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Uno scenario economico worst-case dopo Gaza
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In queste ultime settimane Marcello Veneziani, giornalista filosofo di area conservatrice, ha pubblicato un libro che narra la vita di Giambattista Vico, uno dei più grandi filosofi italiani. Confesso che la mia curiosità per quest’opera è particolarmente elevata, per più ragioni: in primis perché un pensatore come Vico, scoperto nella sua attualità e complessità solo in epoca relativamente recente, è un autore fondamentale per chi segue le vicende economico-finanziarie. In secondo luogo, perché oggi potremmo definirlo “attualissimo”: osando un po’, potremmo dire che l’opera di Vico è oggi per l’economista quello che è sempre stata la Bibbia per il teologo. Se c’è un periodo in cui la storia scandisce potenti rime, allora quello attuale è il periodo principe. Le vicende che si stanno sviluppando in questi giorni, dopo che il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese ha preso il via con la strage del rave Party nel deserto del Negev in prossimità della Striscia di Gaza, possono essere la miccia per “dare il la” ad un “ritorno Vichiano” di prim’ordine. Mi spiego meglio: tra i possibili scenari economico-finanziari che possono scaturire da questa crisi quello worst-case, i cui tratti descriverò di seguito (caratterizzato da “sensata” ed elevata probabilità), ha una somiglianza spiccata e per certi versi “non sorprendente” con analoghe situazioni chiave del passato. Riassumendo in 10 punti tale scenario:
- Il conflitto degenera in una guerra regionale con il coinvolgimento diretto degli USA.
- L’Opec risponde con un embargo petrolifero.
- L’Iran chiude lo stretto di Hormuz.
- Il prezzo del petrolio raggiunge i 300 dollari al barile.
- L’Europa soccombe in una vera e propria crisi energetica a causa della carenza di GNL.
- Il massiccio aumento dei prezzi dell’energia rinvigorisce l’inflazione e le banche centrali rispondono di conseguenza.
- I mercati finanziari e il settore bancario globale crollano.
- La crisi del debito travolge gli Stati Uniti costringendo la Federal Reserve a mettere in atto l’ennesimo piano di salvataggio del mercato finanziario.
- Il commercio del petrodollaro crolla.
- Compare, negli Stati Uniti, l’iperinflazione.
Le rime della storia
La storia fa la rima? Come nella sostanza Vico ci insegna? Direi di si! Nell’ottobre 1973, Israele combatté la guerra dello Yom Kippur contro una coalizione di stati arabi guidati da Egitto e Siria. Come rappresaglia, l’Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio ha proclamato un embargo petrolifero contro i paesi occidentali che sostenevano Israele. In sei mesi, il prezzo del petrolio è aumentato – a livello globale – di quasi il 300% e ancora di più negli Stati Uniti, che a quel tempo erano diventati dipendenti dal petrolio del Medio Oriente.
Oggi cosa può succedere? Nel worst-case scenario, Israele lancia una grande controffensiva contro la Palestina che porta a una dichiarazione di guerra (ad Israele) da parte dell’Iran e della Siria (ma anche altri attori regionali potrebbero unirsi). In questa situazione, gli Stati Uniti sarebbero quasi sicuramente costretti a rispondere e contribuire alla difesa di Israele. Il gruppo d’attacco della portaerei Ford (che comprende la più grande nave da guerra del mondo, la USS Gerald R. Ford) è già stato inviato nel Mediterraneo orientale e l’amministrazione Biden sembra stia valutando l’invio di un altro gruppo d’attacco della portaerei nel Mediterraneo orientale. Ci sono anche voci secondo cui aerei cargo militari statunitensi stanno già effettuando viaggi routinari in Israele.
Qualsiasi coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra, si rifletterebbe quasi sicuramente in una risposta da parte dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, o OPEC, o almeno di alcuni dei suoi membri di un certo peso. Questa reazione, assai probabilmente, prenderebbe la forma di un embargo petrolifero nei confronti degli Stati Uniti e forse dell’Europa.
Lo stretto di Hormuz è uno stretto cruciale per i mercati petroliferi globali. Un sesto di tutto il petrolio e un terzo di tutto il gas naturale liquefatto, o GNL, consumati nel mondo passa attraverso di esso. Lo stretto comprende otto isole di cui sette controllate dall’Iran, ma in tutte otto ha una presenza militare. Pertanto, l’Iran ha la capacità militare effettiva per chiudere lo stretto.
I mezzi per chiudere lo stretto sono numerosi. Essenzialmente, si va da una chiusura basata sulla minaccia, in cui l’Iran minaccia di affondare qualsiasi petroliera che lo attraversa, all’effettivo affondamento di una superpetroliera nello stretto, chiudendolo così per un periodo di tempo indeterminato e inquinando anche il Golfo Persico. Tuttavia, poiché quasi l’85% delle importazioni iraniane passano attraverso lo stretto, quest’ultima opzione può essere considerata improbabile.
Se si verificasse la chiusura, o addirittura un’interruzione del traffico attraverso lo stretto di Hormuz, con l’embargo russo su petrolio e gas, molto probabilmente vedremmo i prezzi globali del petrolio e del GNL salire alle stelle fino a livelli mai visti prima. Ciò rinvigorirebbe la rapida inflazione, ma ci sarebbero anche ripercussioni più gravi.
