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Il futuro della magistratura


28 Nov , 2023|
| 2023 | Visioni

Luigi Ferrajoli, noto studioso di filosofia e teoria generale del diritto, ha svolto un’importante relazione al congresso, tenutosi recentemente a Napoli, di Magistratura Democratica, storica corrente della  c.d. “sinistra giudiziaria”

Tale relazione, di ampio respiro, ha focalizzato l’attenzione su svariati  argomenti:  

1) la crisi del diritto, specialmente penale, oggetto di continui interventi tutti nel segno di un restringimento dell’area del garantismo, nell’ottica di pulsioni securitarie rispetto alle grandi contraddizioni di questa modernità, quali le correnti migratorie, il disagio sociale, la violenza asseritamente crescente nelle società di questa modernità. E di cui anche recentissimi episodi, di grande impatto emotivo, sembrerebbero chiara conferma.

Rispetto a tale crisi, l’analisi illumina quale sia la visione oggi imperante del diritto penale e che potremmo sostanzialmente riassumere nella funzione di controllo del rumore di fondo prodotto dalle contraddizioni da un sistema, quello liberista, che mette al centro di tutto la merce e non la persona.

In questa deriva, affonda una tradizione, anche gloriosa, della riflessione giuspenalistica italiana che, sin dagli anni ‘70 del secolo scorso, aveva visto importanti approdi in tema di concezione materiale e reale del reato, di ricostruzione in chiave di offensività (astratta e non banalmente concreta come poi si è, in parte, realizzata) delle fattispecie incriminatrici, di diritto penale minimo.

2) Il secondo argomento, che sembra quello a cui Ferrajoli voglia assegnare il cuore delle sue riflessioni, riguarda la prospettiva irenica della pace universale, del disarmo generalizzato, della Costituzione della Terra e dei Popoli. Kant versus Schmitt. Argomenti che oggi sembrano del tutto utopici in un mondo segnato da guerre, distruzioni, genocidi, armi terrificanti e così via. Ma è anche il discorso di chi confida ancora nell’umanità e cerca di tenere in piedi bandiere di speranza e di ragionevolezza.  

Bandiere non del tutto infondate se accompagnate da un pensiero critico organizzato che non voglia rassegnarsi ad affondare in orizzonte totalmente dominato da mercificazioni e tecnica.  Pensiero critico ed organizzato di cui purtroppo non sembra, al momento, esservi traccia.

3) Più immediate e ravvicinate le riflessioni di Ferrajoli sul fronte degli interna corporis. Un punto, qui, merita interesse particolare, anche perché tocca nel vivo una questione che, dalle riforme del 2007 in avanti e fino a alla Cartabia compresa,  riguarda la carriera dei magistrati. Ricordato il precetto costituzionale secondo cui i magistrati si distinguono solo per funzioni, il Nostro prende atto che lo stesso è stato svilito completamente da pratiche lottizzatrici che hanno inaridito e ossificato il dibattito culturali fra e nelle Correnti. Per ovviare a tale negativa situazione, propone un ritorno all’antico ed irriso (specialmente dal suo uditorio napoletano) criterio dell’anzianità senza demerito per l’attribuzione di incarichi . Una indicazione “rivoluzionaria” di cui però Ferrajoli si affretta a depotenziare la portata proponendo un subordinato criterio, quello della stima generale riconosciuta al collega aspirante più giovane, da cristallizzarsi in decisioni consiliari unanimi o con maggioranze più qualificate. Trattasi, a mio avviso, di una concessione “diplomatica” perché è chiaro che una proposta secca sull’anzianità sarebbe stata indigeribile per una corrente che ha dato sempre più l’impressione (specialmente negli ultimi anni dell’abbraccio mortale con Area e da cui si è recentemente distaccata con non poco travaglio), di ritenersi la depositaria del “sale della terra”. Col corollario che vi erano magistrati “normali” e “magistrati “migliori”.

Sarebbe ingeneroso ed anche dannoso, però, fermarsi oggi a queste polemiche e non capire che questa vicenda della “carriera e del merito” (assurta ormai a dignità di legge con la “riforma” Cartabia”) è stata un’esca avvelenata in cui siamo precipitati un po’ tutti, ben preparata da chi ha in mente un’idea molto precisa: trasformare l’impianto costituzionale della magistratura in un quello di funzionariato coerente con le dinamiche neoliberiste.

Torna qui utile la visione di Ferrajoli: i giudici non sono un pezzo distaccato dalla società e non devono perseguire finalità che non siano quelle della tutela dei diritti. E ciò anche a costo di essere disfunzionali rispetto ad obiettivi algoritmici o meramente predittivi e/o produttivi. L’interpretazione della legge non è un atto meccanico ma operazione che, mentre rende viva una cosa che altrimenti sarebbe morta (le mere parole della legge), deve, al contempo misurarsi, con la complessità del reale e di tutti i valori in gioco.

Non ci sono macchine che possano fare questo: ma solo donne e uomini. Preservare questa specificità sarebbe il compito di una magistratura associata consapevole di tali sfide.

Di:

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