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Convivialismo: una proposta filosofica concreta

Nel 2020 – poco tempo fa, ma nemmeno tanto se si pensa ai ritmi della politica e a tutto quello che è accaduto a livello mondiale negli ultimi tre anni – è stato pubblicato (1) il Secondo Manifesto convivialista, con il titolo L’arte di vivere insieme. La firma sul manifesto recita Internazionale convivialista. Pochi ne conoscono l’esistenza, ma si tratta di un gruppo in continua formazione, fondato dal sociologo Alain Caillé (2), che conta al suo interno la partecipazione di più di duecento intellettuali di tutto il mondo, tra cui Noam Chomsky, David Graeber, Axel Honnet, Bruno Latour, Jean-Claude Michéa, Chantal Mouffe, Bruno Viard e Elena Pulcini (solo per citarne alcuni).
Le ragioni di questo articolo
Ora tocca a te! recita il Manifesto nelle sue ultime pagine. Appunto, allora cominciamo dalla fine, dato che se partiamo dall’inizio rischiamo di perderci nelle solite chiacchiere e magari veniamo addirittura accusati di “fare i filosofi”. Alla fine del manifesto si dice che il convivialismo non potrà imporsi senza entrare, in un
modo o nell’altro, nel campo del gioco politico. Infatti, il convivialismo scommette in primo luogo sul potere della società civile, questo è fuori discussione. Ma tutti gli uomini e le donne che costituiscono il tessuto sociale e che condividono i valori del convivialismo ormai diffidano della politica e dei politici. Lo dicono i numeri: quasi il 40% non ha votato nel nostro paese alle ultime politiche e nel resto del mondo la situazione è analoga. Questo rifiuto condanna i sostenitori del convivialismo a disperdere le forze e ad essere impotenti difronte alle leggi del Mercato. Per
questo, sostiene l’Internazionale convivialista, la prima cosa da fare una volta letto il manifesto (sono 60 pagine) è discuterlo e farlo conoscere (3). Si sottolinea quanto sia necessario anche perché difficilmente il testo verrà diffuso dai media più importanti, nonostante le firme prestigiose che vanta a suo sostegno. Discussioni riguardo a questi temi sono già in corso, gli intellettuali in questione propongono di raccoglierle sotto un unico nome (“convivialismo”) in un unico testo, come se fosse la stesura di un Ordine del giorno relativa a una grande assemblea permanente.
Teoria sì, ma anche pratica!
Dopo un prologo che ci ricorda che siamo immersi in un’epoca che vende il trionfo indiscusso del neoliberalismo e una introduzione sulle minacce concrete, ambientali e sociali, che questo comporta, gli autori del manifesto concordano nell’individuare come nucleo centrale della proposta convivialista quattro principi fondamentali: il principio di comune umanità (siamo tutti uguali al di là delle differenze), di comune socialità (bisogna tenere a freno le disuguaglianze sociali), di legittima individuazione (ognuno diritto alle sue libertà anche se non illimitatamente e a perseguire i suoi scopi personali) e di opposizione creatrice (il criterio del merito può avere senso se di conseguenza il benessere sarà per tutti). Questi quattro principi sono tenuti insieme da un unico grande principio: l’imperativo del controllo della hybris. Questo principio veglia sugli altri affinché nessuno degeneri e prevalga, affinché cioè nessun principio da solo, portato all’estremo, fornisca la base teorica per la (ri)creazione di uno degli estremi della dottrina politica del passato e del presente: ideologia religiosa, totalitarismi neri o rossi, ma anche individualismo indifferente, competizione economica, narcisismo patologico e crescita illimitata del capitalismo contemporaneo. Saltando le Considerazioni morali, politiche, ecologiche ed economiche e i loro approfondimenti, il manifesto ci popone (finalmente!) una sintesi che non è improprio definire un vero programma. Forse un po’ utopico, potrebbe pensare il lettore, ma comunque un programma. O per usare le parole del manifesto stesso, “un complesso di misure politiche, economiche e sociali che consenta al maggior numero possibile di persone di misurare ciò che c’è da guadagnare da una nuova situazione convivialista. Da domani”. E così, il lettore potrà finalmente avere in mano uno strumento concreto per parlare di politica (nel suo senso generale e originario) con chi meglio crede e fare confronti con altri obiettivi dichiarati, impliciti o espliciti, dei diversi attori politici che trova in intorno a sé, facendone emergere la vera natura (troppo spesso consistente solo di belle parole). Ma soprattutto il lettore potrà mettersi a pensare a soluzioni poste da problemi concreti e ad ascoltare che cosa sanno gli altri su tutti quei punti su cui da solo non riuscirebbe a dare sufficienti risposte pratiche.
