’inchiesta parlamentare, come quelle presiedute dall’On. Giuseppe Fioroni (2015-2017), hanno fatto emergere elementi evidenti che vanno inquadrati in questa direzione di compromissione e di scandalo. Solo chi si ostina a non volerli vedere non li vede.
Di certo un evento sconcertante come quello relativo al fallimento del programma euro-comunista, da una parte, e la morte straziante ed enigmatica di Aldo Moro, dall’altra, ha creato uno shock, un trauma o — per meglio dire — una rimozione collettiva nella vita politica italiana che ancora adesso è difficile da affrontare. È come se si fosse spenta nel terrore la fiamma che ardeva e scaldava i cuori di moltissimi militanti politici, i quali si ritrovano oggi orfani e rassegnati di fronte all’ineluttabilità del potere violento e tiranno[12]. La crisi terminale della politica a cui assistiamo in questo nostro drammatico presente, ha quindi radici lontane nel tempo. Una di queste arriva direttamente dalle vicende accadute nei caotici anni Settanta, dove la svolta tecnopolitica europeista, unita al progressivo atto di arrendevolezza nei confronti della visione imperialistica americana, hanno segnato il destino nefasto di un paese, l’Italia, che era uno dei paesi più all’avanguardia e potenzialmente autonomo nel mondo.
Con l’assassinio di Moro sembra così morire l’idea che la politica possa contrastare i giochi occulti dei “poteri forti” cosmopoliti. Esattamente come con la morte di Falcone e Borsellino, avvenuta circa due decenni dopo, sembra svanire ogni possibilità di porre fine alle ingerenze della mafia nelle istituzioni di garanzia democratica. Eppure, c’è anche chi la vede all’inverso. Questi ultimi, infatti, sono convinti che il martirio (dal gr. martýrion che vuol dire “testimonianza”), di queste nobili personalità politiche e giuridiche, potrebbe essere proprio quello sprone emancipativo fondamentale che serve a far riaccendere in ogni momento il desiderio di praticare una vera lotta antisistema non violenta e, allo stesso tempo, radicale. Una lotta che sia sì all’ultimo sangue, ma dove a esercitare la violenza e il fanatismo armato non siano mai coloro che lavorano per portare pace e giustizia sulla terra. Ma, affinché ciò possa avvenire, occorrerà accentuare sempre di più quella potenza politica visionaria che solo una tensione spirituale (laica) è in grado di sviluppare. Una tensione, cioè, fondata su basi culturali ed antropologiche millenarie. Altrimenti è chiaro che questo secondo atteggiamento, meno sottomesso e rassegnato del primo, dal punto di vista razionale, apparirà sempre come un tentativo utopico e puerile di voler salvare il mondo a colpi di bacchetta magica, quando invece è proprio il contrario.
Rianimazione dei corpi politici
Arrivati a questo punto, le domande che si fanno più pressanti sono: come fare a ridare coraggio e speranza a tutti coloro che si sentono sconfitti ancora prima di provarci? Come fare a recuperare la legittima dignità delle proprie idee politiche, dei propri sforzi contro-egemonici, dei desideri onesti di emancipazione concreta dai vari “vincoli” economici e sociali sempre più opprimenti? E ancora: come fare a uscire dalla costrizione di un «tempo già giudicato[13]» se nessuno ricorda più all’essere umano che egli è innanzitutto Spirito, e che quindi non è mai ontologicamente determinato dagli eventi, ma, anzi, è sempre libero di scegliere e di lottare per la propria trasformazione e liberazione politica e personale? Rispondere a queste domande non è affatto semplice. Non lo è mai stato. Ma una cosa è certa: senza una progettualità politica che tragga la sua forza propulsiva da quell’enorme bacino energetico e culturale che è la tradizione spirituale messianica, la quale «coincide — come ci ricorda puntualmente Marco Guzzi — con l’intera modernità[14]», sarà molto arduo immaginare una via alternativa al nichilismo dataista e trans-umanista ogni giorno più presente e imperante[15].
Se non ci sforziamo di alzare lo sguardo e valutare le vicende politiche da una prospettiva meno particolaristica, come ha tentato di fare lo stesso Aldo Moro (con i limiti della sua persona e del suo tempo), sarà impossibile fronteggiare le battaglie antropologiche che ci attendono. La rivoluzione politica e spirituale, radicalmente non violenta, che dobbiamo incentivare, non è una pia chimera concettuale[16]. Nè possiamo pensare che essa potrà mai compiersi all’interno di una logica esclusivamente partitica, ideologica o “settaria”. Tutte le interpretazioni rivoluzionarie(estremamente belliche) di sinistra e di destra, hanno ormai fatto il loro tempo. E di sicuro non è questa l’ora di mettersi a leccare le ferite.
