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Terrore e forza legittima: una dialettica sempre presente nella storia


23 Ott , 2023|
| 2023 | Visioni

Quando a scuola leggevo sui libri di storia che l’anarchico Caserio aveva pugnalato il presidente francese Carnot, uccidendolo, o che Umberto I era stato assassinato da un altro anarchico di nome Gaetano Bresci, in cuor mio gioivo e allo stesso tempo compativo gli omicidi per la loro condanna. Ma gli anarchici individualisti piazzavano pure bombe che uccidevano innocenti e non compivano solo atti mirati a capi di Stato; io però non mi curavo di questo, mentre solidarizzavo con i morti uccisi a cannonate dal generale Bava Beccaris, colpevoli di reclamare il pane: la strage ispirò a Bresci il regicidio. Allo stesso modo mi rammaricavo perché l’attentato a Mussolini era andato fallito, e piangevo la morte del suo attentatore quasi-bambino Anteo Zamboni. Mi sentivo solidale con gli attentatori di via Rasella che fecero fuori trentatré soldati tedeschi: non provavo alcuna commiserazione per le vittime militari, contrariamente che per quelle della rappresaglia nazista fucilati alle fosse ardeatine. Infine, confesso che avevo una certa attrazione per le rivoluzioni violente, o semplicemente le ribellioni, quandanche finite male, agite dalle classi subalterne in ogni momento della storia: da Spartaco agli anabattisti tedeschi, dal terrore giacobino ai moti del ’48, dalla rivoluzione russa a quella cubana. E questo non perché fossi un esaltato cultore della violenza, ma perché mi solleticava l’idea che chi non aveva alcun potere, e lo subiva soltanto, potesse farlo cadere o almeno sottrarvisi. Per questo ho sempre simpatizzato con gli ebrei in fuga dal faraone, nonostante le dieci piaghe toccate agli egiziani di cui l’ultima alquanto terribile. Tuttavia, esiste ed è sempre esistito anche chi simpatizza per il lato opposto, perché l’idea dell’esercizio della violenza da parte di chi è provvisto del potere di usarla senza dover subire ritorsioni, può provocare in alcuni un senso di sicurezza e di ordine che induce compiacimento.

Tutti gli attori di moti o di attentati, individuali o collettivi, persino di semplice dissenso pacifico (nella misura in cui esso mette in discussione l’essenza del potere), sono stati chiamati nella storia variamente terroristi, banditi, eretici, criminali ecc. perché erano accomunati da una sola caratteristica: esercitavano una forza non legittima o mettevano in dubbio quella legittima. Si potrà dire che la loro non era legittima perché non erano attori pubblico-statali autorizzati al monopolio della forza; ma ciò è vero solo dal XVII secolo in avanti, giacché prima questa nozione non esisteva o si stava appena imponendo (ancora Grozio riconosce una qualche legittimità alla guerra privata in certe circostanze): il diritto all’esercizio della forza cambia nella storia. Vi sono infatti anche casi di attori statali cui è stato attribuito l’uso del terrore, o una prassi terroristica, o criminale, in quanto non riconosciuti legittimi dagli altri Stati per diversi motivi: i turchi, i principi protestanti per i cattolici e viceversa, le stesse potenze europee tra di loro in guerra per la supremazia dei mari, i giacobini, le brevi repubbliche del 1848, i bolscevichi, più di recente l’Iraq, l’Iran ecc. John Rawls[1] crea una categoria specifica per questi Stati “fuori-legge” nella società contemporanea e ritiene che contro di essi sia consentito l’uso della forza e la perdita della sovranità se contravvengono al diritto internazionale. Ma vi sono appunto anche attori privati che hanno esercitato la forza per varie ragioni, ad esempio per rovesciare un governo oppressivo o per scacciare un esercito occupante e sono stati chiamati terroristi (ad esempio a Cuba o in Vietnam), allo stesso modo dei gruppi armati che, dagli anarchici ai brigatisti ai neofascisti e via discorrendo, hanno tentato di rovesciare l’ordine costituito. Tutti costoro sono stati inseriti a vario titolo nella categoria di hostes humani generis, nemici assoluti.