Il Programma convivialista
1) Verso una maggiore giustizia
– Allineamento dell’imposta sul capitale con l’imposta sul lavoro e tassazione al 70% i redditi superiori a 10 milioni di dollari, come già accadeva nel 1965. Tassare al 2% i patrimoni superiori a 50 milioni di dollari e al 3% quelli oltre al miliardo. Tassare le eredità superiori a 3,5 milioni di dollari – al 45% fino a 10 milioni, al 77% quelle oltre al miliardo. Il manifesto sostiene che queste tre misure riguarderebbero rispettivamente 16mila, 75mila e 8mila famiglie in tutto il mondo. Queste tassazioni frutterebbero 4mila miliardi di dollari in 10 anni; in Francia 40 miliardi l’anno.
– Reddito universale: contro la miseria, che va dichiarata fuori legge. Questo significa trasferire automaticamente ogni mese un potere d’acquisto minimo alle famiglie più fragili. Il reddito universale non deve essere usato per tenere a casa le persone, tagliandole fuori da lavori più dignitosi e meglio retribuiti.
– Nuovo rapporto con il tempo: non si può tollerare che ci siano persone che dedicano la propria vita al lavoro, a volte permanente, che genera angoscia e sovraffaticamento, mentre una frazione importante della popolazione è disoccupata.
– Obbligo di durata minima di detenzione delle azioni, tassando le plusvalenze tanto più fortemente quanto più rapida è la loro rivendita. Questo – prosegue il manifesto – scoraggerebbe i movimenti di rialzo e di discesa nelle quotazioni che non hanno alcuna logica di investimento nei progetti delle imprese che si finanziano sui mercati azionari.
– Imposta sull’utile in ogni paese per combattere l’evasione fiscale, soprattutto quella delle multinazionali.
-Abolizione dei debiti degli stati, o almeno organizzazione di una ristrutturazione mondiale dei debiti in modo da consentire ad ogni Stato di rimborsare i debiti legittimi, senza gli interessi.
2) Una società ecologicamente responsabile
Il manifesto parla di un obiettivo “a tre zeri” (4):
-Zero emissioni in gas a effetto serra o “neutralità carbone”.
-Zero consumo di energie fossili, quindi la necessità di seguire la direzione di un’uscita dal carbone, dal petrolio e dal gas fossile.
-Zero rifiuti altamente tossici e che comportano gravi rischi (il dibattito sul nucleare e l’idrogeno rimane, per i firmatari del manifesto, ancora aperto. Anche se la maggior parte dei firmatari sono favorevoli ad un’uscita anche dal nucleare).
Il programma ricorda su questo punto che è impossibile costruire una società ecologicamente responsabile senza rimodellare profondamente lo statuto delle imprese e la loro base giuridica.
3) Post-crescita e demercificazione
-Interdizione dell’obsolescenza programmata delle merci.
– Organizzazione dei trasporti e dei servizi collettivi in modo da rendere possibile una vita senza automobile o tale da facilitare il car sharing o qualsiasi modello di economia della funzionalità (sull’esempio “biciclettalibera”).
-Drastica limitazione della pubblicità.
-Un orientamento sistematico della politica di pubblico acquisto a favore dell’innovazione ecologica e sociale (come ad esempio l’inserimento di norme di eco-socio-concezione nelle gare di appalto e così via).
-Un nuovo rapporto con il tempo: di nuovo, il tempo delle persone, che non deve più essere assoggettato al 100% all’attività lavorativa, deve potere essere dedicato al tempo libero e agli interessi privati, alla partecipazione della vita sociale e alla produzione di beni comuni non monetari.
Il programma prosegue su questo punto sottolineando il problema dell’impatto negativo dei punti 2 e 3 sullo sviluppo del settore mercantile, sul gettito fiscale dello Stato e quindi sulle sue possibilità di azione. Per rispondere a questa sfida, si dibatte sulla possibilità del pluralismo monetario, per esempio nella forma di una moneta non convertibile in valuta da affiancare a quella corrente, per finanziare i beni e i servizi essenziali e gli scambi locali. Un’altra via pare essere quella di demonetizzare anche l’azione pubblica in generale, considerando la partecipazione dei cittadini al funzionamento dei servizi pubblici o alla produzione dei beni collettivi. Il nuovo rapporto con il tempo, la distribuzione del lavoro e l’obiettivo a tre zeri permettono anche di elaborare ex novo meccanismi sociali inediti, sull’esempio di piattaforme collaborative (come Wikipedia), piattaforme di consumo collaborative (ad esempio reti di compravendita di prodotti a chilometro 0), economia circolare e la già citata economia della funzionalità.
4) Deglobalizzazione
-Lotta ad dumping sociale, fiscale ed ecologico: la liberalizzazione del commercio imposta dalle aziende verrà sostituita da accordi di cooperazione internazionale.