Moro aveva visto lungo quando già nel 1978 parlava di «flessibilità» e di «assoluta coerenza[17]», riferendosi alla propria aria di appartenenza. Questi due comportamenti, che possono a prima vista risultare contrastanti o, per dirla con una battuta, troppo “democristiani”, se ascoltati con la giusta sensibilità, sono oggi indispensabili per poter costruire una dimensione politica che sia dialogica e, al tempo stesso, unitaria nel fronteggiare i colpi finali del Sistema neocapitalistico. Nella prospettiva dell’ultimo Moro, per l’appunto, l’ambizione costituzionale di mantenere una sovranità politica autentica nei confronti delle decisioni sovranazionali non era un principio di esclusività “di partito”. Ma era — o, meglio, cercava di essere — la condizione senza la quale il Paese intero sarebbe stato soggetto a restrizioni extra-territoriali antidemocratiche e, di fatto, controproducenti per l’economia nazionale. Cosa che puntualmente, a partire già dal governo Andreotti in poi, avvenne.
Politica e Spiritualità
L’obiezione più frequente che viene tirata fuori ogniqualvolta si cerca di ripensare l’equilibrio politico fra potere spirituale e potere immanente (equilibrio questo che, tra l’altro, come ci ricorda Geminello Preterossi, resta il punto archimedeo attorno al quale ruotano le luci e le ombre dell’intero ciclo della Modernità[18]), riguarda l’accusa di passatismo, di fondamentalismo religioso, di bigottismo o persino di clericalismo antidemocratico. Come se criticare un determinato assetto di mondo incentrato sulla concezione dogmatica e fideistica secondo la quale l’essere umano e il mondo del reale altro non sono che oggetti, meccanismi e agglomerati di atomi del tutto casuali, fosse di per sé un voler ritornare in dietro ai tempi pre-westfaliani. O, se si è cattolici moderni, pre-conciliari. Questa reductio ad unum è tipica della mentalità egoico-bellica[19] e separativa. Essa, infatti, non si capacita del fatto che si può essere, ad esempio, fedeli alla propria tradizione spirituale (senza alcuna rigidità) e, al contempo, abbracciare le trasformazioni positive ed evolutive che si sono via via manifestate a partire dall’inizio dell’evo moderno[20].
Insomma, non è così difficile capire che, per esempio, si può essere estremamente contestativi della posizione filosofica atea e materialista, ma, contemporaneamente, essere fermamente convinti che la risposta integralista di un certo modo iper-conservatore di intendere “sacralmente” la politica sia una pura mistificazione dalla quale, grazie a Dio, almeno in Occidente — anche, e non solo, per merito di filosofi come Kant, Lessing e Montesquieu — ne dovremmo essere usciti fuori definitivamente[21]. Che poi da parte dei soggetti singoli che hanno compreso questa importante connessione ci siano ancora enormi difficoltà sul piano dei rapporti di forza politici e del linguaggio comunicativo culturale più adeguato per trasmettere il senso di questo arduo messaggio, è tutto un altro discorso.
Questa ricorrenza della nascita di Aldo Moro non voleva affatto essere un pretesto per rammemorare una triste sconfitta della nostra storia politica e, insieme, festeggiare una vittoria simbolico-spirituale del “prigioniero” sui desideri meschini dei suoi carnefici. Anche questo, certo, ma non solo. Essa è l’occasione per parlare di un dilemma politico-antropologico che si radica nel faticoso rapporto filosofico fra principio di laicità, “atto di fede” e moto rivoluzionario messianico che si fa azione politica nella storia. Un rapporto triplice questo che lo stesso presidente della DC viveva con grande apprensione, oltre che con saggia mediazione politica. Quando esercitava l’arte evangelica della “parola”[22] egli era molto attento a non scivolare nella facile retorica “religiosa” del falso ecumenismo. E, nonostante la sua figura venisse spesso associata a una certa immagine stantia e prosopopeica della Chiesa, la sua capacità di segnare con nettezza le differenze culturali e politiche fra le diverse parti che componevano lo scacchiere politico di allora, pur mantenendo sempre una postura dialogica di ascolto, lo rendono ancora oggi un esempio di disciplina politica da rammemorare.
