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Cosa è successo in Nagorno Karabakh: siamo sicuri che gli “aggrediti” siano tutti uguali?


4 Ott , 2023|
| 2023 | Visioni

Il Nagorno Karabakh (Artsakh in lingua armena) era, almeno sulla carta, una regione formalmente autonoma interna all’Azerbaijan, di fatto costituita in Repubblica autonoma, che aspirava a riunirsi con la madrepatria armena.

La querelle nacque a causa di uno dei tanti errori a suo tempo commessi dalla dirigenza sovietica – per la precisione da Stalin, allora commissario del popolo per le nazionalità – che nei primi anni Venti del secolo scorso stabilì che il territorio a maggioranza armena dovesse essere inglobato in quello di un’altra repubblica socialista sovietica: l’Azerbaijan. Qualcosa di simile avverrà nel 1954, quando il leader del tempo, Nikita Kruscev, deciderà di inserire la penisola di Crimea, a maggioranza russofona, nel territorio dell’Ucraina.

Se e fin quando la Federazione sovietica è sopravvissuta si trattava di modifiche territoriali di scarsa rilevanza, ma nel momento in cui l’URSS si è dissolta, dando vita a quindici stati sovrani, la questione dei confini nazionali ed etnici è tornata in auge. La regione contesa tra le due repubbliche ex sovietiche, difatti, è stata la causa di tre conflitti: quello del 1988-1994, nel 2020, con alterne fortune per i due contendenti, per arrivare a quello dei giorni nostri.  

Se negli anni Novanta fu l’Armenia a prevalere, spalleggiata dal potente alleato russo, a circa trent’anni di distanza le parti si sono invertite e l’Azerbaijan – che ha notevolmente potenziato le sue risorse militari, grazie ai proventi dei fossili e al sostegno degli alleati turco e israeliano   – si è praticamente reimpossessato del Nagorno Karabakh, del quale già nel 2020 si era assicurato in parte il controllo. I fatti dei giorni scorsi, però, hanno avuto riflessi molto più significativi sui residenti di etnia armena, che hanno abbandonato le loro case per dirigersi verso la madrepatria. I numeri di questo vero e proprio esodo sono imponenti: dei circa 120mila residenti, si stima che oltre centomila si siano diretti, in macchina o in autobus, verso l’Armenia. I primi arrivi dei profughi, specie anziani, donne e bambini, sono avvenuti il 24 settembre presso il centro di accoglienza armeno di Kornidzor, con numeri in costante e rapida crescita nei giorni successivi.

Ricorderemo brevemente la cronaca degli ultimi fatti, con la guerra lampo consumatisi nel giro di un paio di giorni, preceduta da un attacco lampo azero del 19 settembre, iniziato col pretesto di un’operazione antiterrorismo, dopo la morte di alcuni civili e militari azeri causata dall’azione di presunti sabotatori armeni. Il fatto aveva fornito il classico casus belli per l’intervento delle forze di Baku. Successivamente, il 26 settembre una forte esplosione aveva colpito l’area di Stepanakert, “capitale” dell’autoproclamato (e mai riconosciuto) stato dell’Artsakh, corrispondente più o meno al Nagorno Karabakh: la deflagrazione ha distrutto un deposito di carburante, provocando decine di morti e centinaia di feriti, tra coloro che stavano facendo rifornimento. Non è ancora chiaro se si sia trattato di un attentato o di un incidente, ma l’episodio si è innestato in una situazione di tensione che andava avanti da giorni. Gli armeni non sono intervenuti a sostegno dei propri connazionali, probabilmente nella consapevolezza della superiorità, in termini di uomini e mezzi, degli azeri.

Per la cronaca, nel corso delle operazioni militari, gli azeri hanno colpito un veicolo russo delle forze di peacekeeping, uccidendo i cinque militari a bordo; le autorità di Baku hanno dichiarato che i colpevoli saranno perseguiti per il fatto, con tanto di scuse ufficiali di Aliyev a Putin.

Per spiegare le ragioni della guerra lampo, che praticamente ha portato all’annessione completa dell’Artsakh da parte degli azeri – annessione tra virgolette, visto che sulla carta parliamo di un territorio che già faceva parte dell’Azerbaijan – occorre esaminare una serie di dinamiche geopolitiche che si innestano nel Caucaso.

L’operazione militare speciale o guerra di aggressione russa, a seconda delle letture, iniziata nel febbraio del 2022, ha sconvolto molti equilibri geopolitici, compresi quelli della regione caucasica, incidendo anche sui rapporti tra la Russia e la Turchia: basti pensare all’affare del grano o al transito del mar Nero. Tenuto conto dell’importanza crescente di Ankara per Mosca, visto e considerato che la Turchia è il più stretto di Baku per via delle comuni tradizioni etniche, linguistiche e religiose, Putin tutto potrebbe volere, tranne inimicarsi Erdogan prendendo le difese degli armeni contro gli azeri.