Che ciò sia avvenuto a ragione o a torto non ha importanza; qui preme mostrare la natura di questa categorizzazione e i suoi limiti. Poniamo ad esempio il caso di un golpe militare di destra, come quello in Cile, in Grecia, in Spagna o nella stessa nostra Italia: nel peggiore dei casi tali azioni sono state definite golpiste ma poi prontamente riconosciute, in alcuni casi (come per Margaret Thatcher a proposito del golpe cileno) persino osannate, ma difficilmente sono state messe nella categoria del terrore. Facciamo anche l’esempio dell’invasione sovietica dell’Afghanistan: la resistenza veniva sostenuta e propagandata come difesa della libertà dagli Stati Uniti di Reagan, salvo poi qualche anno più tardi aggredire quel paese in cui quegli stessi guerriglieri ora venivano detti terroristi (stessi soggetti, opposta narrazione). Non diversa sorte è toccata a Hamas, prima che cadesse dalle grazie dell’Impero euro-americano: inizialmente, un utile strumento da sostenere per contrastare l’OLP, poi – una volta vinte le elezioni e diventato una minaccia – un gruppo di terroristi islamici, come abbiamo anche documentato su questa testata. Parlando di attori statali, se sono sempre esistiti quelli “canaglia”, ve ne sono stati di ugualmente canaglia per la violenza che esercitavano sia all’interno che all’esterno, ma che sono tuttavia stati considerati del tutto legittimati a farlo: giusto qualche anno fa, in Francia, la repressione del movimento dei gilet gialli provocò diverse vittime, mentre la guerra dell’Arabia Saudita contro i ribelli sciiti in Yemen è andata avanti nel silenzio della comunità internazionale per anni, nonostante le atrocità commesse.

In un intervento alla Camera diventato celebre per i frequentatori del web, l’ex presidente del Consiglio Craxi affermava di essere contrario alla lotta armata palestinese non perché la ritenesse illegittima ma semplicemente improduttiva, paragonandola – tra le proteste levatesi dai banchi di destra – agli assassinii politici progettati da Giuseppe Mazzini. Craxi aveva ragione: se era legittimo il terrorismo di Mazzini, perché non quello dei palestinesi? Evidentemente, in media non ci si sogna di definire terrore quello di Mazzini solo perché lo si considera un padre della patria e si ritiene che l’unità d’Italia fosse un’istanza legittima; così, Craxi e molti politici della prima repubblica, che avevano provato cosa vuol dire liberare il proprio paese e ottenere l’indipendenza, simpatizzavano per i palestinesi anche quando commettevano atti terroristici. Del resto, come abbiamo visto, se questi atti fossero commessi da un attore statale “non canaglia” non li si chiamerebbe allo stesso modo ma si penserebbe che questi sia legittimato a farlo: così nessuno ha punito gli Stati Uniti per il milione di morti che hanno provocato in Iraq, così come nessuno ha battuto ciglio negli ultimi quindici anni da quando Israele ha cominciato a colonizzare la Cisgiordania e ha rinchiuso i palestinesi dentro Gaza. Non solo nessun capo di Stato ha pianto per i tanti palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza e dai coloni israeliani in questi anni, ma invece di definire Israele uno Stato terrorista al limite lo si è trattato come una forza occupante, soggetta certo al diritto internazionale ma comunque un attore statale dotato della sua facoltà di usare la forza “per difendersi”.

Ecco quindi che non c’è differenza materiale tra uno Stato e un gruppo terroristico dal punto di vista di una loro condotta violenta: entrambi possono usarla per perseguire i propri scopi, e non è la modalità più o meno cruenta con cui essa è perpetrata, né il fatto che vengano coinvolti i civili, ciò che consente o meno di definirla terroristica, cosa resa evidente in questi giorni dall’enorme disparità di mezzi detenuti e di vittime civili provocate dalle due parti in conflitto nel Levante (se il discrimine fosse quello, è chiaro che sarebbero gli israeliani a essere detti terroristi e non viceversa). Invece esiste una differenza formale, dovuta al riconoscimento che viene attribuito a uno Stato o in generale a un attore legittimato a usare la forza, cosa che permette di chiamare terrorista chi non è legittimato a farlo. È una distinzione che non può certamente venire meno o il mondo sarebbe gettato nel caos della guerra di tutti contro tutti, lo stato di natura; è su questa riflessione che nasce lo Stato e nasce l’Europa moderna, cioè da una ridefinizione dei soggetti legittimati a usare la forza, dalla presa di coscienza e sistematizzazione di un nuovo ordine. Questo quadro è oggi di nuovo modificato perché indubitabilmente quella modernità è finita, e con il cambiamento della natura dello Stato viene meno anche quella distinzione netta tra attori pubblici e privati, tra violenza legittima e violenza illegittima, persino tra guerra e pace: non è un caso infatti che nel corso del Novecento siamo stati abituati alla guerra asimmetrica, combattuta tra attori statali e non-statali, tra eserciti e guerriglie, finiti inevitabilmente sullo stesso piano.[2]