Ultimi spunti di riflessione su Moro
Per concludere, ritornando alle luci e alle ombre del tempo di Aldo Moro, bisogna ancora sottolineare l’importanza che ebbe la sua figura per quel che concerne la dimensione geopolitica dell’Italia. Egli fa parte di quei nomi-episodi storici che, come Enrico Mattei con l’Eni e il socialista Bettino Craxi con la crisi di Sigonella, a modo loro hanno provato a rispondere politicamente — e cioè sovranamente, come recita la nostra Costituzione — alle “infiltrazioni” dei poteri finanziari trans-nazionali negli apparati principali della politica italiana[23]. Nello specifico Moro, che fu anche «ministro degli Esteri proprio negli anni di nascita della Trilaterale[24]», era perfettamente consapevole che dietro la “strategia della tensione”, e dietro agli altri innumerevoli casi di depistaggio istituzionale interno, si muovevano interessi di tipo finanziario e geopolitico occulti (Sismi, Cia, P2, ecc…).
Perciò la sua vita politica, dopo il tragico omicidio che nessuno fu mai realmente intenzionato a sventare, come dimostra il ruolo criptico di Cossiga — detto anche il «grande temporeggiatore[25]» (Sciascia) —, ha un enorme valore politico testimoniale messianico. Per chiunque voglia continuare la lotta nei confronti di un potere senza né scrupoli né volto, così sembra almeno a prima vista, l’immagine di Moro è da tenere sempre bene in mente. Non tanto come “santino” inanimato, ma piuttosto come luce rivelativa del fatto che la politica, quando è vera politica, può davvero far tremare quelle strutture di potere che si credono invincibili, invisibili e incontrastabili. Infatti, l’evoluzione del Sistema della guerra e della logica criminale della cyber finanza, oggi ancor più che ieri, si crede davvero imbattibile. Dunque, se la politica della “prassi” continuerà ad abdicare al suo ruolo di governance degli apparti tecnici ed economici, è presto detto che anche la politica con la p maiuscola non avrà alcun realistico futuro.
La storia della Democrazia Cristiana è stata interamente una storia di chiaroscuri insopportabili, di atlantismi fuori misura, ma anche di antiamericanismi sinceri; di trasversalità lungimirante, ma anche di bigottismo settario; di miglioramento della democrazia partecipativa, ma anche di inutili impedimenti gerarchici. Insomma, a parte Moro e pochissimi altri, non si può dire che si ha nostalgia di quel tipo di riferimento politico. Tuttavia, soprattutto grazie all’impegno politico di Moro e al suo contributo assolutamente innovativo di coniugare fede e politica, una parte della DC si stava lentamente avviando verso un cambiamento di rotta che avrebbe reso il partito, forse, più moderno e meno schiacciato su tesi contraddittorie fra di loro. Chi lo sa…
A noi contemporanei potrà sembrare strano pensarla così, ma, come dice lo storico De Rosa: «Moro aveva il senso di una modernizzazione […] aveva la sensazione che questo era il fatto nuovo […] di un paese che oramai era cresciuto e che aveva bisogno di altre strutture, che bisognava arrivare a sbaraccare, in un certo senso, quell’apparato dello Stato attorno a cui vivacchiavano enormi clientelismi di massa[26]». Quindi, viste anche le conseguenze della sua missione politica, dobbiamo ammettere che è esattamente così. Aldo Moro fu “moderno” e “rivoluzionario” allo stesso tempo. Proprio perché parlò, in tempi non sospetti, di vivere la propria «responsabilità» politica con fierezza e grande senso della libertà costituzionale e democratica[27]. Una lezione questa che, a quanto pare, vista la deriva degli ultimi tempi, dobbiamo ancora imparare. E chissà quanto tempo ci vorrà prima di vedere spuntare in Italia un figura capace di avere un coraggio e una libertà di azione politica come quella che ebbe il presidente Aldo Moro nei confronti dei potenti di questo mondo. Non possiamo far altro che attenderla, ma, nell’attesa, contribuire nel nostro piccolo a costruirla.
[1] Aldo Moro, Discorsi politici, Cinque Lune, Roma 1978, p. 190
[2] Karl Marx, Il Capitale: critica dell’economia politica, Newton Compton, Roma, 2015 p. 54
[3] Gabriele De Rosa, Da Luigi Sturzo a Aldo Moro, Morcelliana, Brescia, 1988 p. 40 — Questa apertura nei confronti dei comitati e delle organizzazioni para-politiche e culturali non nasce con Moro, ma con la resistenza anticomunista del 1948 ad opera dei Comitati Civici. Scrive infatti lo storico De Rosa che «i Comitati Civici svolsero un’azione determinante per il successo elettorale della DC, questo successo fu però gestito da De Gasperi entro una prospettiva laica, di scelta politica di campo, e di adeguamento della massa cattolica alla razionalità capitalistica dei paesi occidentali». In seguito, Moro, ereditò e portò avanti in modo ancora più incisivo e decisamente più “moderno”, almeno per quei tempi, questa prospettiva orizzontale.
