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Per una storia della nozione di legame tra antico e moderno


1 Feb , 2024|
| 2024 | Terza Pagina

La nozione di “legame” porta con sé una forma di ambivalenza costitutiva. Il suo essere etimologicamente “catena”, “carcere”, “prigione”, e insieme “nodo”, “vincolo”, “giuntura”, è presente sia nel mondo greco, nei termini desmos e syndesmos, sia in quello latino, negli equivalenti vinculum e nexus. Proprio a partire dalla sua originaria ambivalenza, il recente volume pubblicato dall’Istituto per gli Studi Filosofici e curato da Giulio Gisondi, frutto di un seminario svoltosi proprio all’Istituto nel 2020, rintraccia alcune delle principali significazioni che la nozione di legame ha assunto dall’antichità all’epoca moderna, osservandone le origini presunte e mai pienamente rilevabili, le trasposizioni, le riformulazioni o i ritorni, in momenti differenti della storia delle idee e del pensiero filosofico, giuridico, politico e teologico. Ve ne proponiamo qui un estratto dall’introduzione del curatore.

La nozione di legame porta con sé una forma di ambivalenza costitutiva. Il suo essere etimologicamente “catena”, “carcere”, “prigione”, e insieme “nodo”, “vincolo”, “giuntura”, esprime una sua neutralità implicita, presente sia nel mondo greco, nei termini desmos e syndesmos, sia in quello latino, negli equivalenti vinculum e nexus. Essa non incarna qualcosa di aprioristicamente positivo o negativo, come avviene, invece, con altre forme e categorie della storia della concettualità occidentale, quali ad esempio quella di vero, di bene, di giusto, o ancora di bello. La nozione di legame è caratterizzata per il suo essere o incarnare non un concetto, un’idea, quanto piuttosto una funzione legante, congiungente due termini, due elementi, la cui unione dà forma a una relazione che può esprimere tanto una positività quanto una negatività. Lo status di un legame non dipende cioè da un’aggettivazione originaria, come avviene con ciò che definiamo vero, buono, giusto o bello, ma la sua connotazione qualitativa dipende dai suoi scopi, dai suoi effetti e dalla sua efficacia, variando a seconda dei tempi, delle situazioni, dei contesti e delle circostanze contingenti.

È una storia profonda e stratificata quella del legame, le cui radici si ramificano e si moltiplicano, disperdendosi, più si cerca di affondare nel passato alla ricerca delle sue origini. E lo stesso avviene anche laddove si cerchi di seguire e ricostruire, in senso opposto, le evoluzioni e le trasformazioni degli usi e dei significati che essa ha assunto dall’antichità alla modernità, fino ai nostri giorni. Proprio a partire dalla sua originaria ambivalenza e dalle sue molteplici stratificazioni, questo volume rintraccia e interroga alcune delle diverse e principali significazioni che la nozione di legame ha assunto nella storia delle idee e del pensiero filosofico, giuridico, politico e teologico, antico e moderno. Esso è il frutto di un seminario svoltosi a Napoli nell’ottobre del 2020 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che ha visto confrontarsi ricercatori, borsisti, ex borsisti dell’Istituto, e studiosi riconosciuti nei rispettivi campi di ricerca, nel comune tentativo di apportare una riflessione specifica al proprio campo d’indagine e, al tempo stesso, un tassello di una parziale ma più ampia storia di una nozione tanto centrale nel pensiero antico e moderno, quanto solo parzialmente presente nella storiografia, quale quella di desmos e syndesmos, vinculum e nexus o legame.

Il metodo con cui si è proceduto nei contributi qui raccolti è quello di una ricostruzione che è insieme terminologica e concettuale: non esclusiva ricerca di occorrenze, né tantomeno teoresi scissa dallo studio dei lessici e dei contesti, ma indagine storico-filosofica, che si serve cioè della filologia e dell’analisi lessicografica quale indispensabile strumento necessario a una ricostruzione, comprensione e interpretazione della nozione attraverso gli autori, i dibattiti e i problemi trattati.