– Consentire a tutti i paesi di soddisfare una porzione significativa dei loro bisogni mediante produzioni locali, introducendo una tassazione sui chilometri percorsi dalle merci e assicurandosi così una riduzione di flussi “inutili” ed ecologicamente dannosi.
-Creazione di luoghi e microsistemi di commercio locali, che non abbiano bisogno di espletarsi tramite moneta internazionale.
-Riacquistare una sovranità industriale e alimentare.
5) Tenere sotto controllo la hybris delle tecnoscienze
GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) californiani e BATX (Baidu, Alibaba, Tencent e Xiaomi) cinesi colonizzano gli immaginari umani e concorrono ad alimentare immaginari trans-umanisti, ovvero trasformazioni sociali e umane in senso lato che avvengono in nome del “Progresso” ma che non
prendono il fattore umano nemmeno in considerazione. Alimentare studi a riguardo, ad esempio mettendoli in relazione ai fenomeni umani dell’educazione e dell’informazione diventa sempre più necessario.
Oltre a questi punti ce ne sarebbero ovviamente molti altri che il manifesto non tocca perché, pur cercando di trattare le questioni il più concretamente possibile, rimane pur sempre un manifesto generale, che non scende nel dettaglio più di tanto. Una macro questione però che il Manifesto non può tralasciare, tanto si impone alla discussione accademica quanto comune, è quella della democrazia. Questo tema, se la democrazia sia ancora o meno la forma di governo da privilegiare, ad esempio all’interno di una visione convivialista del futuro, si presta a speculazioni tanto di ordine teorico quanto di ordine eminentemente pratico. Il programma lascia a voi libera fantasia, ma afferma: da un lato la democrazia, là dove sembra ben impiantata, raccoglie sempre meno consensi: le elezioni non sono truccate, ma il pluralismo dei partiti è puro spettacolo e la politica viene diretta da forze altre. C’è un effettivo pluralismo della stampa, ma in mano a pochi gruppi finanziari. I valori sono degni di lode, ma vengono di fatto usati per estendere l’imperialismo occidentale; il popolo è formalmente rappresentato, ma è introvabile, disintegrato da anni di politiche neoliberiste. Dall’altro lato, però, tutte le rivolte popolari che continuano a sorgere lo fanno in nome dei valori democratici.
Conclusioni
Ci siamo limitati a riportare qui sopra i punti centrali e più concreti del Secondo Manifesto convivialista, come i suoi firmatari chiedono di fare a chi ne condivida almeno in parte i valori sottostanti e i fini. Ci siamo risparmiati, questa volta, le riflessioni – dei promotori stessi del manifesto – sull’antropologia umana e sul ruolo delle passioni, gli studi metafisici sui concetti di “valore” e “persona”, le genealogie delle idee di “limite” e “misura”, il confronto tra i grandi meccanismi ideologici del Mercato, del Progresso e della Crescita. Non perché questo modo di affrontare la questione sia meno decisiva o efficace. Ma perché è diventato necessario unirsi allo sforzo dei firmatari del breve saggio in questione e trasformare l’elogio della prassi in pratiche tout court, innanzitutto riprendendo la parola, il dialogo e la discussione comuni. D’altronde, come non pensare in questa occasione a Friedrich Nietzsche? A proposito degli uomini di pensiero a lui contemporanei, che giudicava fortemente scollegati dalla realtà, li contrapponeva ai primi filosofi greci: “Questi uomini sono tutti d’un pezzo, scolpiti in un solo blocco di pietra. Il loro pensiero è legato al loro carattere da una rigida necessità (…) poiché in quei tempi non esisteva affatto una classe di filosofi e di studiosi” (5). Forse anche per noi è arrivato il momento di filosofare con un piede per terra e l’altro nella vita.
1 L’arte di vivere insieme. Secondo Manifesto conviviaslita. Per un’alternativa al neoliberalismo, edizione italiana in “Ricerche” della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, con prefazione di Elena Pulcini, filosofa e autrice di numerosi saggi sulla storia dell’individualismo moderno e il ruolo delle passioni nella storia della filosofia politica.
2 Professore emerito di sociologia, direttore della La Revue du MAUSS, autore di numeri saggi sulla teoria del dono di Marcel Mauss e sulla proposta di un paradigma sociale alternativo.
3 Viene riportato anche il link del sito www.convivialisme.org.
4 Formulato per la prima volta dall’associazione negaWatt, gruppo di ricercatori ed esperti nato nel 2001 per farefronte all’emergenza climatica. Si può visitare il sito negawatt.org.
5 La filosofia nell’epoca tragica dei greci, F. Nietzsche
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