Questo mutamento di linea politica, con ogni probabilità, era stato percepito a Yerevan, tanto che il governo armeno – forse alla ricerca di nuovi alleati per le note diatribe con Baku – nelle scorse settimane aveva lanciato diversi segnali all’Occidente.

In realtà non si tratta dell’unica lettura che si può proporre, visto che i rapporti tra Armenia e Russia – sulla carta alleati e membri del CSTO, Collective Security Treaty Organization, l’organizzazione di sicurezza collettiva che lega Mosca a diversi paesi ex-sovietici – hanno conosciuto negli ultimi anni diverse fasi critiche. Yerevan ha maturato un avvicinamento agli Stati Uniti, culminato con la visita dell’allora speaker della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi, seguita da vari altri episodi sgraditi a Mosca, come le esercitazioni militari congiunte tra armeni e statunitensi di fine settembre, poco più che simboliche, o l’invito dei primi di settembre di Gunther Fehlinger, presidente del Comitato Europeo per lo sviluppo della NATO, a lasciare la CSTO per passare alla Nato, ipotesi mai smentita da Erevan. Inoltre, per quanto concerne il conflitto in Ucraina, Yerevan ha assunto un atteggiamento differente, inviando aiuti umanitari a Kiev (ma lo stesso ha fatto la Turchia). Le ultime decisioni in ordine di tempo a insospettire il Cremlino sono state la decisione di ritirare l’ambasciatore presso il CSTO e quella di ratificare lo statuto della Corte Penale Internazionale, la stessa che ha spiccato un mandato di cattura contro Putin per presunti crimini commessi in Ucraina.

Vista in questi termini, la collocazione di sostanziale neutralità serbata dal Cremlino di fronte al nuovo conflitto tra azeri e armeni, ferma restando la decisione di non creare problemi coi turchi, potrebbe essere interpretata anche come una sorta di monito verso l’alleato armeno, per dissuaderlo da ulteriori ammiccamenti verso l’Occidente.

Non bisogna dimenticare che il nuovo corso politico di Yerevan, frutto di quella che viene considerata da Mosca come una delle tante rivoluzioni “colorate” a trazione occidentale (la cd. rivoluzione di velluto del 2018), non è mai stato particolarmente gradito, ragion per cui un indebolimento dell’attuale premier Nikol Vovayi Pashinyan, con ogni probabilità, non dispiacerebbe più di tanto ai russi.

E va detto che, al di là delle voci circolate circa una presenza della Wagner in territorio armeno per rovesciare il governo in carica, l’atteggiamento dimesso assunto da Pashinyan rispetto al conflitto lampo dei giorni scorsi – l’Armenia non ha mosso un dito per andare in aiuto degli abitanti del Nagorno Karabakh – non ha giovato alla reputazione del premier, contestato sia in patria, che da parte degli armeni dell’Artsakh. E sappiamo che il popolo armeno serba la memoria storica dei fatti del 1915, quando si consumò quello che per loro fu un vero e proprio genocidio ad opera degli ottomani, fatto mai riconosciuto dalla Turchia (o da Israele).

Proprio quel tragico episodio potrebbe aver indotto, assieme a una situazione di tensione e conflittualità trascinatasi per anni, gli abitanti dell’Artsakh a scegliere la via della fuga, mentre già si parla di pulizia etnica: lo ha detto esplicitamente il premier armeno Nikol Pashinyan, parlando con l’agenzia di stampa russa Interfax. Il timore di massacri o vendette da parte delle truppe azere e la consapevolezza della mancanza della possibilità di potersi difendere, ha spinto la gran parte degli armeni a evacuare dalle loro case. E non occorre dimenticare che nei mesi scorsi la popolazione era stata provata da una carestia, causata dalla decisione degli azeri di tagliare i rifornimenti di cibo e carburante, chiudendo ogni collegamento con la madrepatria, in particolare il corridoio di Lachin, la principale via di collegamento tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia.

La consapevolezza di una sconfitta avvenuta praticamente in 24 ore e senza combattere, è giunta pure dalle dichiarazioni ufficiali dello stesso presidente dell’ Artsakh, Samvel Shakhramanián, che il 28 settembre ha decretato la cessazione dell’entità mai riconosciuta da lui guidata, a partire dal prossimo primo gennaio: in realtà, si è trattato di una mera presa di posizione formale, visto che di fatto l’Artsakh già non esiste più.