[4] Norberto Bobbio e Franco Pierandrei, Introduzione alla Costituzione, Laterza, Roma-Bari, 1974 p. 28 — Il cristianesimo sociale era convinto che «favorendo lo sviluppo di associazioni intermedie, si venissero costituendo associazioni di mestiere, composte sia da lavoratori che da imprenditori, che furono dette corporazioni, dalle quali ci si aspettava che la lotta di classe […] fosse conciliata in una mutua comprensione dei rappresentanti del lavoro e del capitale, sottoposti alla stessa legge della morale cristiana».
[5] Aldo Moro, Lezioni di Filosofia del diritto tenute presso l’Università di Bari. Il Diritto 1944-1945, Cacucci, Bari, 1978 p. 218 — «Bisogna riaffermare che, se lo Stato è, com’è certamente, etico, lo è in quanto in sé accoglie e compone in armonia i valori sviluppati dai singoli e dagli aggregati sociali minori dei quali si compone e senza dei quali non sarebbe»: «va, quindi, fugato il possibile equivoco che induca a vedere lo Stato non già come tutta la vita nel suo significato, ma come un’aggiunta ad essa, quasi che la sintesi caratteristica che esso compie, non già limitandosi a presentare forma di unità, compiuta e ordinata, la totalità dei valori della vita di relazione, partendo invece da essi, in certo modo li superi, ponendosi come una realtà autonoma, nella quale soltanto possa dirsi realizzato il valore dell’uomo».
[6] A riguardo, già nel 1961 Moro, intervistato nel programma Rai “Tribuna politica”, esprimeva sinceramente la necessità di superare la contrapposizione violenta tra destra e sinistra, non tanto per favorire una personale logica di partito, quanto per perseguire in modo comune e unitario il bene del Paese:
[7] Enrico Berlinguer, Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, articolo apparso sulla rivista Rinascita il 12 ottobre 1973 —«Se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica. D’altronde, la contrapposizione e l’urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a una spaccatura a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico».
[8] Vedi le dichiarazioni delle premier Giorgia Meloni e i rapporti Nato-Italia-Usa per ciò che riguarda l’invio di armi in Ucraina: «Siamo un membro della Nato — ha dichiarato la Meloni in Parlamento il 21 marzo 2023 — e condividiamo la sua posizione sull’aggressione della Russia all’Ucraina. […] Noi inviamo armi all’Ucraina anche per poter tenere la guerra lontana dal resto d’Europa e da casa nostra».
[9] Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Einaudi, Torino, 2011 p. 528 — «Il riferimento era al noto incontro di New York del settembre 1974 presso la “Blair House”, quando alcuni testimoni attestarono che Moro era stato minacciato dal segretario di Stato Kissinger per l’indirizzo dato alla sua politica».
[10] Maria Isabella Colli, Il compromesso storico, Il Punto, Torino, 1984 p. 98 — «Il 16 marzo doveva, nelle aspettative del PC, rappresentare il primo momento politico di una fase storica nuova, di “compromesso storico”, seppure nei tempi proposti dal Aldo Moro. Gli sviluppi successivi si incaricheranno di smentire gli entusiastici ottimismi comunisti: in realtà con l’inizio di sperimento della Solidarietà Nazionale cade la prospettiva di realizzare nell’immediato il “compromesso storico”; forse gli scopi, tuttora ignorati, del terrorismo e del rapimento Moro erano nel tentativo di arrestare la strategia “eurocomunista”, e di lacerare ulteriormente la società, bloccando un progetto di ampia partecipazione democratica».
[11] Per approfondimenti su questo tema: Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere. Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1946 a oggi, Riuniti, Roma, 1996
[12] A riguardo, è fondamentale per comprendere la vicenda Moro nei suoi aspetti più investigativi e storiografici il testo già citato in precedenza di Gotor. In particolare si suggerisce la lettura dei capitoli VIII e IX.
[13] Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, cit. p. 564 — «Il fenomeno più evidente sembra essere stato il progressivo scadimento del tessuto etico-civile del paese che forse non ha uguali nell’ormai lunga storia unitaria dello Stato italiano perché ha l’aggravante di essere avvenuto entro una cornice democratica e in un periodo di pace: sotto questo aspetto stiamo vivendo da troppi anni un tempo già giudicato».
