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Storia o memoria? Le guerre al microscopio


24 Ott , 2023|
| 2023 | Visioni

 Le guerre come banco oggi aperto; anzi, la guerra in Medio Oriente perché l’altra è magicamente entrata in un cono d’ombra e non si sa quando tornerà alla luce. Le guerre; ma lo stesso vale per qualsiasi conflitto, internazionale o interno, su cui gli oscuri signori dell’informazione decidano di aprire il canale di comunicazione con la gente. Fatti, non opinioni, assicurano: uno slogan assurto a luogo comune. Ma quali fatti? Quelli di oggi? Quando si fa cominciare il racconto? Perché se mi limito al fatto singolo, è difficile che si possa capire la guerra, il conflitto o l’accadimento in genere. Però nemmeno si capisce, anzi questo potrebbe essere proprio l’obiettivo, se scegliessi di esporre una catena di fatti, cioè una sequenza, facendola partire (solo) dal fatto che mi torna utile per condizionare la lettura della realtà e prepararne una certa valutazione, quella che il narratore o i suoi vogliono. La conseguenza è che non solo non capiremmo, ma finiremmo con l’essere raggirati. 

 Più o meno questa è la condizione in cui ora ci troviamo quando cerchiamo di comprendere la nostra contemporaneità. Facciamo fatica; e il più delle volte non capiamo, anche se crediamo di capire. Questo può avvenire perché non siamo attrezzati culturalmente o, soprattutto, perché siamo pigri e troviamo comodo recepire acriticamente quanto pontificano i vari esperti, di cui nessuno ci certifica la qualificazione e che son là a pontificare per caso o perché qualcuno ce li ha messi in quanto introdotti in un circuito che conta o segnalati da una persona che conta. E il sistema mass mediatico crea e amplifica esperienze mai veramente acquisite. Specie se il focus sia sui teatri di guerra. Si può davvero afferrare o, meglio, avvicinarsi alla realtà restando fuori dalla realtà? Standosene nel chiuso della propria stanza a scorrere i siti web? Finendo in ogni caso per fissare l’attenzione, e avviare un tentativo di riflessione, su un’immagine, cioè un minuscolo segmento temporale, senza averlo vissuto dal vivo, visto con i propri occhi, annusato con il proprio olfatto, avvertito sentimentalmente in presenza? Quanti esperti portatori di esperienze perfettamente virtuali ci hanno raccontato e ci raccontano le guerre da casa? Questi esperti cercano la scena e, in grazia di chi sta alle loro spalle, l’ottengono e ogni giorno si inventano l’artificio per conservarla. Ma chi governa l’informazione pubblica, da emittenti pubbliche o private, da quotidiani anche seriosi, da siti web abilmente costruiti, costoro perché non indagano sulla credibilità di coloro a cui consegnano la formazione della pubblica opinione? Non lo fanno per pigrizia o sciatteria o scarsa o nulla indipendenza?

 Un problema di persone, allora: se chi ci spiega le guerre quotidiane è sprovvisto del corredo adeguato e cerca più che altro di proporsi come personaggio permanente, ci si attenderebbe che costui venisse sostituito. Meglio lasciar parlare chi a quelle guerre assiste in quanto inviato: almeno dovrebbe raccontarci in presa diretta quel che ha visto o vede. Non sarebbe poco; e invece si preferisce affidarsi a persone con curricula improbabili o con trascorsi eterogenei, raccomandati o semplicemente telegenici.

 Ma è anche un problema di disciplina. La geopolitica è di gran moda; però è un contenitore che talora appare troppo leggero e/o troppo eterogeneo, comunque concentrato sul presente e sconfinante al massimo sul passato prossimo. Tuttavia i discorsi che ne scaturiscono affascinano facilmente: una prospettiva diversa, la nuda forza in azione, strategie occulte, il coinvolgimento di grandi spazi ecc. Discorsi retoricamente efficaci: non perché retoricamente costruiti, ma perché capaci di suscitare emozioni o innescare la fantasia.

 Siamo a questo perché abbiamo abbandonato la storia e la storia ci ha abbandonato. In queste settimane qualcuno ha anche sostenuto che la storia non serva proprio a nulla se poi continuiamo ad assistere, talora a prender parte a carneficine e massacri. Ma non possiamo rivolgerci alla storia come a un antidoto universale, capace di neutralizzare magicamente il male del (e nel) mondo. Se questa fosse l’attesa, la delusione sarebbe inevitabile: schiacciati dal presentismo, è abbastanza scontato valutare come inutili sia la storia che gli storici. Così la storia si studia sempre meno e sempre peggio; e nessuno interroga gli storici per aiutarci a capire dove siamo e stiamo andando.

 Capiamo poco anche per questo. E abbiamo fatto di più. Abbiamo sostituito la storia con la memoria. Per non dimenticare.  L’impressione è che l’invito – o qualcosa di più – sia a non dimenticare a partire da un certo momento; quello che vien prima, praticamente la storia del mondo, possiamo consegnarlo a fiction o a riviste patinate. In concreto dimenticarcelo o quasi. Ma la memoria è astutamente selettiva; e la selezione nasconde un progetto, politico, per il futuro. Ci vien fatto ricordare papa Giovanni XXIII, non il papa re o il papa inquisitore dei secoli addietro (con gli orrori dell’Inquisizione romana); la marcia su Roma e il fascismo, non il Risorgimento, il Rinascimento, i liberi Comuni dell’Italia tardo-medioevale; gli orrori delle persecuzioni ebraiche naziste, non l’antiebraismo istituzionale dei duemila anni precedenti; l’Europa (fintamente) unita, non secoli e secoli di guerre all’ultimo sangue tra le potenze europee (e di dura colonizzazione per noi Italiani); l’imperialismo di Putin  e di Xi Jnping, non i secoli o millenni di esperienze imperiali e di grandi civiltà nell’Oriente del mondo ecc.

 Solo la storia ci può aiutare a capire quel che sta accadendo perché la storia ci offre il metodo: vedere non il punto ma la linea nel suo lungo sviluppo, i fatti non scissi gli uni dagli altri ma concatenati, fare inchiesta e cercare le prove, non semplicemente descrivere l’ultimo fatto. Se ci limiteremo all’ultimo, non solo non capiremo, ma sarà molto più facile dare ingresso a impulsi ed emozioni, cioè all’irrazionale. Da questo punto di vista la storia è più affidabile della memoria: perché ha una pretesa di oggettività, di scientificità, che la memoria non ha, tesa com’è a creare un intellegibile particolare parziale, strumentale.

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