La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.

L’enigma Apostolico


11 Ott , 2023|
| 2023 | Visioni

 Non sappiamo come valutare il caso Apostolico: per questo è un enigma. O così sembra se mancano le coordinate per decidere sulla presenza di questo giudice alle manifestazioni pubbliche a cui ha certamente partecipato; come pure sul filmato, meglio sulla diffusione di esso, ad iniziativa di un ministro della Repubblica.  É come se ci mancasse il corredo categoriale per orientarci; non lo hanno i cittadini, ma nemmeno, si direbbe, i politici e i giuristi. Siamo sprovveduti, almeno in apparenza; e quest’assenza è l’aspetto più grave della vicenda: intorno a fatti del genere, istituzionalmente impegnativi e di importanza primaria, non dovrebbe regnare l’incertezza, aggravata dalla faziosità, anzi partigianeria, di partiti, movimenti, associazioni, intellettuali in campo con la pretesa di avere ragione a prescindere.

 Ma quel corredo c’è: occorrerebbe scoprirlo, meglio riscoprirlo, anche se manca la voglia. E c’è pure chi, di quest’occultamento, è responsabile. La responsabilità è principalmente della scuola e, particolarmente, delle facoltà o dipartimenti giuridici, cioè di quelle agenzie che dovrebbero insegnare a pensare e a fare cose con le istituzioni, in uno stato repubblicano e democratico, costruito sulla divisione e sul pluralismo dei poteri, ciascuno dei quali ha il dovere di essere indipendente o, prima ancora, di essere al servizio dell’interesse collettivo e, in funzione di ciò e di conseguenza, indipendente.

 La responsabilità nasce da più di un errore. Uno sta in questo: noi crediamo, e insegniamo, che nella legge ci sia tutto, proprio tutto; e che osservandola, magari formalisticamente, magari elusivamente, siamo a posto e possiamo tacitare qualunque obiezione o censura perché un giudice a Berlino ci darebbe ragione essendo egli «soggetto soltanto alla legge». Lui e, con lui, noi. Ma non è così; sarebbe troppo facile e comodo. Una repubblica, per funzionare, se ha bisogno delle leggi (ben redatte), ai suoi cittadini e, più di tutti, ai suoi dirigenti politici e ai suoi (pubblici) funzionari chiede di più, molto di più, esige un comportamento virtuoso. Se in una repubblica non è viva e vitale, diffusa, un’etica pubblica corrispondente, la repubblica si corrompe e si dissolve. O magari esisterà di nome; nei fatti scomparirà. Sta accadendo da noi; ma un po’ dappertutto nelle avanzate democrazie dell’Occidente.

 Nella modernità si è consumato un passaggio fondamentale: il diritto è stato progressivamente sganciato dall’etica ed è rimasta solo la legge a governare uomini e istituzioni. Possiamo sintetizzare attraverso le parole di un filosofo come Fichte: «ciascuno può pretendere soltanto la legalità dell’altro, non la sua moralità». E così abbiamo creduto, e ci è stato fatto credere, che la dipendenza fosse, e sia, esclusivamente in confronto della legge. Ma ora cominciamo ad avere la consapevolezza, credo, che questa dipendenza non sia sufficiente. Sotto la coperta – o il manto – della legge si possono annidare storture di vario genere, ivi compresa la corruzione. La massima fichtiana – ormai degenerata in slogan – ha consentito pericolose deduzioni, tipo: «tutto quel che la legge non vieta è consentito». Ma è proprio così? Se un primario chirurgo decidesse, tacendo la ragione della scelta, di operare lui Tizio, uomo potente, e di delegare al suo aiuto l’intervento di Caio, uomo qualunque, non infrangerebbe la legge; e tuttavia noi non l’approveremmo, non ci accontenteremmo della legalità, vorremmo che quel chirurgo fosse indipendente, programmasse la rotazione giornaliera degli operatori in ragione della maggiore o minore difficoltà dell’attività chirurgica.

 Il problema sta tutto qua. Potremmo anche dire che la difesa ad oltranza dell’individuo e della libertà, e la conseguente retrocessione dello Stato e della collettività, ci ha fatto smarrire una coordinata fondante della democrazia, la primazia dell’interesse collettivo o generale o pubblico di cui lo Stato (democratico) è fonte e agente. Credo che di questo arretramento cominciamo ad avvertire le conseguenze. Ovvio che non esistono, e signoreggiano, solo gli individui; esistono (e oggi non signoreggiano) anche le masse. Rousseau ci aveva avvertito attraverso una semplice domanda che dirigenti politici e funzionari pubblici debbono rivolgere a loro stessi prima di agire in un modo piuttosto che in un altro: «è vantaggioso per lo Stato» o, al contrario, «per il tale individuo o per il tale partito». Questa domanda deve orientare una repubblica; in certo senso, perseguitare chi rappresenti lo Stato; o sia titolare di un potere o di una funzione pubblica. È un orizzonte decisionale, indi di azione, che irrompe, e non può essere ignorato o messo da parte; esso affianca la dimensione legale e completa la dimensione normativa. La formula corrente, divenuta (anch’essa) uno slogan, è quella dello stato di diritto: così ci ricordano gli esperti e così noi ripetiamo. Le parole però tagliano la realtà: stato di diritto non è l’equivalente di stato legale. Lo ius non è lex: gli assetti politico-costituzionali hanno un’identità che non ci è restituita solo dalle leggi, ivi comprese le costituzioni. Ci sono anche delle regole non scritte da cui dipende l’identità autentica e piena di una certa forma di stato e di governo: regole non scritte, ma inscritte in quella certa forma e rese evidenti da interrogativi fatti per smascherare, come quello di Rousseau, interrogativi ineludibili, che ci fanno necessariamente concludere se una certa condotta di un certo dirigente politico, funzionario o impiegato pubblico sia o non congrua rispetto a quella  forma (o ne rappresenti, invece, una deviazione che lede tutti).

 Il principio di congruenza con quel che è la Repubblica italiana dovrà guidarci nel risolvere l’enigma Apostolico (tenendo conto anche l’altro terminale, quel che è Iolanda Apostolico). Il principio è lo stesso che si dovrebbe adoperare nel riscontrare la condotta del generale Vannacci. Deficit culturale? Deficit di cultura istituzionale? Forse. Ma anche, e più probabilmente, deficit di ‘autodichia’ o giustizia domestica o, più prosaicamente, disciplinare: esiste, ma è inerte o, quando si innesca, è troppo spesso corporativa, cioè inaffidabile in quanto essa stessa non indipendente.

 Quel che ci si dovrebbe risparmiare, da parte di chi ora governa la Repubblica, è il ridicolo. Ridicolo è scrivere in un testo legale che il migrante debba pagare 5000 euro per evitare di essere trattenuto in un Cpr. Ridicolo è insistere a tutto campo perché la dott.ssa Apostolico faccia un passo indietro. Ridicolo è pure che il ministro della pubblica istruzione pensi di ottenere una certa disciplina o una certa educazione dagli scolari o studenti (invece di esigere che studino e siano, semmai, valutati obiettivamente per quanto hanno imparato o non imparato). Ridicolo è, insomma, che chi ci governa non abbia presente il principio di effettività, che suggerisce di evitare di assumere misure destinate a rimanere lettera morta. Resta la questione del filmato: qua sì varrà precipuamente la dimensione legale da cui dovrebbe scaturire, in relazione ai fatti, se ci sia stata o meno la violazione di un segreto legalmente tutelato.

Di:

La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!