Molteplici, diverse e variegate sono le declinazioni della nozione di legame che, a partire dal mondo greco, hanno trovato larga diffusione prima in ambito romano, per poi essere inglobate e riformulate dalla patristica cristiana, e nuovamente ridefinite e risignificate tra medioevo, Rinascimento ed età moderna. Tra queste, una prima apparizione del termine e della nozione è quella poetica che ritroviamo nell’esametro omerico del racconto dell’immobilità di Odisseo, il quale per sua volontà e su consiglio di Circe, ordina ai compagni di essere legato all’albero della nave con un nodo (desmo)difficile o doloroso, affinché possa egli solo ascoltare il canto delle Sirene rimanendo lì piantato, saldo, e di legarlo con dei nodi (desmoisi) ancor più numerosi e stretti, qualora comandi di essere slegato[1].

Un’altra significazione metafisico-teologica è quella che intravede nel corpo il carcere (δεσμωτήριον)[2] in cui l’uomo è costretto a patire, incatenato a una dimensione mortale. Si tratta di una lunga tradizione di pensiero che dall’orfismo giunge sino a Platone, Plotino, Origene, spingendosi nel mondo latino attraverso Cicerone, Virgilio, Seneca, sino ad Agostino, per essere inglobata a sua volta dalla tradizione ermetica. Ma, allo stesso tempo, il desmos rappresenta anche, in una prospettiva metafisico-cosmologica, il vincolo che congiunge sensibile e soprasensibile, mondo superiore e inferiore, cielo e terra, umano e divino, finito e infinito, l’anello di congiunzione che tiene unito il cosmo e garantisce la comunicazione tra piani diversi dell’essere. È secondo questo schema che Platone descrive nel Timeo[3] il desmoscon cui il Demiurgo tiene legati a sé gli dèi, i pianeti e il cosmo, impedendone la dissoluzione, nonostante siano dissolubili, e garantendone così l’unità e l’eternità.

A queste prime significazioni della nozione altre se ne possono aggiungere di non minore rilevanza. In una prospettiva logica, linguistica e retorica, il desmos si riflette nel legein, incarna cioè il legame e la congiunzione tra le lettere e le parole, tra le parti della frase e del discorso. Allo stesso modo, esso è concatenazione tra le sensazioni, le immagini e i pensieri, secondo il ritmo e la capacità della memoria, intesa non come una scatola vuota in cui accumulare ricordi, ma capacità continua di creazione di legami e connessioni di esperienze corporee e psichiche. Una via questa che, ancora una volta, da Platone si spinge ai trattati di retorica e di arte della memoria medievali e rinascimentali, fino a giungere alla contemporaneità, a toccare il problema psicanalitico della connessione tra immagini e pensieri consci e inconsci.

Come nel mondo greco, così anche in quello latino, la nozione di legame proviene da lontano, a partire dalle cosiddette pandette, le XII tavole della legge arcaica, in cui il nexum esprime il vincolo di fede e di parola tra creditore e debitore[4]. È questa la prima forma di obbligazione non contrattuale fondata sul rituale detto per aes et libram, con cui il creditore, tenendo nelle proprie mani una certa quantità di bronzo e pronunciando di fronte a cinque testimoni una damnatio, dichiarava l’entrata in vigore del nexum[5], vincolando il debitore a lavorare al suo servizio fino all’estinzione del debito. Nonostante gli effetti concreti e le conseguenze materiali della mancata restituzione del debito, il nexum costituisce un vincolo esclusivamente orale e rituale, fondato non su di una necessità contrattuale, ma astratta, metafisica o magica[6]. Vi è magia nel nexum nella misura in cui vi è un potere non contrattuale, quello della damnatio pronunciata dal creditore[7], che eccede il soggetto stesso e a cui quest’ultimo non può sottrarsi. È la ritualità magica del nexum a configurarsi quale la condizione richiesta per l’istituzione e la garanzia di un vincolo di diritto, in un tempo in cui la contrattazione non implica ancora un’obbligazione. Soltanto nel VI secolo d. C. la nozione di legame troverà una piena definizione nel Corpus iuris civilis giustinianeo come iuris vinculum[8].

