Il giorno dopo la svolta bizzarra e inaspettata della Fed, in molti hanno avuto difficoltà a comprendere cosa fosse successo. La domanda da un milione (o miliardo?) di USD era infatti: cos’è cambiato in meno di due settimane perché Powell smettesse di dire ai mercati che era “prematuro concludere, con un elevato livello di confidenza, che abbiamo raggiunto una posizione sufficientemente restrittiva, oppure speculare su quando la politica monetaria potrebbe iniziare ad allentarsi” per iniziare invece ad affermare (direi “improvvisamente”) che un taglio dei tassi ufficiali è qualcosa “che comincia ad affacciarsi all’orizzonte, ed è chiaramente un argomento di discussione nel mondo ed è anche una discussione per noi durante il nostro incontro di oggi (mmeting FOMC)“. Ricordate? No? Allora leggete di seguito:
Di fronte a simili altalenanti affermazioni, persino il portavoce di Powell, il giornalista del WSJ Nick “Nikileaks” Timiraos, appariva particolarmente confuso, commentando sarcasticamente – dopo il FOMC – “che differenza possono fare due settimane?”
Bene, inquadrato il “mistero” (glorioso od inglorioso?), diamo uno sguardo più da vicino alle due settimane tra il 1° e il 13 dicembre, quando, si presume, “tutto è cambiato”.
Scopriamo, in primis, che i principali dati economici comunicati nel periodo sono stati: l’ISM Services del 5 dicembre, il rapporto sui libri paga di novembre dell’8 dicembre, il rapporto sulla fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan, il rapporto CPI del 12 dicembre (e aggiungiamo i dati sulle vendite al dettaglio del 14 dicembre solo per completare il contesto).
Passando in rassegna a ciascuno di questi dati (nell’ordine) iniziamo con il rapporto ISM Services che ci consegna un chiaro segnale di “vivacità economica” e di ripresa rispetto al mese precedente…
… in seconda battuta, anche il rapporto sull’offerta di lavoro ha evidenziato un vistoso miglioramento del mercato, oltre che un significativo miglioramento rispetto al rapporto precedente…
… per non parlare del tasso di disoccupazione, che è risultato assai al di sotto delle aspettative ed ha registrato un forte calo rispetto al dato precedente (quelli che, osservando strettamente la Sahm’s Rule, erano preoccupati che potesse annunciare un’imminente recessione, possono quindi decisamente potuto rilassarsi)…
… anche i dati sulle retribuzioni orarie medie sono risultati più elevati del previsto (presentando, quindi, una valenza inflazionistica) …
… che a sua volta ha aiutato il rapporto U. of Michigan Consumer Sentiment, “esploso” dal 61,3 precedente al 69,4 (stime a valenza “schiacciante” di 62,0) …
… per quanto riguarda i dati sull’inflazione, beh, l’IPC di novembre ha mostrato un tono decisamente “più vivace” del previsto (quindi contrario a qualsiasi nuova ipotetica tendenza deflazionistica, a cui la Fed potrebbe fare riferimento per motivare un atteggiamento più accomodante).
Ultime in ordine cronologico, ma non meno importanti, sono arrivate le vendite al dettaglio del 14 dicembre, che sono risultate “roventi” – il quinto miglioramento consecutivo di fila – e hanno confermato che, contrariamente a quanto “telegrafato” dalla Fed, i consumi statunitensi non solo non stanno rallentando, ma presumibilmente i consumatori stanno spendendo molto più di quanto previsto da Wall Street.
Forse Powell non era in possesso di quei dati, ma certamente aveva accesso agli stessi dati sulla spesa delle carte di credito, in tempo reale, di cui dispone la Bank of America. Cosa che avrebbero consentito di prevedere correttamente il forte miglioramento delle vendite al dettaglio che sarebbe poi sopraggiunto:
Eppure, dopo tutti questi dati più forti del previsto – o comunque in miglioramento – ed un tasso d’inflazione più elevato, Powell ha deciso di procedere ugualmente ad una svolta inaspettata, negando nei fatti tutto ciò che aveva affermato solo due settimane prima, ovvero in un momento in cui i dati disponibili rappresentavano condizioni generalmente peggiori – e meno inflazionistiche – di quanto lo fossero invece state in corrispondenza del FOMC.
Quando il FOMC ha “virato” verso una “stance” di politica monetaria più accomodante, l’impatto sui mercati è conseguentemente stato assai marcato. Il riscontro? Osserviamo quanto accaduto il 14 dicembre: il rendimento dei titoli statunitensi a 10 anni è crollato di quasi 20 punti base dal momento della decisione, quello a 2 anni poco più di 30 punti base. I mercati hanno iniziato a scontare sei tagli da 25 punti base nel 2024, di cui il primo è interamente scontato per marzo.