Sembrerebbe proprio il caso del conflitto israelo-palestinese, che non trova soluzione in quanto chi governa il mondo non riconosce uno dei due attori come legittimo: lo considera nel migliore dei casi come un popolo che subisce angherie ma che è meglio che non reagisca, nel peggiore come un popolo che non ha diritto a uno Stato, condizione che ancora oggi è necessaria per poter entrare nel novero dei soggetti almeno parzialmente sovrani. Chi governa il mondo detiene il potere di farlo proprio perché è in grado di stabilire chi è legittimato e chi no a usare la forza, chi è un attore pubblico e chi un privato, chi è un esercito e chi un terrorista, chi esercita una sovranità e chi no: è in grado, cioè, di stabilire un ordine sopra cui conservarsi.

Non sarà passato inosservato che negli ultimi giorni nell’Impero si è scatenata una repressione interna volta a far tacere chi minaccia di mettere in dubbio questo potere ordinante, che evidentemente sulla questione israelo-palestinese si gioca il tutto per tutto: la repressione a Washington dei manifestanti ebrei pro-Palestina conclusasi con centinaia di arresti; l’arresto di un dirigente della CGT in Francia per favoreggiamento del terrorismo, preceduto dalle dichiarazioni e dagli atti del ministro Darmanin che aveva vietato manifestazioni a sostegno dei palestinesi; infine anche in Italia, le fumose azioni del ministro Valditara contro le proteste studentesche dello stesso segno. Persino nei paesi arabi tali dimostrazioni sono trattate come un problema di ordine pubblico! Se si vuole perciò contrastare questo jus ordinandi dell’Impero euro-americano, conditio sine qua non per un mondo multipolare, se si vuole in ultima analisi che anche i palestinesi abbiano uno Stato come tutti gli altri, occorre rifiutarsi di chiamarli terroristi; e se decidono di intraprendere la guerra (al netto delle evoluzioni portate al diritto internazionale dall’istituzione delle Nazioni Unite) bisogna considerarli, qualunque sia la denominazione che assumono o il partito politico che li rappresenta, né più né meno legittimati a farlo dell’esercito regolare avversario. La politica imperiale degli Stati Uniti e dei loro alleati al contrario, con la sua tendenza al dominio totale e alla chiusura cieca verso ogni forza che vi si voglia sottrarre, produce una risposta altrettanto cieca e irrazionale che si concreta nella violenza di singoli disperati che cercano di colpire il più vicino possibile al cuore di quell’Impero (Inghilterra, Francia, Germania ecc.) con attentati senza senso che a volte ricordano quelli anarco-individualisti di fine Ottocento. Finora l’Italia sembra sia stata salvata da queste violenze per la rendita di simpatia di cui gode per la storia della sua prima repubblica, che con un ceto politico eterogeneo e dalle profonde radici culturali – per nulla malleabile al punto di genuflettersi alla potenza di una neo-nazione protestante auto-elettasi a inviata di Dio nella storia – ha sempre condotto una politica di amicizia con i popoli più prossimi e di apertura pacifica verso tutti: chiunque sia mai stato in Palestina o in un altro paese arabo, ma anche in un qualunque altro paese non occidentale, avrà sperimentato la calorosa simpatia che generalmente viene riservata agli italiani. Purtroppo questa rendita prima o poi finirà, perché un nuovo ceto politico di inetti in cerca di affermazione – tanto con questa destra anti-islamica, liberista e filo-imperiale, quanto con la sinistra aperta ma pur sempre liberista e filo-imperiale – schiaccerà l’Italia su una posizione su cui in realtà la sua società non si trova, finendo con il portare la violenza fin dentro casa. E i militari per strada o ai confini per arginarla risulteranno vani come svuotare l’oceano con un cucchiaino.


[1] Cfr. J. RAWLS, The law of peoples, Cambridge-London, 1999.

[2] Cfr. A. COLOMBO, La guerra ineguale, Pace e violenza nel tramonto della società internazionale, Il Mulino, 2006.

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