“Un’atmosfera pesante, opaca e soffocante si è stabilita sul paese, gli uomini sono depressi e scontenti e, tuttavia, sono disposti a subire qualsiasi cosa senza protestare e senza stupirsene. È la situazione caratteristica dei periodi di tirannia. Il generale malcontento, che gli osservatori superficiali considerano come un indice di fragilità del potere, significa in realtà esattamente il contrario. Un malcontento sordo e diffuso è compatibile con una quasi illimitata sottomissione per decine di anni.” (SIMONE WEIL)
Le malattie e le guerre che si sono messe in fila negli ultimi anni hanno avuto e stanno avendo, tra gli altri effetti, quello di distogliere l’attenzione da due processi cruciali che stanno avvenendo pressoché inosservati e indisturbati, quasi come fossero nell’ordine naturale delle cose. Si tratta invece di sviluppi che conseguono a precise scelte, di trasformazioni chiaramente intenzionali la cui portata sociale resta difficile da sopravalutare: la digitalizzazione e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. La posta in gioco si lascia scorgere nel discorso che Klaus Schwab ha tenuto al G20 d’Indonesia, nel 2022. Ne riporto un estratto.
«Il mio secondo punto riguarda la quarta rivoluzione industriale a cui ha accennato il ministro. Quando ho scritto il libro sulla quarta rivoluzione industriale, ho concettualizzato l’idea di questa rivoluzione, ho descritto 23 tecnologie.
All’epoca, solo cinque anni fa, molte di queste erano considerate fantascienza. Oggi sono diventate tutte realtà e nuove tecnologie con cui dobbiamo confrontarci: la tecnologia quantistica, i metamondi, e sono molto orgoglioso del fatto che l’Indonesia sia ancora una volta uno dei paesi che vuole essere in prima linea riguardo a questi sviluppi della quarta rivoluzione industriale.
Cosa rende diversa la quarta rivoluzione industriale? Tre aspetti: per prima cosa la sua portata. Contrariamente alle innovazioni tecnologiche precedenti non si tratta di una o due innovazioni, ma di un’intera panoplia di tecnologie che interagiscono tra loro e che cambieranno completamente il modo in cui percepiamo, consumiamo e comunichiamo. Ma il secondo elemento è la velocità. Se si considerano le rivoluzioni tecnologiche, di solito avvengono sotto forma di curva a S. E proprio ora siamo al punto di snodo dello sviluppo esponenziale, e la tecnologia cambierà completamente.
Quello che stiamo facendo in questo momento – e non solo quello che stiamo facendo e che rappresenta un grande cambiamento – trasformerà e avrà un impatto anche su chi siamo. Basti pensare a come persino internet ha cambiato in una certa misura le nostre identità negli ultimi vent’anni.
Sono molto orgoglioso del fatto che anche il forum sia in prima linea riguardo queste nuove tecnologie, e mostreremo anche qui nel contesto della nostra presentazione dell’iniziativa, come sia possibile utilizzare i metamondi per creare dialoghi globali molto più profondi e completi».
L’influenza dell’oratore – fondatore nonché presidente del World Economic Forum – e quella dell’uditorio – che riuniva Capi di Stato ed esponenti dell’alta finanza – lascia pochi dubbi su quello che ci aspetta: «un’intera panoplia di tecnologie che interagiscono tra loro e che cambieranno completamente il modo in cui percepiamo, consumiamo e comunichiamo», che «avrà un impatto anche su chi siamo», del resto «persino internet ha cambiato in una certa misura le nostre identità negli ultimi vent’anni». Ancor prima che sociali, dunque, le ricadute di questa metamorfosi tecnologica sono e saranno di natura antropologica, come riconoscono – con un certo compiacimento e senza troppi giri di parole – i suoi stessi promotori.
Nel mentre la digitalizzazione si affretta a vincolare le nostre identità a un’infrastruttura informatica capillare e al tempo stesso globale, l’intelligenza artificiale si esercita a gestire moli di informazione sempre più importanti. La concomitanza di questi due processi apre uno scenario troppo imminente per potersi definire distopico. Un quadro quasi attuale del quale, tuttavia, è difficile cogliere i tratti perché, come sapevano gli psicologi della Gestalt, «l’intero è più della somma delle parti».
Di certo, il potere non ha iniziato nel terzo millennio a manipolare i sottomessi, a controllarne la condotta, a depredarli fino al punto giusto. È nella sue natura, l’ha sempre fatto. Come è del tutto evidente che già gli strumenti attualmente a sua disposizione consentono una manipolazione, un controllo e un drenaggio della ricchezza che non ha precedenti storici. Negli ultimi decenni si sono progressivamente smorzati i movimenti di contestazione, e l’espressione del dissenso si è rarefatta fino a rendersi pressoché impotente. Parallelamente, il controllo della popolazione si è fatto sempre più efficiente e pervasivo, e le disuguaglianze sociali hanno raggiunto livelli parossistici.
Non occorre farla troppo lunga per convincersi che questi cambiamenti sono andati di pari passo con la progressiva esposizione agli schermi che ha interessato e modellato diverse generazioni. Permangono, tuttavia, sacche di resistenza e isole di consapevolezza che, al momento, non sembrano riducibili. Residui sociali che disturbano l’attuale assetto del potere, come dimostrano gli impianti legislativi comunitari recentemente varati e volti a neutralizzare il dissenso azzerando la risonanza mediatica delle posizioni non allineate.
