Magari arrivo “dopo i fòchi”, magari la questione è stata già dibattuta, ma vorrei spendere due parole circa Povere creature! di Yorgos Lanthimos, film che ho visto qualche giorno addietro e che, a mio avviso, è stato completamente, forse volutamente, travisato dalla critica. Per riscontro di pubblico e tematiche sembra fare da contraltare, surreale e disinibito, al successo nazionale di C’è ancora domani di e con Paola Cortellesi, dove la protagonista femminile, come da bisogni del nostro cinema, è quasi santificata (“Europa ‘51” di Rossellini ha già detto tutto in proposito), mentre la Bella Baxter di “Povere creature!” è numerose volte identificata dal personaggio più stereotipato di tutti, il macho sciupafemmine, come il demonio in persona. La storia è appunto quella di Bella, interpretata dalla sempre brava Emma Stone, donna incinta suicida, riportata in vita dallo scienziato e chirurgo Godwin “God” Baxter il quale le sostituisce il cervello con quello del feto che porta in grembo (maschio? Chissà). La ragazza andrà in giro per il mondo in una sorta di fuga/erasmus, perlopiù sessuale, “autodeterminandosi” attraverso il proprio corpo, come scrive la maggior parte della critica nostrana, recuperando un termine che fino a qualche tempo fa creava discreto imbarazzo se accostato alle parole “popolo” o “nazione”. Eppure il punto potrebbe essere anche lì. Non la Prometea moderna, ma moderna Mengele, nonostante le apparenze. Infantile prima e adolescenziale poi, manichea e quindi un po’ fascista, come l’Alex di Kubrick cui Lanthimos sembra tanto guardare: laddove Alex di “Arancia meccanica” era azione, qua Bella forse è più reazione, mentre all’inverso falliscono entrambi.
“SPOILER”: Bella termina la sua parabola come ereditiera e capofamiglia, pur di una famiglia adottiva e allargata, studentessa di medicina con servitù e amante socialista. Il marito resterà lo stesso promesso sposo dell’inizio e l’unico con cui non avrà consumato rapporti sessuali, protetta dalle alte mura del suo idilliaco giardino primordiale, esattamente come da volontà paterne; padre da cui riprenderà anche la propensione a praticare crudeli esperimenti chirurgici, pure a mo’ di arbitraria e vendicativa punizione, scambiando cervelli umani con quelli di capre, anziché compiere una scelta logica e riportare in vita il tanto caro (sostiene lei) Godwin. Si faccia caso, inoltre, quanto il giardino nell’inquadratura finale ricordi quello de “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer, anch’esso candidato quest’anno all’Oscar come miglior film in lingua straniera e ispirato ai veri cortili con piscina di chi “gestiva” i campi di sterminio nazisti.
Ma andiamo con ordine: sin dall’inizio il film ci propone scenografie surrealiste e steampunk, in più deformate da riprese grandangolari alla “Brazil” di Terry Gilliam, a sottendere la falsità del mondo in cui si aggira Bella. Non solo, talvolta le sue azioni sono come spiate da un’ulteriore ottica, un fish-eye indiscreto, tipo quello di HAL 9000 (di nuovo Kubrick). Di chi è questo sguardo cui il regista in soggettiva ci rende proprietari? Ricorda tanto l’obiettivo di uno dei mille device che oggi ci accompagnano, tipo quello che ho puntato addosso in questo momento, mentre scrivo. L’occhio che ci osserva, l’occhio di Sauron, se preferite – tanto la metafora è sempre la stessa –, colui che ci ruba i dati, ci profila, per dirci poi come pensare e, di conseguenza, cosa acquistare. E adesso è il momento di concentrare il potere (d’acquisto) sulla donna, poiché l’uomo, ci spiega l’avvocato marpione Duncan Wedderburn, interpretato da Mark Ruffalo, “consuma” meno rispetto alla donna per ovvi limiti fisici. Insomma, secondo il mainstream pare essere il momento della donna com’è quello dell’auto elettrica. L’allegoria sessuale di Bella risulta però profondamente egoistica, orientata al proprio esclusivo piacere, mai a migliorare realmente la società in cui vive (l’unica volta che ci prova regala ingenuamente i soldi a due marinai). Inoltre il suo corpo le darà pure il denaro per sostentarsi in un periodo limitato, ma a beneficiarne realmente sarà la matrona del bordello, la quale le confiderà persino come quei soldi servono per curare il nipote, vale a dire: la propria stirpe. Bella, in fondo, è soltanto l’ultimo esperimento di “God”. La sua conquista sarà tenersi lontana da legami familiari e tornare soltanto infine per ereditare una casa che fa di tutto per sbatterci pleonasticamente in faccia una sintesi; quante volte dopotutto vediamo l’ibrido (rebus che svelato risulterà sicuramente offensivo per qualcuno) della gallina con impiantata la testa di maiale o di cane? È quello che fa la propaganda cinematografica, perlopiù statunitense, sostituendo gradualmente nei più noti franchise i corpi maschili con quelli femminili, cercando di convincere una platea sconfinata di adolescenti che Star Wars, Indiana Jones e i Ghostbusters, per dirne alcuni, sono prodotti non soltanto per maschietti, ma anche per femminucce. In maniera fallimentare, per ora, visti i risultati degli incassi a fronte della spesa, c’è bisogno di più tempo, ma magari è pure vero, e prima o poi funzionerà, statene certi. O forse basta aggiustare il tiro sfruttando nuove proprietà intellettuali (Barbie). Lanthimos, da regista greco che ha scalato Hollywood, tutte queste cose le sa bene e da persona probabilmente arguta e profondamente intellettuale, aspetti che lo avvicinano a Kubrick, come l’ortogonalità di alcune sue riprese (ma i parallelismi terminano qui), ce lo dice tra le righe di una pellicola divertente (si ride infatti molto) che è di gran lunga il suo prodotto più debole. A ben vedere, questo film sembra più un monito scanzonato: siamo tutti noi le “povere cose”, come indicherebbe il titolo a una scorretta traduzione letterale, uomini e donne. L’egoistico e individualista percorso di autodeterminazione che tanto ha coinvolto pubblico e critica, quasi eccitati da questa eroina femminile e femminista (perché? Fa mai qualcosa per altri?), conduce comunque a un finale in cui tutto cambia, naturalmente, affinché non cambi nulla. Per cambiare realmente qualcosa bisognerebbe che noi “povere creature” avessimo la sensatezza di smettere di farci la guerra tra le umane categorie (donne, uomini, etnie, generi, propensioni sessuali e intolleranze alimentari), divisi dalla propaganda, per essere invece finalmente alleati contro il potere di quel famigerato occhio che ci osserva. Avverrà mai? Lanthimos ci dice la sua, ponendo Bella e i suoi comprimari al riparo dalle miserie del mondo, sopra il faro di Alessandria o protetta dalle mura nel proprio lussureggiante giardino, tutt’altro che libera, bensì in procinto di perfezionarsi, quale ideale esecutrice delle volontà del Sauron di turno.
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