Una trentina di anni fa ebbi modo di incontrare al Servizio di Igiene Mentale di Canosa di Puglia, un signore di circa 55 anni (che chiamerò Antonio) che di mestiere faceva il contadino, il quale mi riferì che la notte non riusciva a riposare. Veniva svegliato repentinamente da un omino di aspetto sgraziato con indosso indumenti di color tabacco un cappellino dello stesso colore gli copriva il capo e non indossava scarpe. L’omino, non più alto di una trentina di centimetri, stava lì di fronte a lui, seduto sulla spalliera del letto o in alternativa sul suo torace, tenendo ben stretta tra le braccine una pignatta ricolma di monete d’oro. Sapevo, prima ancora delle letture specialistiche sul folklore (Paul Sebillot, Ernesto De Martino, Marie Von Franz) , dalle narrazioni di mia nonna materna , di presenze che aleggiavano nella grande casa di famiglia (venivano definiti “padroni della casa”). La nonna e le donne che vivevano nei pressi parlavano spesso di entità presenti nelle abitazioni gli scazzamurid o munacid*. Non mi sembrò che vi fosse altro, insomma non vi era alcun coinvolgimento delle così dette funzioni della coscienza. Non era uno dei tipici casi che giungono all’osservazione dello psichiatra. La notte lui si immergeva in una dimensione fantastica, in un “mondo magico” che non gli impediva di svolgere un quotidiano in cui tutte le cose erano “apposto” come la cura della terra e l’impegno nei confronti dei figli della consorte. Mi confidò, durante il colloquio, un fatto per cui provava vergogna era analfabeta né leggere né scrivere. Iniziai a pormi un problema ,esiste una specificità degli analfabeti? Una modalità alternativa di approcciarsi alle cose del mondo? Secondo il neuroscienziato francese Stanislas Dehaene parrebbe probabile che il cervello che legge abbia sfruttato vie neuronali preesistenti, progettate alla origine non solo per la visione, ma anche per collegare la vista a funzioni concettuali e linguistiche. L’associazione viene spontanea, sembra proprio che Dehaene si riferisca all’immaginario cioè a quel sistema simbolico di pensiero che può essere considerato un metalinguaggio, ossia un linguaggio, analogo a quello verbale, basato sulle immagini e dotato, come una lingua, di un suo codice . Insomma l’incontro con Antonio mi spinse a curiosare un po’ di più e mi accorsi che ancora oggi il numero di persone che non sa né leggere né scrivere è molto più ampio di quanto si possa pensare ; solo nel paese in cui ho lavorato fino a tre anni fa, ne ho incontrati una ventina ,tra i 40 e i 60 anni (ma credo che la maggioranza delle persone abbia difficoltà ad ammettere questa particolarità vissuta come un deficit e spesso ricorre ad artifizi, pur di non essere catalogate come inferiori, del tipo: «può leggere lei per cortesia, non ho gli occhiali da lettura».
Due antropologi, Gualtiero Harrison e Matilde Callari Galli, dal 1967 al 1969 hanno raccolto i dati sulla cultura analfabeta in una ricerca finanziata dal Comitato di Scienze economiche, sociologiche e statistiche del C.N.R .Una prima elaborazione dei dati è stata pubblicata nel n.22,Giugno del 1970, di “Le Scienze” mentre il testo completo è stato pubblicato nell’Aprile 1971 da Feltrinelli con il titolo “Né leggere Né scrivere” testo dal quale sono tratti, in corsivo, i passi che seguono :
“Gli analfabeti sanno il disprezzo che ricopre la loro condizione e la vivono da esclusi. La stessa cultura produce l’emigrante e l’analfabeta; quella cultura analfabeta della quale si nega l’esistenza o si definisce immobile incapace di dare ai suoi membri fiducia in sé stessi, di farli comunicare con gli altri.
La vergogna di non sapere né leggere né scrivere è il sentimento che collude con l’interesse dello establishment di non indagare e quindi di non divulgare i veri dati sulla dispersione scolastica e sull’analfabetismo totale. Per gli autori succitati la percezione del tempo nell’analfabeta consta di presente, non più presente, non ancora presente. Il tempo verbale coincide con il presente.
Per te è tutto presente: l’essere prima è un non più presente l’essere dopo è un non ancora presente.
L’istruito considera questo tuo presente come immutabile, mentre per te può mutare con un salto… La sorte, se interviene la sorte ti trasforma il presente, ti pone in un diverso presente, perché la sorte stessa è sempre presente nel suo arbitrario dirti di si o dirti di no.
La cultura analfabeta predilige una esperienza globale in un ambiente totale… Il sistema di parentele della cultura istruita tende ad abolire le linee orizzontali dentro cui si sistemano i collaterali secondo il grado di parentele e si accentua invece l’importanza della classe di età che corrisponde all’anno di nascita… La tendenza rettilinea del sistema si organizza secondo la direzione verticale…. Rettilineo è lo spazio della città degli istruiti, rettilinea è la loro concettualizzazione del tempo, rettilinee le loro concettualizzazione del tempo, rettilinee le relazioni sociali, a partire dalle relazioni familiari. L’uomo retto è l’immagine ideale della cultura degli istruiti.
L’ambiente del ghetto analfabeta è invece sferico ed è sferica la codificazione del tempo… la realtà dei rapporti è molto più complessa di quanto si possa percepirla da ‘istruiti’ non vi sono salti, vuoti, hiati, non vi è netta contrapposizione, non esiste un determinismo diretto, un nesso di causalità ben definibile ma il tutto è concatenato da una modalità circolare sferica appunto.