È tipico del potere ammantarsi dei miti del suo tempo per servirsene, distorcendoli a proprio uso e consumo per manipolare, controllare e depredare i sottomessi. Si pensi alla fine che ha fatto il messaggio cristiano nelle mani del clero medioevale. O, per fare un caso più recente, alla contorsione che ha sfigurato la scienza negli ultimi anni. È bastato ripetere ossessivamente i mantra recitati da un manipolo accuratamente selezionato di esperti – in Italia non ce ne sono due o tre, se ne contano qualche migliaio tra virologi, epidemiologi e infettivologi – per ipnotizzare buona parte della popolazione. Certo, non tutta, ma del resto non è nemmeno necessario: è sufficiente manipolare metà dell’elettorato. Anzi, metà dei votanti, cioè più o meno un quarto degli aventi diritto. Così, mentre la democrazia si è ridotta alla sua caricatura, alla sceneggiata imbandita dal teatrino romano, il criterio di maggioranza resta in pieno vigore proprio perché consente al potere di auto-legittimarsi plagiando una minoranza. «La dittatura perfetta avrà sembianza di democrazia» aveva intuito già Aldous Huxley.
Dicono che «Dio è morto», e con lui la sua autorità. Anche la scienza, dopo le ultime perversioni cui s’è prestata, non gode di troppa credibilità. In ogni caso, «un buon trucco non si usa mai due volte». Quale sarà il prossimo? Quale sarà la prossima autorità a riscuotere l’idolatria delle masse? Quale sarà il prossimo oracolo a incassare la docile sudditanza di quel perbenismo bigotto ormai divenuto virtù sociale? Uno dei candidati più papabili è senz’altro l’intelligenza artificiale. Se ieri ci siamo fatti convincere da B&B, se oggi crediamo all’attore ucraino e al macellaio israeliano, perché domani non dovremmo farci persuadere dall’IA, che ne sa più di tutti loro messi assieme? Chi sarà più esperto di lei? Chi più autorevole? Chi se non lei potrà consultare lo scibile per offrire la migliore delle risposte? Ve lo vedete un dissidente, tra qualche anno, a sostenere un confronto pubblico con Sua Eccellenza l’IA?
Come internet ci ha esonerati dal memorizzare, così l’IA ci risparmierà il ragionamento. Verremo esautorati, ma non facciamone un dramma: secondo Schwab, è «possibile utilizzare i metamondi per creare dialoghi globali molto più profondi e completi».
Non sarà una religione, sarà qualcosa di diverso. Se interpellato, Dio non è solito rispondere in pubblico. Lei, invece, lo farà. La sua voce non sarà quella delle sirene, ma sarà comunque piuttosto persuasiva. Chi oserà contraddirla? Chi sarà lo scemo del villaggio?
Al momento stiamo messi più o meno come il maestro russo contro i primi computer capaci di giocare a scacchi, ma le cose cambiano in fretta ultimamente, non durerà a lungo.
Immagino che la naturalizzazione dell’intelligenza artificiale avrà un impatto per certi versi simile a quello che ha avuto la rivoluzione copernicana. Non deve essere stato indolore, per i nostri predecessori, venir sbalzati dal centro del creato alla sua periferia. Così non sarà indolore per noi, che ci riteniamo quelli intelligenti, accontentarsi di essere normali. Non riconoscere la superiorità dell’IA sarà considerato stupido almeno quanto sostenere che la Terra è al centro del sistema solare.
La prospettiva risulta senz’altro in po’ fantasiosa, non fosse per due questioni che mi preme porre prima di concludere. La prima: avete notato che negli ultimi anni la digitalizzazione è diventata una priorità politica? Con tutti gli investimenti di cui il Paese avrebbe urgente bisogno, perché vengono destinate tante risorse proprio al digitale? Perché una delle fette più grosse del PNRR (25%) se la mangia proprio la transizione digitale? La seconda è una domanda che Yuval Harari formula più o meno in questi termini. Supponete di trovarvi alla guida della vostra automobile. Sull’altra corsia, in lontananza, vedete arrivare un TIR. Se poteste scegliere, chi vorreste alla guida del mezzo pesante? Un camionista che può aver dormito troppo poco, farsi distrarre da una notifica, essere ubriaco o aver troppa fretta di arrivare a destinazione? Non preferireste l’IA, che non ha bisogno di dormire, non si distrae, non beve e si attiene scrupolosamente al codice della strada? Certo, il camionista può essere colto da un malore improvviso, così come l’IA può andare in tilt. Allo stesso modo, il politico di turno può essere corrotto almeno quanto come l’IA può essere configurata e parametrizzata ad hoc. Ma il punto cruciale, come sostiene lo storico israeliano, è che la tecnologia non ha bisogno di essere perfetta: appena diventa un po’ più affidabile di noi – non ci vuole poi molto – già cominciamo a preferirla ai nostri simili. Di questi tempi, del resto, è fin troppo facile prediligere l’intelligenza artificiale alla stupidità naturale. Per questo ritengo che l’adozione della soluzione finale – l’impiego politico dell’intelligenza artificiale, cosa che la transizione digitale renderà possibile – sia ormai solo questione di poco tempo. Per quello che può valere il mio parere, penso sia questo il mulino a vento più urgente da combattere.
“Si verifica che, mentre siamo liberi di fare il primo passo, al secondo e a tutti gli altri successivi siamo già schiavi.” (HANS JONAS)
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