Queste formulazioni latine della nozione di legame non sono estranee a un’analisi delle sue formulazioni successive. I concetti e il lessico del diritto romano non sono elementi confinati a un remoto passato, ma costituiscono una viva e, a volte, inconscia eredità terminologica e concettuale, rielaborata non solo nella letteratura giuridica, ma nel patrimonio teologico, politico e filosofico tardo antico, medievale e rinascimentale. Un caso particolarmente rilevante d’acquisizione e trasposizione dei lessici relativi alla nozione di legame è ravvisabile proprio nell’applicazione nella patristica cristiana di lingua latina della terminologia giuridica romana, così come assistiamo, allo stesso modo, alla trasposizione del desmos dall’ambito filosofico a quello teologico nella patristica greca. L’operazione compiuta dai padri della Chiesa si caratterizza cioè per il recupero del patrimonio linguistico tanto della cultura classica, tanto greca, quanto romana, riformulato ai fini della creazione di un apparato terminologico e concettuale propriamente cristiano.

In questo fenomeno, ritroviamo quanto già osservava Machiavelli nella lezione dei Discorsi, dove rilevava come, quando sorge una nuova setta o religione, il suo primo obbiettivo sia quello di cancellare la memoria della cultura e della civiltà precedente, in modo da potersi imporre con maggior facilità. E ciò è particolarmente semplice da attuare qualora i capi della nuova religione siano di lingua diversa, il che è riscontrabile per opposizione «considerando e’ modi che ha tenuti la setta Cristiana contro alla Gentile». I cristiani hanno «cancellati tutti gli ordini, tutte le cerimonie di quella, e spenta ogni memoria di quella antica teologia», senza, tuttavia, poter cancellare del tutto la memoria della civiltà romana, «per avere […] mantenuta la lingua latina; il che feciono forzatamente, avendo a scrivere questa legge nuova con essa». L’aver conservato la lingua latina, traspondendo il lessico giuridico romano a quello teologico, ha fatto sì che i cristiani non potessero cancellare completamente la memoria della precedente civiltà romana pagana. Se, invece, si fossero serviti di una nuova lingua, anziché della latina, «non ci sarebbe ricordo alcuno delle cose passate»[9].

L’appropriazione e la trasposizione del lessico latino del diritto romano, risignificato dal Cristianesimo ai fini della costruzione di un nuovo apparato linguistico e concettuale, è visibile anche per quanto riguarda l’utilizzo della nozione di legame e, in particolare, della coppia terminologica vinculum/nexus, nonché della significazione che questa assume nella patristica latina e, successivamente, nella teologia scolastica. La nozione di legame è trasposta nella Vulgata di Girolamo e nelle Epistolae di Paolo di Tarso, in Colossesi 3, 14, a indicare l’amore e la carità come il «vinculum perfectionis»[10] o «σύνδεσμος τῆς τελειότητος»[11]. Allo stesso modo, in Efesini 4, 2-3, l’Apostolo Paolo invita la comunità cristiana a conservare lo spirito dell’unità raccogliendosi, come in un solo corpo, «in vinculo paci»[12], «τῷ συνδέσμῳ τῆς εἰρήνης»[13]. Quella di vinculum pacis rappresenta una formula largamente utilizzata nella tradizione teologica successiva, da Agostino a Tommaso d’Aquino e oltre, sia per definire lo Spirito Santocome legame che unisce il Padre al Figlio, sia per esprimere l’unione della comunità cristiana in un solo. Come lo Spirito Santounisce il Padre e il Figlio in una sola sostanza, allo stesso modo, esso è vincolo di pace, in quanto raccoglie tra loro tutti i cristiani in una sola e unica Chiesa.