A poco sono servite le dichiarazioni ufficiali del padre padrone dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, discendente di una dinastia di despoti locali, che ha voluto rassicurare gli armeni del Karabah, definendoli nuovi cittadini azeri, dicendo che potranno fare ritorno alle loro case in condizioni di assoluta sicurezza, evidentemente senza riscuotere grande successo. Un’amnistia è stata promesse dallo stesso Aleyev per i combattenti che deporranno le armi, mentre permangono per ora alcuni focolai di resistenza.

Oltretutto, non è affatto detto che le mire di Aliyev possano dirsi soddisfatte con l’incameramento completo del Karabakh. Gli azeri, lavata l’onta della sconfitta degli anni Novanta, disponendo di una netta superiorità militare e numerica e spalleggiati da turchi e israeliani, col placet dei russi, potrebbero decidere di conquistare nuovi territori, come la regione la regione del Syunik, con l’obiettivo di ricongiungersi con l’exclave azera del Nakhicevan, a ridosso del confine turco, realizzando il progetto politico del “Grande Azerbaijan”.

Nel frattempo, vinta senza combattere la guerra lampo, Aliyev già il 25 settembre si è incontrato col collega turco Recep Tayyp Erdogan, a Sederek, per inaugurare un nuovo gasdotto, che collega il suo paese con la rete di Ankara, con interessanti prospettive e possibili ampliamenti, che un domani potrebbero incrementare il flusso di oro blu azero destinato all’Europa, che transita proprio dalla Turchia.

E non va sottaciuto il ruolo dell’Iran, il quale ha fornito ultimamente sempre maggiore sostegno all’Armenia, non tanto per spirito di solidarietà – per religione e appartenenza etnica la repubblica islamica sarebbe più vicina agli azeri, che rappresentano un’importante minoranza della popolazione iraniana – ma temendo che Azerbaigian e Turchia possano insinuarsi nei pressi del suo confine settentrionale, il cosiddetto corridoio di Zangezur, una strada lunga una quarantina di chilometri, sita lungo il confine armeno-iraniano, e che collega l’exclave azera del Nakhchivan alla madrepatria. Questo fatto contribuisce a spiegare la ragione per la quale Israele, arcinemico di Teheran, supporti militarmente Baku. Per incidens, ricorderemo che altre due potenze nucleari dell’area, Pakistan e India, forniscono armi rispettivamente ad Azerbaigian e Armenia. Al proposito di forniture militari a Baku, pure l’Italia ha fatto la sua parte, con alcuni aerei da trasporto tattico: forse l’ennesima dimostrazione di come gli interessi economici (il gas) prevalgano su tante belle considerazioni su diritti umani, autodeterminazione dei popoli e difesa degli aggrediti.

Giunti a questo punto, è di tutta evidenza come le dispute sul Nagorno Karabakh assumano contorni e significati ben più ampi di una semplice enclave armena in territorio azero.

Quanto alle restanti reazioni internazionali, citeremo i consueti (e inutili) appelli alla pace di ONU e UE, mentre i negoziati di pace, coi russi in veste di mediatori, si sono limitati a ratificare la resa agli armeni. Il 24 settembre l’ONU ha annunziato l’invio di propri ispettori per valutare la situazione, mentre è caduta nel vuoto la richiesta francese per una convocazione del Consiglio di sicurezza, organismo che peraltro difficilmente potrebbe decidere qualcosa per via dei veti incrociati.

Il giorno 26 è arrivata in Armenia Samantha Power, la direttrice dell’US Agency for International Development (USAID), per offrire il supporto di Washington – forse pressata dalla comunità armena residente in America – e per offrire aiuti economici e la propria garanzia alla “sovranità, integrità territoriale, indipendenza e democrazia dell’Armenia e per aiutarla a venire incontro ai bisogni umanitari causati dalla recente violenza in Nagorno Karabakh”.

Si tratta di prese di posizioni inquadrabili in una volontà di sostituirsi ai russi come tutori del paese caucasico, ammesso che i russi si facciano scalzare. Inoltre, non occorre un grande intuito per comprendere come la nascita di un eventuale nuovo fronte bellico a sud della Russia potrebbe fare il gioco degli occidentali.

La verità è che la vicenda del Nagorno Karabakh, come già accennavamo, cela un incrocio di interessi e dinamiche geopolitiche che coinvolgono molti attori internazionali e dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che gli interessi economici sono in grado di scalzare molti dei vessilli dell’Occidente. A non voler parlare di altro, lo dimostra il fatto che non una parola di condanna sia arrivata da Bruxelles, che ha stretto importanti legami con Baku per la fornitura di gas, chiamato a sostituire quello russo: la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha definito cruciale il rapporto con l’Azerbaigian.