Bisogna sottolineare che, però, il fattore chiave della forte reazione positiva dei mercati è certamente stata la decisione di Powell che, per non contrastare le aspettative del mercato, ha prospettato tagli anticipati (e significativi) dei tassi ufficiali nel 2024.
Spicca in particolare la battuta finale del Presidente: sebbene il FOMC non abbia escluso dal tavolo la possibilità di ulteriori aumenti, Powell ha ammesso che il FOMC ha iniziato a discutere riguardo a quando ridurre i tassi.
Come accennato, si tratta di una svolta enorme rispetto a quanto aveva detto meno di due settimane prima, quando (come riportato) aveva affermato che era “prematuro” speculare sui tagli dei tassi. Ha certamente affermato che il Comitato non ha ancora elaborato il ciclo di tagli, ma ha però confermato che, per procedere, non aspetteranno che l’inflazione sia al 2%, perché esiste il rischio di superarla “al ribasso”.
Naturalmente, come abbiamo accennato, nulla di questo ipotizzato “pericolo di superamento” si era profilato nei dati recenti. Anzi, i dati sono risultati più forti dall’inizio del mese, così come l’inflazione!
Quindi, presupponendo che Powell fosse la stessa persona dalla sua apparizione del 1° dicembre allo Spelman, i conti non tornano per nulla: manca una tessera fondamentale del mosaico. Invece di concentrarsi sul suo messaggio originale …. in occasione del FOMC ha fatto esattamente il contrario. Un fatto che, secondo Rabobank, sminuisce – nell’immediato sul breve termine – nella sostanza l’importanza di qualsiasi dato sull’inflazione a breve termine che indicasse ancora un’inflazione al di sopra del suo obiettivo, mentre sottolinea ed esalta i dati che supportano l’idea che l’inflazione sia in calo. Nick Timiraos, del Wall Street Journal, ha twittato riportando che Powell ha affermato che alcuni membri addirittura hanno cambiato idea a metà della riunione, quando sono stati diffusi i numeri PPI (inferiori alle aspettative).
Come ben sanno anche gli analisti finanziari alle prime armi però, ciò che il PPI misura più di ogni altra cosa, sono i costi di input delle materie prime: ad esempio petrolio, benzina, cibo e così via… tutti elementi che la Fed evita religiosamente nella sua misura di inflazione preferita, il PCE core.
Il quadro che emerge è quindi sconcertante: da un lato, con i dati più deboli in mano, il Presidente della Fed ha affermato che era “prematuro” per parlare di tagli dei tassi, ma meno di due settimane dopo, con dati più solidi e con un’inflazione più elevata del previsto, Powell ha improvvisamente fatto una svolta di 180 gradi, scioccando anche i trader più esperti, quando presumibilmente la Fed ora stava osservando proprio ciò (il PPI) che ha fatto di tutto per evitare di vedere – con grande sforzo –quando l’inflazione era alle stelle.
O forse non c’è alcun enigma e la risposta è un’altra: forse quello che è successo nelle ultime due settimane non ha avuto niente a che fare con i dati economici, con lo stato dei consumatori statunitensi o con quanto l’inflazione fosse in aumento ……. bensì tutto quanto accaduto ha a che fare – e strettamente – con …. le telefonate della Casa Bianca sempre più arrabbiata ed innervosita – come del resto la Camera dei Rappresentanti – dopo aver visto gli ultimi dati dei sondaggi che fotografano Biden in progressivo svantaggio dietro Trump, nonostante il miracolo della “Bidenomics”…
… e potrebbe essere – non c’è alcun evidenza di segno contrario – che la Casa Bianca, o chi per essa, abbia deciso di passare il limite ultimo della politica: tenendo una “conversazione nel retrobottega” con il presidente della Fed in cui ha verosimilmente chiarito, in modo esplicito, che è “nell’interesse di tutti” che la Fed metta fine alla sua campagna di inasprimento dei tassi e si affretti, invece, ad informare il mercato che i tagli dei tassi sono ormai prossimi.
Ciò spiegherebbe certamente perché, nonostante abbia mantenuto invariato al 2,875% il tasso dei fondi federali previsto per il 2026, la Fed abbia deciso, in modo altrettanto inatteso, di eliminare un “giro di tagli” dei tassi dall’anno “non elettorale” 2025, “trasferendoli” invece nella fase pre-elettorale del 2024.