La formulazione del vinculum e del desmos come caritas o amor è particolarmente significativa e preminente nella letteratura teologica medioevale, mediata probabilmente attraverso la ricezione del De divinibus nominis dello Pseudo Dionigi Areopagita. Ritroviamo una prima esplicita e compiuta accezione latina di questa formulazione nella conclusione del libro I del Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena, per il quale l’amore è quella «connexio ac vinculum»[14] che lega tutte le realtà dell’universo e ogni cosa in un rapporto di amicizia universale e in un’unità indissolubile, secondo un modello interpretativo che, mediante il richiamo esplicito, allo Pseudo Dionigi, recupera un patrimonio terminologico e concettuale più prossimo all’accezione greca e platonica del desmos come unità del molteplice, coincidenza di ogni manifestazione dell’essere. L’amore è il moto naturale di tutte le cose, il fine, la quiete al di là della quale non procede nessuna cosa. Amore è Dio, luogo di tutti i luoghi, coincidentia di tutte le cose.

Queste occorrenze e significazioni della nozione sono variamente rielaborate e attraversano tutto il medioevo, giungendo sino alla riformulazione operata da Tommaso d’Aquino dello Spirito Santo, nella rappresentazione teologica trinitaria, quale «vinculum vel nexus»[15], amore e forza unitiva che lega il Padre al Figlio in una stessa e unica sostanza. Un uso della nozione, questo teologico trinitario, che ritroviamo anche nella definizione fornita da Nicolò Cusano nel De possest della terza persona come «nexus spiritalis patris et filii»[16], il quale recupera, al tempo stesso, anche la formulazione eriugeniana della coincidentia e della connexio rerum. E ancora, l’uso teologico trinitario della nozione di legame compare, nonostante le differenze di fondo, anche in ambito riformato. Giovanni Calvino, ad esempio, ricorre nell’Institutio christianae religionis alla relazione intrapersonale tra Padre e Figlio sia per descrivere il rapporto tra la comunità dei fedeli e Dio per mezzo di Cristo, sia il legame tra i fedeli e Cristo attraverso lo Spirito Santo quale «vinculum» che «nos sibi efficaciter devincit Christus»[17]. Il ricorso alla coppia terminologica vinculum/nexus nella definizione del rapporto intratrinitario e, al tempo stesso, della relazione tra Dio e la comunità dei fedeli per mezzo di Cristo e dello Spirito Santo, rappresenta un elemento comune tanto alla prospettiva cattolica, quanto a quella riformata.Quella di legame, desmos e syndesmos, vinculum e nexus, con le sue molteplici significazioni e usi, si configura come una nozione centrale e necessaria in tutta la tradizione cristiana, pur nelle sue differenti forme, recuperata e trasposta sia attraverso il patrimonio poetico e filosofico greco, che mediante quello giuridico latino. Tuttavia, questa non rappresenta l’ultima trasposizione della nozione da un sapere all’altro.

La riformulazione teologica del legame subisce essa stessa, tra il Rinascimento e l’età moderna, un’ulteriore trasposizione di campo. Se la nozione è già impiegata dalla tradizione ermetica e, altresì, nella letteratura di carattere magico e teurgico, ad esempio con Ficino e Cornelio Agrippa, essa assume anche una significazione filosofico naturalistica e ontologica. Con Giordano Bruno, ad esempio, il legame non costituisce più, in un senso teologico trinitario, l’amore tra Padre e Figlio per mezzo dello Spirito Santo, ma diviene il nexus, il vinculum amoris che lega la materia e la forma universali, la potenza e l’atto, nell’unità originaria dell’essere, secondo una significazione che invera i motivi latenti delle fonti platoniche, neoplatoniche e patristiche a cui il Nolano giunge indirettamente. 

