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“Celia nella rivoluzione”
La scoperta di Elena Fortún in Italia. Una critica della guerra
La collana della Biblioteca del Vascello, dell’editore Robin, si conquista il primato di pubblicare la traduzione in italiano (grazie anche all’interessamento della traduttrice, Nuria Pérez Vicente, docente presso l’Università di Macerata) di una autrice sinora sconosciuta da noi, ma sempre più riconosciuta, letta e studiata in Spagna, vale a dire Elena Fortún.
Elena Fortún (1885-1952), pseudonimo di Encarnación Aragoneses, costituisce un vero caso letterario nel Paese iberico. Formatasi nella vivace Madrid degli anni Trenta attorno al Lyceum Club, originale fenomeno di intellettualità al femminile che vede protagoniste numerose scrittrici, inizia a scrivere racconti per ragazzi, fra i quali la serie di romanzi di “Celia” che avrà notevole successo nella Spagna prima della Guerra civile. Celia darà vita a una vera e propria saga, in cui al centro si collocano le avventure di una bambina anticonformista e persino proto-femminista, assai lontana dalla concezione franchista della fanciulla modello. Il tutto, però, senza ideologismi ma nel nome di un grande pragmatismo esistenziale, talvolta ingenuo o retto da una logica infantile del tutto coerente: se è possibile un accostamento esemplificativo per il lettore italiano, questo può essere rintracciato nella figura di Giamburrasca creata da Vamba qualche decennio prima.
In questa serie, però, c’era un anello mancante. Dalle opere che vedono protagonista Celia a Madrid – l’ultima è Celia madrecita, del 1939, che non a caso finisce con la frase “È il 18 luglio… […]. E il cuore mi si stringe senza sapere il perché”, cioè la data di inizio della guerra civile spagnola – si saltava a Celia institutriz en América, del 1944, romanzo in cui, senza offrire nessuna spiegazione al lettore, il personaggio lavora a Buenos Aires come istitutrice privata. Cosa era accaduto nel mezzo? La guerra civile, cioè la “rivoluzione”.
Tale vuoto è stato colmato in una maniera del tutto originale e degna di menzione. La filologa Marisol Dorao, certa della esistenza di un testo che confermasse la continuità della serie, compie un viaggio negli Stati Uniti, a metà degli anni Ottanta, per incontrare la nuora della Fortún. Riceve così dalle mani di questa un borsone pieno di carte, fra le quali, scritto a matita in fogli ingialliti dal tempo, il manoscritto di un romanzo inedito, redatto in esilio nel 1943, ma ambientato nel pieno della guerra civile spagnola e intitolato Celia en la Revolución. Elena Fortún si è sempre rifiutata di darlo alle stampe, anzi, avrebbe addirittura chiesto a un’amica di distruggerlo, ben conscia del fatto che sarebbe stato immediatamente censurato nella Spagna franchista, e che neppure la comunità spagnola in esilio avrebbe gradito le critiche ivi contenute alla violenza repubblicana. Fortunatamente l’opera è sopravvissuta ma, pubblicata nel 1987, non riceve il dovuto riconoscimento fino alla posteriore edizione per i tipi della Renacimiento, nel 2016.
Così riscoperta e rivalutata, Elena Fortún è diventata oggi una intellettuale “di culto” alla quale si dedicano continuamente seminari, mostre, presentazioni, svariate pubblicazioni – come la Guida del Madrid de Celia en la Revolución, in versione cartacea e online – nonché adattamenti teatrali delle sue opere. La città di Cordoba le ha recentemente intitolato un intero giardino pubblico, mentre a Madrid esiste da anni un monumento nel Parque del Oeste.
Ma veniamo all’opera, quindi. La Guerra civile spagnola costituisce la fonte privilegiata di una messe sterminata di narrazioni, espresse in tutte le forme artistiche possibili, racconto, cinema, fotografia, poesia, arti figurative; quindi, perché mai ci si dovrebbe appassionare a questo ulteriore contributo? La vera originalità del romanzo risiede nella testimonianza diretta della voce narrante che tratta la materia in modo realistico e del tutto pragmatico. Celia non è più la bambina irriverente e poco disciplinata dei romanzi precedenti, ma un’adolescente di circa sedici anni costretta a confrontarsi praticamente da sola con la dura realtà del conflitto. Celia si trasferisce da una città all’altra, daMadrid a Valencia, e poi a Barcellona, seguendo i passi del padre, capitano dell’esercito repubblicano, e delle sorelline, messe subito in salvo dai bombardamenti sulla capitale diventata ultimo bastione della resistenza repubblicana. Il lettore viene a conoscenza della fame, della violenza, delle separazioni famigliari, così come dell’angoscia degli sconfitti e del posteriore esilio. Il realismo del racconto è messo in scena grazie a una moltitudine di dettagli visivi, impressioni fisiche, piccoli fotogrammi appena commentati che non risparmiano il raccapriccio degli eventi bellici. Eppure, ciò nonostante, ritroviamo all’opera la medesima intelligenza pratica e logica spiazzante che caratterizzavano la fanciulla nel confronto con il mondo degli adulti. Ora vengono applicate a un contesto solo più grande e drammatico, cioè lo scontro bellico, ma restano intatte la curiosità, l’ingenuità, l’innocenza con cui si osservano gli eventi. Celia è dentro il conflitto ma non ne è parte, non conosce le posizioni ideologiche, si fida del padre e della sua idea di giustizia, confida nell’aiuto delle persone e si dispiace per ogni sofferenza, odia la violenza e la sopraffazione, vorrebbe solo continuare a vivere con serenità la sua esistenza familiare. La posizione della Fortún è stata non a caso assimilata a quel sentimento oggi meglio definito e sempre più valorizzato denominato “la terza Spagna”, che indica una vasta area di senso comune, se non anche sociologica e intellettuale, che non si è mai riconosciuta negli opposti estremismi in lotta.
La guerra è protagonista assoluta fin dalla prima pagina, ma allo stesso tempo, o forse proprio per questo, si tratta di un romanzo assolutamente antibellicista. E purtroppo, ciò lo fa diventare un testo ricco di suggestioni molto attuali. Lo stile del romanzo è agile e scorrevole, amabile, essenziale e chiaro, emotivamente coinvolgente per il realismo delle atmosfere, non mancano neppure elementi di ironia. Si vive accanto a Celia e si prova il desiderio di abbracciarla in talune circostanze, di sostenerla, visto il livello di empatia che la scrittura riesce a trasmettere. Dopo averla accompagnata per varie destinazioni la lasciamo sola sul molo di un porto, ma lei stessa ci rassicura: “No, non sono sola! – ripeto per incoraggiare me stessa. – Sono nelle mani di Dio!”.
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