Sciocchezze!! … si dirà…. la Fed è da sempre apolitica, non cederebbe mai alle pressioni politiche! Dite? Think again….
Caro lettore: una simile affermazione – che la FED è da sempre apolitica – è una vera enorme “stronzata”! Come anche il NYT ci ricorda, ripercorrendo la memoria di un vivido aneddoto del 1965. Quest’ultimo racconta infatti la drammatica contrapposizione tra l’ex presidente degli Stati Uniti Lyndon B Johnson e l’allora presidente della Fed William McChesney Martin, quando il capo della banca centrale americana – con grande dispiacere di LBJ – aumentò i tassi di mezzo punto percentuale, facendo infuriare il presidente democratico. Ripercorrendo la vicenda:
“Nel Consiglio dei governatori riunitosi quel pomeriggio, il Presidente della FED ha chiesto un voto per aumentare il tasso di sconto di mezzo punto percentuale, al 4,5%. Ma prima del voto, ha ammesso che un aumento del tasso avrebbe sostanzialmente sventolato una bandiera rossa davanti ai critici di una Federal Reserve indipendente, al Congresso e alla Casa Bianca.
“Non dovremmo farci illusioni”, ha detto ai suoi colleghi. “La decisione di agire adesso può portare a un importante rinnovamento del sistema della Federal Reserve, compresa la sua struttura e i suoi metodi operativi. Questa è una possibilità reale e ci penso da mesi.”
Il voto è stato 4 a 3. Martin ha espresso il voto decisivo.
In Texas, frattanto, Johnson era infuriato. Joseph Califano, un assistente (in seguito segretario di gabinetto sotto il presidente Jimmy Carter), ha ricordato che Johnson “bruciò i cavi con Washington, chiedendo a un membro del Congresso dopo l’altro: ‘Come posso governare il paese?” (e il governo) se dovessi leggere su un notiziario che Bill Martin gestirà in prima persona la nostra economia?’”
Martin fu convocato per spiegare perché aveva sfidato il presidente.
Martin è volato al Johnson Ranch lunedì 6 dicembre, insieme a Fowler e altri consiglieri. Il presidente li ha accolti su una pista di atterraggio al volante della sua Lincoln decappottabile. Si raccolsero e lui li portò a casa. Allora Johnson ha incontrato Martin da solo e non ha usato mezzi termini. Secondo diversi resoconti, Johnson, alto 6 piedi e 4, spinse il più basso Martin contro un muro.
“Sei andato avanti e hai fatto qualcosa che sapevi che disapprovavo, che può influenzare il mio intero mandato”, ha detto Johnson, come ha ricordato Martin più tardi oralmente. “Vi siete approfittati di me e non lo dimenticherò, perché eccomi qui, un uomo malato. Mi hai messo nella posizione di potermi colpire con uno stocco e ci sei riuscito.
“Martin, i miei ragazzi stanno morendo in Vietnam, e tu non stamperai i soldi di cui ho bisogno,” ha detto.
Martin mantenne la sua posizione. Ha sottolineato di aver dato al presidente un giusto avvertimento che sarebbe arrivato un aumento. Più in generale, ha insistito sul fatto che lui e il presidente avevano compiti diversi da svolgere e che il Federal Reserve Act attribuiva alla Fed la responsabilità sui tassi di interesse.
“Sapevo che non lo approvavi, ma dovevo decidere come la vedevo”, ha detto.
Alla fine, i due uscirono e cercarono di assicurare ai giornalisti che eventuali differenze erano state risolte. Le loro espressioni acide, catturate sui giornali il giorno successivo, suggerivano il contrario. Ironia della sorte, alla fine LBJ ha ottenuto ciò che voleva, come rivela il successivo episodio del NYT, che conferma la ricostruzione surriportata:
… nel 1965, il presidente Lyndon B. Johnson, che voleva credito a buon mercato per finanziare la guerra del Vietnam e la sua Great Society, convocò il presidente della Fed William Mc Chesney Martin nel suo ranch in Texas. Allora, dopo aver chiesto ad altri funzionari di lasciare la stanza, Johnson avrebbe spinto Martin contro il muro mentre chiedeva alla Fed di mantenere ancora una volta bassi i tassi di interesse. Martin cedette, la Fed stampò moneta e l’inflazione continuò a salire fino all’inizio degli anni ’80.