Ma ancora, tanto dall’ambito teologico, quanto da quello filosofico naturalistico e politico, la nozione di legame subisce un’ulteriore trasposizione, andando a costituire un necessario strumento concettuale teologico-politico. Proprio quest’ultima e non meno significativa accezione teologico-politica della nozione, rende possibile pensare il legame come vincolo civile e comunitario, rimandando alle diverse forme attraverso cui esso può essere istituito, agli strumenti di costruzione, d’unità, di disciplinamento o di pacificazione del corpo sociale, religioso, politico, di membri differenti di una stessa comunità. La religione e la legge, con l’insieme dei riti e delle cerimonie, laiche e non, si configurano come quegli strumenti che hanno la potenza di legare, quelle pratiche di vincolamento degli individui in uno stesso corpo civile. Si tratta di una questione che attraversa tutti i momenti della riflessione filosofico-politica, dal mondo greco e romano, a quello cristiano tardo antico e medievale, alla rottura dell’unità politico-religiosa tra Riforma e Controriforma con le guerre di religione, sino alla crisi contemporanea delle forme novecentesche e post-belliche del legame civile così come declinato dalle costituzione europee.

Sono queste soltanto alcune delle significazioni che la nozione di legame ha assunto nei diversi momenti della storia del pensiero, trapassando, stratificandosi e moltiplicandosi, in maniera pressoché implicita da un sapere all’altro, da una declinazione all’altra. Lo scopo di questo volume vuol esser proprio quella di esplicitare come i termini, gli strumenti e le categorie concettuali relative alla nozione di legame si siano stratificati, trapassando da un sapere all’altro, da un lessico all’altro, osservandone gli usi, le trasformazioni, le trasposizioni e le crisi, nel corso dei diversi momenti del pensiero filosofico, giuridico, politico e teologico, antico e moderno.   


[1] Omero, Odissea, XII, 160.

[2] Cfr. Plat. Crat. 400c7; cfr. Id., Gorgia, 486a9; cfr. Id., Leggi, X 909c1.

[3] Cfr. Plat. Tim. 31b-43a, 81d-81e. 

[4] P.F. Girard, Textes de droit romain, vol. II., Les lois des Romaines, Jovene, Napoli 1977, p. 23: «cum nexum faciet mancipiumque, uti lingua nuncupasit, ita ius esto».

[5] Cfr. H. Lévy-Bruhl, L’act «per aes et libram», in Nouvelles études sur le très ancien droit romain, Sirey, Paris 1947, p. 97.

[6] Cfr. Id., Nexum et mancipation, in Quelque problème du très ancien droit romain. Essais de solutions sociologiques, Domat-Chrestien, Paris 1994, p. 138; cfr. G. Gurvitch, La magie et le droit, F. Terré (a cura di), Dalloz, Paris 2004; cfr. P. Huvelin, Le tablettes magiques et le droit romain, in Études d’histoire du droit commercial romain, H. Lévi-Bruhl (a cura di), Sirey, Paris 1929.

[7] P. Huvelin, La magie et le droit individuel, in «L’année sociologique», 1905, p. 35.

[8] Cfr. Iustiniani Institutiones, I, 3, 13; cfr. J. Gaudemet, Naissance d’une notion juridique. Les débuts de l’«obligation» dans le droit de la Rome antique, in «Archive de philosophie du droit», XLIV (2000), pp. 19-32.

[9] N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, in Tutte le opere. Secondo l’edizione di Mario Marrtelli (1971), introduzione di M. Ciliberto, a cura di P.D. Accendere, Bompiani, Milano 2013, pp. 478-479

[10] Paul. Col., 3, 14.

[11] Ibidem.

[12] Id., Ef.,4, 2-3.    

[13] Ibidem.

[14] G. Scoto Eriugena, Periphyseon, N. Gorlani (a cura di), Bompiani, Milano 2013, lib. I, 518c-519b, p. 386.

[15] S. Tommaso d’Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, introduzione di I. Biffi, trad. it. P.R. Coggi, con testo integrale di Pietro Lombardo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1999, Libro I, Distinzioni 22-48, vol. II, d. 32, q. 1, a, 1, pp. 396-398.

[16] N. Cusano, De possest, in Opere filosofiche, teologiche e matematiche, E. Peroli (a cura di), Bompiani, Milano, 2017, rr. 48-49,p. 1408.

[17] Ioannis Calvini Institutio christianae religionis, in Opera quae supersunt omnia, ediderunt J.-W. Baum, E. Cunitz, E. Wilhelm, E. Reuss, Berlin 1864, vol. II, lib. III, cap. 1, p. 394.

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