Il tallone d’Achille dell’Europa
Dopo aver chiuso la maggior parte dei gasdotti che trasportano il gas russo in Europa, il continente europeo ha fatto affidamento principalmente sul mercato globale del GNL per colmare il divario. Cosa ancora più importante, l’Europa ha fatto affidamento sia su fonti statunitensi che mediorientali per le consegne di gas.
Ad esempio, la Germania ha appena firmato un contratto con Oman LNG per le consegne di gas, che passano attraverso lo stretto di Hormuz. La Germania ha inoltre firmato un accordo con Venture Global (VG), con sede negli Stati Uniti, sulle consegne di GNL, rendendola il più grande fornitore di GNL in Germania. Tuttavia VG non ha ancora iniziato a costruire l’impianto da cui verrà consegnato il gas alla Germania.
Gli Stati Uniti hanno rappresentato poco più della metà della domanda di GNL europea durante lo scorso anno, con Russia e Medio Oriente che hanno fornito circa il 30%. Se entrambe queste ultime fonti venissero tagliate, o la loro offerta fosse seriamente ridotta, è improbabile che gli Stati Uniti o altre fonti possano colmare il divario, perché il mercato globale del GNL è scarsamente rifornito. Inoltre, combinare il taglio del gas nel Medio Oriente (e forse di quello russo, che comunque viene consegnato) con un inverno normale o freddo potrebbe creare condizioni assolutamente devastanti per il mercato europeo del gas già “in equilibrio ma con poco spazio di manovra”.
Ciò significa che il conflitto israelo-palestinese ha la capacità di far deragliare tutti i piani per la sicurezza energetica in Europa, dal momento che il gas russo è andato perduto (e “disperso” su altri mercati). È difficile sopravvalutare la gravità di questa minaccia con le economie tedesche ed europee già sprofondate in una recessione. Il ritorno della crisi energetica (in modo “vendicativo”!) molto probabilmente sferrerebbe un colpo mortale all’economia europea e potrebbe mettere in forte difficoltà il suo settore bancario con le evidenti conseguenze globali.
Dal caos finanziario all’iperinflazione
Naturalmente, il rinvigorimento delle pressioni inflazionistiche dovrebbe costringere le banche centrali a mettere in atto un’altra tornata di aumenti dei tassi di interesse. Ciò causerebbe il caos tra i consumatori e le aziende, ma anche sui mercati dei capitali. I rendimenti del debito sovrano probabilmente salirebbero alle stelle. Un evento che potrebbe essere seguito da un sostanziale collasso dei mercati finanziari e creditizi, come nella primavera del 2020 quando il Covid aveva colpito in modo pesante.
A questo punto, con elevata probabilità potremmo vedere le banche centrali che, costrette ad alzare i tassi di interesse per reprimere l’inflazione, mettono anche in campo programmi di acquisto di asset per sostenere il debito sovrano, il credito e, in qualche misura, i mercati delle attività finanziarie. Il salvataggio dei mercati finanziari dovrebbe ammontare a diverse migliaia di miliardi di dollari, come avvenuto nella primavera del 2020. Ciò inietterebbe grandi quantità di denaro, soprattutto dollari statunitensi, nell’economia globale, aumentando di conseguenza in modo massiccio le pressioni inflazionistiche, ma esiste il rischio di qualcosa di ancora peggiore.
Come “opzione nucleare”, l’OPEC potrebbe smettere del tutto di utilizzare il dollaro statunitense nel commercio del petrolio. Ciò significherebbe che la domanda di dollari crollerebbe improvvisamente, e i “dollari in eccesso”, precedentemente utilizzati per acquistare petrolio, finirebbero per tornare a casa. Ciò creerebbe un picco senza precedenti nell’offerta di moneta degli Stati Uniti, creando le condizioni perfette per l’iperinflazione con il collasso della produzione a causa di una profonda recessione alimentata da una rapida inflazione, alti tassi di interesse e una crisi bancaria. Il caos nell’economia degli Stati Uniti, e quindi nel mondo, sarebbe a dir poco apocalittico.
Conclusioni
Purtroppo, oggi sono giunte anche notizie di scontri a fuoco tra Israele ed Hezbollah, nel nord del Paese. Se ciò si è effettivamente verificato, si è compiuto un passo importante verso il worst-case scenario. In ogni caso, quest’ultimo sottolinea la gravità della situazione in cui ci troviamo attualmente. Il conflitto israelo-palestinese ha la capacità di 1) fornire uno scacco energetico all’Europa e 2) avviare un devastante collasso dell’economia statunitense.
Per chiarezza va però notato che si tratta di uno scenario ipotetico. Tuttavia, sebbene al momento sia improbabile che tutti i 10 punti si realizzino, se anche solo i primi punti fossero soddisfatti, ciò sarebbe sufficiente per dare un colpo devastante alla fragile situazione che al momento caratterizza l’economia globale. Ecco perché l’evoluzione del contesto deve essere monitorata molto da vicino…… anche con l’aiuto delle idee vichiane: in primo luogo andando “ripassare” la storia dei primi anni ’70.
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