[14] Marco Guzzi e Fausto Bertinotti, Pace e Rivoluzione, Mariù, Roma, 2023 p. 43-44
[15] Ivi. p. 129 — «La tensione del mondo attuale, per quanto io speri e creda che non possa realizzarsi — dice Marco Guzzi —, è verso un eterno inferno di guerra digitalizzato, verso un sistema tecnocratico di intelligenze artificiali che elimini completamente la libertà dell’essere umano e la speranza che gli è propria di poter cambiare».
[16] Ivi. p. 165 — A proposito del rapporto fra rivoluzione e non-violenza, dice Bertinotti: «C’è una ricerca del sacro, che non è la mia, ma della quale non posso fare a meno. La non-violenza è secondo me il terreno di questa cultura, e non è un caso che, seppure con tendenze minoritarie, nella fase nascente della globalizzazione, quando i neoconservatori americani proposero la guerra preventiva… insieme all’istanza pacifista prese piede la ricerca sulla non-violenza».
[17] Aldo Moro, Il governo di solidarietà nazionale: intervento, gruppi parlamentari del partito (DC), 28 febbraio 1978
[18] A riguardo, importanti sono le parole del professor Geminello Preterossi, Teologia Politica cit., p. 36-37 il quale, riflettendo sulle tesi di Hobbes, ci ricorda che — «Lo Stato moderno è sì un sostituto di dio ma in quanto veicolo di secolarizzazione: essendo un prodotto integralmente umano è caduco, esposto alla contingenza; poiché la pacificazione come risposta all’uguaglianza nella vulnerabilità può rivelarsi essa stessa vulnerabile». Dunque, nessun facile irenismo o semplificazione delle tensioni tra potere immanente e potere trascendente, tutt’altro.
[19] Marco Guzzi, Buone Notizie. Spunti per una vita nuova, Messaggero di Sant’Antonio, Padova, 2013 p. 95 — «Stiamo comprendendo, in altri termini, e specialmente a partire dalla seconda guerra mondiale, che se continueremo a gestire il mondo in modo bellico, e cioè seguendo gli interessi particolaristici e contrapposti dei popoli, delle classi, o delle fazioni ideologiche, finiremo col distruggerci».
[20] A riguardo, leggiamo insieme queste poche righe che riassumono bene il perché dell’importanza della scienza e, in generale, dell’avvento della svolta moderna — «La scienza come noi la intendiamo è la conseguenza dell’affrancamento dell’uomo moderno, verificatosi per la prima volta in Occidente, dalle potenze sacrali che prima dominavano la natura e la stessa società nel suo insieme. Vi è perciò nel sapere scientifico un’istanza di liberazione dall’asservimento al sacro di cui si è fatto interprete storico l’Illuminismo, col suo succedaneo del Positivismo, e che sarebbe folle misconoscere o negare». Cit. tratta dal saggio Un rapporto impossibile e necessario di Mauro Ceruti e Giuseppe Fornari contenuto all’interno del volume Lo Spartiacque. Ciò che nasce e ciò che muore a Occidente, Paoline, Milano, 2006 p. 43
[21] A riguardo, resta fondamentale la Conferenza tenuta da Joseph Ratzinger la sera di venerdì 1 aprile 2005 a Subiaco, intitolata l’Europa nella crisi delle culture,dove egli fece riferimento al fatto che — «l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana. Laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato. Nonostante la filosofia, in quanto ricerca di razionalità – anche della nostra fede – sia sempre stata appannaggio del cristianesimo, la voce della ragione era stata troppo addomesticata. É stato ed è merito dell’illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce».
[22] Aldo Moro «fu politico della parola». Secondo la definizione della dello storico Guido Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, Il Mulino, Bologna, 2016
[23] Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, cit. p. 514 — «A proposito delle relazioni geopolitiche internazionali è interessante segnalare come il prigioniero nel memoriale citasse per due volte la “Trilateral Commission”. Il riferimento era alla nota associazione di circoli industriali, economici, finanziari e politici nata nel giugno 1973 per iniziativa di David Rockefeller allo scopo di studiare nuove strategie di governo su scala globale dell’economia capitalistica in Europa, Stati Uniti e Giappone».
[24] Ivi. p. 515
[25] Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, Adelphi, Milano, 1994 p. 46
[26] Cit. dal video documentario C’era una volta ALDO MORO: cronaca di una congiura di Stato presente dal 15-03-2021 sul canale YouTube “Nova Lectio”: https://www.youtube.com/watch?v=2KWVFI7yYxs
[27] L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta: Partiti e organizzazioni di massa, Rubbettino, Catanzaro, 2003 p. 57 — «Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà» Cit. tratta dall’ultimo discorso di Aldo Moro ai gruppi parlamentari del 28 febbraio 1978.
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