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Meloni, prove tecniche di premierato assoluto
La “seconda restaurazione”, come la chiamava Tronti, che ci è toccato in sorte di vivere dopo l’89, esige prima o poi che i sovrani ritornino sui troni. Ovviamente nelle forme e nei modi che i ricorsi storici consentono. Dunque, non nella forma anacronistica delle monarchie dinastiche, tipiche de L’Ancien Régime, piuttosto delle più aggiornate e praticabili autocrazie plebiscitarie. Certo, il principio secondo cui la legittimità dell’obbligazione politica stia in “basso” pare al momento inaggirabile, ma con le opportune manomissioni lo si può neutralizzare.
Così la Meloni può illustrare serafica il suo disegno di legge governativo di sostanziale archiviazione dell’attuale Costituzione repubblicana. E dichiarare, a conclusione della conferenza stampa, di considerare quella riforma «la madre di tutte le riforme» e di essere «fiera» per averla pensata. Non sfugga la circostanza che il ricorrente progetto di superamento della Carta, nata dalla lotta partigiana antifascista e fondata sul lavoro, sia finito in una sorta di rocambolesco gioco dell’oca – per ultimo – nelle mani degli eredi politici di chi in quella drammatica vicenda recitò il ruolo di sconfitto della storia. Non osiamo immaginare lo spirito di rivalsa che animerà tutti i protagonisti per la buona riuscita dell’impresa. Il filosofo politico Carlo Galli nei giorni scorsi ha acutamente osservato che per una destra posta da sempre ai margini, questa potrebbe rappresentare un’occasione unica per «la nascita di una nuova repubblica (seconda o terza che si voglia), della quale la destra sarebbe fondatrice – come non lo fu della prima». Un invito dunque a non sottovalutare la portata strategica sottesa al progetto di revisione costituzionale.
Che non si tratti di un capriccio momentaneo o di una mera azione diversiva per distogliere l’attenzione dalle tante promesse elettorali non mantenute, si ricava dalla corretta comprensione dei dati di contesto. Sul piano “strutturale” infatti è verosimile che in presa diretta e con l’utilizzo dell’AI stia avvenendo in occidente, su di un presupposto esclusivamente finanziario, il più formidabile riposizionamento strategico dell’accumulazione capitalistica. L’ordine discorsivo dominante camuffa tutto questo con la green economy ed ogni genere di transizione, producendosi in concreto in un’attività di spoliazione crescente a danno dei gruppi sociali subalterni. Tutto ciò richiede il varo di nuovi assetti politici e sociali in chiave sempre più “verticale” – anche per poter spegnere sul nascere ogni embrione di rivolta – in linea con questi inediti rapporti di potere sempre più concentrati in poche mani.
Anche agli estremi confini dell’impero, quale noi propriamente siamo, un quadro di disuguaglianze mai visto prima, con un ceto medio polverizzato e ridotto all’ombra di se stesso, consiglia per poter «guadagnare tempo» una concentrazione crescente di potere mediante una sua personalizzazione. A conferma che l’intento sia la creazione di un premierato ereditario, manca nel disegno di legge qualsiasi indicazione di un limite di mandati; di contro, c’è la garanzia che la coalizione al traino del capo occupi le Camere con non meno del 55% di parlamentari. Una riforma costituzionale incostituzionale.
Queste sia pur sommarie anticipazioni fornite dalla Meloni nel corso della presentazione del progetto di riforma consentono alcune brevi considerazioni conclusive. In primis, che sussistono dei poteri nascosti ben organizzati, non solo politici per la verità, nemici della Costituzione che periodicamente ritornano alla carica per la sua eliminazione, disposti a far rivivere al Paese ogni genere di disavventura pur di mantenere inalterati o accrescere gli attuali asimmetrici rapporti di forza. Inclusa un’ultima definitiva torsione autoritaria del sistema, proponendo per questo un premierato da operetta ma funzionale allo scopo. L’Italia si confermerebbe così laboratorio privilegiato di esperimenti politici da replicare poi su più larga scala. Del resto è pur sempre il Paese che ha ospitato il più grande partito comunista d’Occidente, avendo attirato per questo ogni genere di attenzione perlopiù eversiva. L’attuale destra al potere, e siamo alla seconda e ultima considerazione, si dimostra assolutamente non interessata a rivitalizzare il corpo sociale piuttosto considerarlo come massa informe da manovrare all’occorrenza per garantirsi il plebiscito. L’unico interesse a muoverli è la propria conservazione e riproduzione nel tempo: che le istituzioni continuino pure ad essere sorde e la società muta, come il paradigma neoautoritario richiede. Viceversa, è del tutto evidente che una società passivizzata ed individualizzata da circa quarant’anni di maltrattamenti neoliberali avrebbe bisogno di ben altre cure e attenzioni. Di una politica alta, per esempio, che contribuisse fattivamente a ridestarla dal lungo torpore.
Pare insomma che non è da questo lato, come del resto non dal versante tecno-politico, che possa venire la spinta per una nuova “primavera dei popoli europei” – che finalmente si liberino da questa cappa restaurativa che li sovrasta. Può invece realizzarsi in nome di una visione radicalmente alternativa, portata avanti da una soggettività collettiva consapevole, che riprenda nelle proprie mani il processo di liberazione, bruscamente interrotto a metà degli anni settanta del secolo scorso, di quelle classi e di quei ceti che vivono e, sempre di più, sopravvivono del proprio lavoro.
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