Stanislas Dehaene, molto più recentemente, ipotizza, da neuroscienziato, che la nostra facoltà di riconoscimento della lettura ricorra a circuiti nervosi della specie evolutivamente più antichi specializzati nel riconoscimento degli oggetti ad es. il distinguere a colpo d’occhio il predatore dalla preda e suggerisce che le aree cerebrali visive dei nostri antenati preposte al riconoscimento degli oggetti furono usateper decodificare i primi simboli e le prime lettere della lingua scritta, adattando i loro sistemi innati di riconoscimento. In altri termini mentre la visione e la parola hanno una base ereditaria la lettura non si basa in modo diretto su alcun programma genetico trasmesso alla generazione successiva. Per cui la scrittura e la lettura si sarebbero incuneati in un substrato geneticamente determinato deputato al riconoscimento degli oggetti e dei simboli; quel colpo d’occhio sul mondo che in tempo reale ne fornisce una rappresentazione a tutto tondo. L’immaginario è anch’esso un sistema dinamico in cui possono confluire elaborazioni provenienti da diversi contesti. Nella cultura greca la canocchia, strumento di lavoro delle filatrici, può assumere un valore magico (è il caso delle moire che filano il destino degli uomini) . In realtà la canocchia è semplicemente un elemento connotativo per la donna che nella realtà quotidiana doveva passare la giornata a lavorare in casa per la famiglia , ma allo stesso tempo l’immaginario maschile individua nella donna , anche per la sua potenzialità generatrice ,una pericolosa predisposizione alla magia . Possiamo inscrivere nella dimensione dell’immaginario il mito che è un modo di pensare: è il frutto di un pensiero che non si sviluppa attraverso schemi logici e astratti ma per immagini.
In una società come quella greca di epoca arcaica, e come sono in generale quelle tribali , il mito contiene e trasmette il patrimonio di idee , tradizioni , istituzioni sociali e religiose , genealogie che costituiscono la cultura, nel senso lato del termine, di un popolo illetterato. Il mito può definire un racconto tradizionale trasmesso, in origine, oralmente (mythos :parola, racconto).
L’iliade ,per esempio , sembra essersi sviluppata da una tradizione di bardi (aedoi) fra il 1230 A.C , quando ebbero luogo gli avvenimenti descritti nel poema epico e l’800-750 A.C quando il poema sembrò essere messo per iscritto, proprio quando i greci progettarono il loro alfabeto e lo diffusero nelle loro colonie .Quindi sebbene scritta l’Iliade è testimone di assetti, modalità, atmosfere, tipiche della oralità.
L’Iliade non è concettuale si sviluppa attraverso immagini. Ad es. la parola psyche designa, nella maggior parte dei casi, sostanze vitali come il sangue o il respiro. la parola thimos designa semplicemente il movimento, l’impulso, l’impeto, il thymos può dire ad un uomo di mangiare, bere o combattere. Diomede dice che Achille combatterà “quando nel petto thymos gli parla e un dio lo sospinge. Forse la parola più importante è noos, che scritta nous nel greco più tardo venne a significare “mente cosciente ”, ma nella Iliade la traduzione più appropriata sarebbe qualcosa come percezione, riconoscimento , campo visivo . Zeus” tiene Odisseo nel suo noos” cioè vigila su di lui (la parola deriva da noeo “io vedo”).
Harrison e Galli (op. cit.) riportano che come nel barocco siciliano “l’istruito vede una esplosione di colonne, balconi tutte curve e rientranze, che fanno da frontoni ai balconi del piano inferiore e le pietre delle colonne, i ferri battuti delle balaustre, le piante , le decorazioni, insieme si organizzano in un ordine fantasioso e non riesce a percepire questo ordine e tende a cancellare questa architettura splendida che fu costruita a due passi dai tuguri, volendo che tuguri e palazzi si avviluppassero e si coinvolgessero a vicenda così sono inintellegibili le voci, le urla, solo nel caso se ne preveda un doppio senso… Indicano tutte uno stato d’animo, un cambiamento emotivo, ma servono soprattutto ad avviluppare in uno spazio acustico tutti gli altri ,vicini e conoscenti, a informarli dell’avvenimento, coinvolgendoli: ognuno comunica agli altri la propria vita e condivide la vita degli altri… Per poter ascoltare occorre conoscere il codice con cui risalire allo stato d’animo e giungere così all’accadimento che l’ha provocato”, descrivono l’azione corale collettiva, ma anche i silenzi che seguono le urla: sono la risposta del gruppo al messaggio, la trasformazione di un accadimento individuale in uno stato emotivo comune e condiviso”.
Ma erano questi dei che muovono gli uomini e cantano poesia epica attraverso le loro labbra? Erano voci e silenzi e le voci potevano essere udite e i silenzi interpretati. Le voci potevano essere udite e decodificate dagli eroi dell’Iliade come le voci udite dai pazienti schizofrenici o come le voci udite da Giovanna D’arco.
Il dio greco non appare tra scoppi di tuono non suscita mai soggezione o timore nell’eroe ed è lontanissimo dal dio esageratamente pomposo di Giobbe. Egli semplicemente guida, consiglia, ordina.
L’Iliade ci rivela una forma mentale molto diversa che denuncia la sua origine corale-orale. Il ricorso all’IO che compare qua e là è considerato dagli studiosi aggiunte a posteriori.
L’analfabeta non capisce il linguaggio dei segni grafici, l’istruito è un analfabeta di fronte al linguaggio delle urla, dei rumori, dei gesti degli odori.
Cancellando lo spazio visivo, cancellando lo spazio acustico, riducendo la realtà a segno grafico dell’alfabeto fonetico si è adempiuta la profezia che fece il re egizio a Thot, inventore delle arti e padre della scrittura. “Con la scoperta dell’alfabeto voi non date ai vostri discepoli la verità ma solo la copia della verità”.
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