Questo ci porta a una diversa e ulteriore lettura dei fatti, proposta dal diplomatico e analista indiano M.K. Bhadrakumar, secondo il quale l’occupazione del Nagorno-Karabakh, andrebbe incontro ai desiderata di Washington e Bruxelles, perché tolta di mezzo la pietra della discordia, aprirebbe le porte della UE e della Nato sia all’Armenia che all’Azerbaigian, ponendo fine all’influenza russa in questa regione.

Per il momento le ostilità non sono ancora cessate, abbiamo già detto delle possibili mire di Baku, e non dimentichiamo che armeni e azeri sono formalmente ancora in guerra tra loro, ma non è un’ipotesi da scartare.

Una cosa è certa, ed è bene ribadirla in conclusione: al di là di vinti o vincitori molte delle nobili azioni diplomatiche o umanitarie che ci vengono presentate come tali dalla narrazione ufficiale – tutela delle minoranze, difesa dei diritti o dell’autodeterminazione dei popoli – sopravvivono se o fin quando non ci sia altro di cui tener conto, o al più si trasformano in bei proclami che servono per celare altri interessi.

Raccontano diversi uomini di cultura che tutte le guerre, a cominciare da quella di Troia, iniziano o finiscono quando sono in gioco interessi economici o strategici. Il resto, come la storia della bella Elena, sono narrazioni utili per i posteri.

FONTI

Video Nova Lectio “Azerbaigian: la guerra contro l’Armenia per il Nagorno Karabakh” – www.youtube.com/watch?v=pnRN6oHhF5U

www.lindipendente.online/2023/09/28/il-nagorno-karabakh-cessera-di-esistere-i-separatisti-ne-decretano-lo-scioglimento/

www.lantidiplomatico.it/dettnews-ll_nagornokarabakh_annuncia_la_cessazione_dellesistenza_della_repubblica_non_riconosciuta__dichiarazione/8_51027/

www.lindipendente.online/2023/09/27/nel-nagorno-karabakh-e-in-corso-lesodo-degli-armeni-in-migliaia-in-fuga/

www.avvenire.it/mondo/pagine/la-pulizia-etnica-tre-quarti-degli-armeni-fuggit

www.analisidifesa.it/2023/10/nagorno-karabakh-agnello-sacrificale-sullaltare-degli-equilibri-tra-russia-stati-uniti-e-turchia/

www.lindipendente.online/2022/09/21/nagorno-karabakh-un-nuovo-conflitto-alle-porte-tra-armenia-e-azerbaigian/

www.laverita.info/nagorno-karabakh-pulizia-etnica-2665758045.html

www.lindipendente.online/2023/09/30/armenia-oltre-100mila-profughi-dal-nagorno-karabakh/

www.lindipendente.online/2023/09/20/guerra-nel-nagorno-karabakh-larmenia-senza-piu-alleati-accetta-la-tregua/

www.rainews.it/video/2023/10/stepanakert-la-piu-grande-citta-del-nagorno-karabakh-appare-spettrale-e-deserta—video-8e08e793-e432-4c32-8547-3abc050f505a.html

www.huffingtonpost.it/esteri/2023/10/01/news/fine_dei_giochi_in_nagorno_karabakh-13515422/

www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_fine_del_nagornokarabakh_e_il_tassello_nascosto_che_pu_infiammare_un_altro_fronte_ai_confini_russi/8_51038/

www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_variabile_armena_gas_e_petrolio_al_centro_delle_tensioni_mondiali_sul_nagornokarabakh/39602_50795/

www.limesonline.com/nagorno-karabakh-la-vittoria-dell-azerbaigian-la-svolta-dell-armenia-e-la-partita-turchia-russia/133637

www.aljazeera.com/program/inside-story/2023/9/29/what-does-the-future-hold-for-nagorno-karabakh

Canale YouTube Spunti di riflessione: Fulvio Grimaldi: in Nagorno Karabakh (Artsakh in lingua armena) si è consumata una pulizia etnica – link: www.youtube.com/watch?v=qg3yCbj5O6w&t=138s

www.limesonline.com/guerra-tra-azerbaigian-e-armenia-per-nakorno-karabakh-e-nahcivan/129343

www.ilfoglio.it/il-foglio-internazionale/2023/10/02/news/le-dure-lezioni-dell-armenia-per-il-diritto-internazionale-5729732/

www.repubblica.it/esteri/2023/11/02/news/nagorno_karabakh_armeni_superstiti-416466007/

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