Quasi 60 anni dopo, Powell ha deciso anch’egli di non “dare il nome giusto a ciò che vedeva” solo due settimane prima, e ha invece accettato di essere messo con le spalle al muro dagli scagnozzi di Biden. Quindi si è giocato “da solo” quella poca credibilità che la Fed aveva. In questo modo le probabilità di Biden di essere rieletto nel 2024 sono divenute “leggermente” più alte. Un risultato che farà piacere ad alcuni ma purtroppo nei fatti, probabilmente, creerà molti dispiaceri per i più che nella riconferma di Powell alla presidenza della FED contano però poco. Insomma, un altro segnale che lascia intuire la natura ormai decadente di molte – e quelle USA sono le principali – élites di Governo nei paesi occidentali, tra le quali – sfumate ormai, ovviamente, tutte le parvenze di seria cura dell’interesse pubblico – vige ormai la regola del “prima l’interesse privato e poi, solo successivamente e se non confligge con il primo, quello pubblico”, anche se l’interesse pubblico è quello per il quale sono stati eletti o nominati. Insomma: non andrà a finire bene! Anche se, per ora, ci godiamo il rialzo di Wall Street: “finchè la barca va … lasciala andare” (ma smonta prima che si fermi!).
In realtà ci può essere una spiegazione alternativa, e “benevola”, che ha come dato centrale l’ennesimo aumento, fino a raggiungere un nuovo massimo storico, nell’utilizzo delle banche della Fed strumento di salvataggio (ora a 124 miliardi di dollari)…
Fonte: Bloomberg
Nonostante ciò, grazie anche “all’intercessione” dell’annuncio di Powell, Ieri le azioni delle banche regionali sono salite verso i livelli pre-SVB.
Si è anche assistito, di recente, al primo deflusso aggregato dai fondi del mercato monetario in sette settimane. Tenendo conto di tutto ciò, spostiamo l’attenzione sui bilanci bancari mentre la Fed “tenta di produrre dati” su prestiti e depositi per assicurarsi di non farci prendere dal panico.
Su base destagionalizzata, i depositi bancari totali sono aumentati di 28,4 miliardi di dollari, dopo essere diminuiti di 54 miliardi di dollari la settimana precedente…
Fonte: Bloomberg
Su base non destagionalizzata, i depositi bancari totali sono balzati a 65 miliardi di dollari (il secondo aumento settimanale consecutivo) al livello più alto livello dopo la crisi bancaria della SVB (e l’esodo dei depositi)…
Fonte: Bloomberg
Anche tenendo conto degli afflussi di depositi e i deflussi dal mercato monetario, la divergenza non migliora molto (ancora!)…
Fonte: Bloomberg
Escludendo i depositi bancari esteri, le banche nazionali USA hanno registrato afflussi sia su base SA che su base NSA (+$36,4 miliardi e $67,1 miliardi rispettivamente)…
Fonte: Bloomberg
Analizzando il quadro complessivo, le grandi banche hanno registrato afflussi di depositi per 30 miliardi di dollari SA e 51 miliardi di dollari NSA mentre le piccole le banche hanno registrato afflussi di depositi per 6,1 miliardi di dollari SA e 15,3 miliardi di dollari per NSA.
Nelle ultime sei settimane, le banche nazionali hanno aggiunto 245 miliardi di dollari in depositi (su base NSA ) e ha perso $ 13 miliardi in depositi (su base SA )…
Fonte: Bloomberg
Piuttosto stranamente, dall’altra parte del registro, tra questi depositi in aumento questa settimana, i volumi dei prestiti si sono ridotti sia per le banche grandi che per quelle piccole (-3,7 miliardi di dollari e -1,7 miliardi di dollari rispettivamente)…
Fonte: Bloomberg
Infine, il segnale chiave di allarme continua a tendere minacciosamente al ribasso (vincolo di riserva delle piccole banche – linea blu), sostenuto al di sopra del livello critico da parte dei fondi di emergenza della Fed (per ora)…
Fonte: Bloomberg
Come mostra la linea rossa, senza l’aiuto della Fed, la crisi è tornata (e la grande liquidità bancaria ha “bisogno di una casa” – linea verde – come ad esempio prendere una piccola banca a prezzi convenienti dalla FDIC).
Tutto ciò ci porta a chiederci – solamente perché abbiamo il vizio di pensare, e ad alta voce – ci stiamo preparando per un’altra crisi bancaria a marzo? Beh, allora in tal caso le dichiarazioni di Powell assumerebbero una sfumatura diversa. Non per questo meno preoccupante!
Pure in questo caso non possiamo che concludere analogamente al caso precedente e dire: “Non andrà a finire bene!” Anche se, per ora, ci godiamo il rialzo di Wall Street: “finchè la barca va … lasciala andare” (ma smonta prima che si fermi!).
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