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“Un volto da un vuoto”: fisionomia di una nascita
Un volto da un vuoto è un libro di poesie che parla di una nascita. Una nascita alla vita, che è quella del suo autore, Gabriele Guzzi, ma anche quella possibile di ciascuno di noi, e che può farsi un’azione di popolo, titolo della terza sezione. Ma che cosa significa nascere alla vita?
Ecco una bella domanda, a partire dalla quale credo si comprendano queste preziose poesie, dotate di una vis maieutica, da leggere e da portare con sé come dei talismani o degli unguenti officinali.
Un volto da un vuoto è un libro iniziatico. Iniziatico vuol dire iniziare. Iniziare a vivere. È lo stesso Gabriele Guzzi che ce lo dice: “Ho voglia di iniziare a iniziare:/ Ho voglia di decostruire/ Di balbettare.”
I. Dissotterrare un volto, per dar luce al mondo
Come si fa a iniziare a iniziare? Bisogna lavorare sulla propria soggettività, ed esplorarne gli abissi. Bisogna inabissarsi, non restare in superficie, è il messaggio della prima poesia del libro, intitolata “Il capodoglio”: “Voglio sprofondare/ Nel canto dove il caldo/ Ventre del mare abbraccia suo figlio/ Prediletto, l’eletto/ Re. L’inabissato”.
Un volto da un vuoto ci parla dunque di una nascita, di una trasformazione dell’Io, che inizia ad abitare le proprie profondità oceaniche, e a fare esperienza di un canto, di una voce che lo rigenera: “Un’altra è la voce che ci conduce/ Oltre il malanno”. A noi, al poeta, spetta il compito anzitutto di fare tana al solito pensiero mortifero e angosciante, di diventare “la nutrice della propria mente”, di farsi ascolto senza confini, di “rallentare”. E iniziare a sperimentare questo presente dilatato.
“Mi faccio liquido obbediente”, dice Gabriele Guzzi, e “sono ancorato al presente”. Perché “la nascita è una sede/ Sempre vacante”. Questa nascita cioè non ha un luogo o un tempo pre-definito, statisticamente calcolabile, non è data una volta per tutte; piuttosto è una via da percorrere, colma di luce.
II. L’ambiguità della soglia
Questa nascita però avviene in un tempo terribile. In cui tutto sembra concorrere ad una non-nascita. In “Resoconto di un contemporaneo”, Guzzi scrive infatti: “Non c’era nulla. /…/ Si moriva in abbondanza, a basso prezzo,/ Tutti connessi alla stessa rete”.
È una morte dolce quella dei contemporanei, a poco prezzo, persi nella morsa di una rete che li irretisce in una falsa sicurezza. “La maggior parte si occupa dello studio/ E della sepoltura dei moscerini”. La maggior parte è concentrata a sviscerare particolari insignificanti rispetto alla nascita in atto. È un tempo in cui viene spento l’umano, “scartavetrato”, “fino a renderlo irriconoscibile”.
È “L’ambiguità della soglia”, titolo della seconda sezione. Questa soglia, il passaggio cioè da una forma di esistenza che non nasce alla vita, ad una che invece è insorgenza continua, attraversa ciascuno di noi.
Allora, “Chi è sopravvissuto/ Accatasta parole come bracieri/ Temporanei, rifugi per riscaldarsi”. Questa soglia è cioè difficile, e il compito del poeta in noi è quello di recidere, come un chirurgo, tutte le parole inutili, tutto ciò che ci fa deviare, e non ci aiuta a varcare la soglia. “Sii questo silenzio/ Dilatato, questa distanza che non soffre, questa presenza/ Che interrompe l’esodo delle voci/ Dei popoli piangenti nell’arena.”
Che cosa c’è oltre la soglia?
III. Lo Sposalizio universale
Questo è un libro di guarigione, di liberazione da paure e ferite antiche, personali e familiari. Ma non è a poco prezzo, bisogna “toccare il fondo” e “bucarlo”. Solo così si apprende ad abitare una dimensione che possiede delle qualità specifiche: bisogna “rischiare”. C’è una “gioia interminabile”, “un’espansione infinita della terra”, ci dice Guzzi, una “condizione esatta ma collettiva/ Di essere/ In una perfetta unità”.
“Nel nostro gesto più maturo/ Di rimanercene indifesi”, lì dove cioè il volto non è più quello della maschera e della difesa, ma invece “Non c’è più inganno nella faccia/ Gelida del marinaio”.
Allora accade una coniugazione fra terreno e celeste, fra intenzione e azione, fra l’io e il tu, lì dove “La mia gioia” – ci dice Guzzi – “non è niente di personale./ Più che un sentimento è una storia/ Secolare, più che un’emozione è un’assemblea/ Di donne e di uomini/ Finalmente felici.”
Il volto da un vuoto che può essere disseppellito dalle macerie della storia è cioè il nostro. La “Comprensione iniziale”, con cui si chiude questa raccolta poetica, è cioè che il volto che emerge è quello di una buona notizia, di un uomo e di un popolo, che è pronto alla gratitudine e all’amore.
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