Non mi piace la Costituzione italiana. Le ragioni sono tante, tecniche e anche ideali, ma non perdiamo tempo a passarle in rassegna. Soprattutto l’impianto è contraddittorio: siamo una repubblica (fortunatamente), ma la nostra Costituzione non è repubblicana perché omette di introdurre, nel sistema politico, alcuni elementi essenziali per far sì che una certa forma di stato e di governo possa riconoscersi, al di là del nome, come autenticamente repubblicana. Per questo vorrei che la Costituzione fosse finalmente riformata. Ma scrivere un testo normativo di tale portata e, anche, di tale impatto sul popolo, non è da tutti. Non lo è, questo conta, per la gente che oggi occupa il Parlamento (e non mi limito alla maggioranza in carica che, tuttavia, si segnala per l’estrema povertà di cultura, non solo istituzionale, che la connota).
Se questa è la premessa, è consequenziale che io ritenga un pastrocchio il ddl Casellati e tutti i suoi successivi emendamenti di maggioranza. È un pastrocchio la cui prova sta proprio in questi emendamenti con cui si vorrebbe rimediare al pastrocchio iniziale; e che, però, finiscono con il realizzarne un altro. Un Presidente del Consiglio (no premier, please) eletto dal popolo che, secondo il testo originario del ddl, può essere (contraddittoriamente) avvicendato da un altro non eletto; ma che nell’emendamento Balboni (quanta leggerezza!) lo potrà essere, anche se in casi tassativi, tra cui le «dimissioni volontarie» (perché esisterebbero anche le dimissioni coatte …). Anzi, anche no, perché se l’eletto sfiduciato «mediante mozione motivata» lo richiedesse, il Presidente della Repubblica dovrà sciogliere le Camere. Una maggioranza con un premio di maggioranza, tale, nel testo originario, da assicurarle il 55% dei seggi, ma ora, dopo l’emendamento, in una misura indefinita (e da definirsi: come?). Un Presidente del Consiglio ricandidabile senza limiti prima, secondo la nostra tradizione costituzionale (assai poco repubblicana sul punto), ma ora, in grazia dell’emendamento sopraggiunto, con il limite del terzo mandato (però non per spirito repubblicano: contro Luca Zaia). Un Presidente della Repubblica da sempre vincolato al semestre bianco per evitare che egli possa agire per la sua rielezione attraverso una nuova maggioranza, ma (emendamento Balboni) in futuro non più se il Presidente del Consiglio eletto fosse stato sfiduciato, con la conseguente prevalenza di una maggioranza parlamentare dissoltasi sull’esigenza istituzionale a fondamento del semestre bianco. Può bastare? E il senatore Marcello Pera che concepisce un emendamento suicida, anch’esso senza né capo e né coda? Ma che commistione di ignoranza e presunzione ci governa?
Mi auguro che la riforma Casellati non venga approvata o, meglio ancora, il popolo la respinga all’esito del referendum popolare. Prima che nei contenuti, il Governo ha dimostrato di non conoscere né il valore di una costituzione come Grundnorm; né che postuli la sua riforma, cioè una discussione ampia e di alto livello (qualche studioso vi è ancora nelle università italiane), in Parlamento e, soprattutto, fuori, nelle piazze, nei circoli, nelle associazioni. Ma se questo Governo non vi ha pensato, è molto probabile che l’ipotetico Governo dell’altra parte avrebbe fatto lo stesso. Nei fatti i tentativi di riformare la Costituzione, anche in profondità, sono stati parecchi nei decenni trascorsi; ma il testo dimesso dai Costituenti del 1946/47 è rimasto integro. Almeno è scritto in un ottimo italiano (e il legislatore contemporaneo non sa più nemmeno scrivere).
Comunque, anche nella malaugurata ipotesi che il pastrocchio andasse in porto, e avessimo il premier, pardon il Presidente del Consiglio, eletto dal popolo, tranquilli, per la politica italiana non cambierebbe assolutamente nulla. Perché le cose cambino non è sufficiente una formuletta magica. Occorre che si modifichino le persone e i contesti; occorre che si diffonda, e sia partecipata, una nuova spiritualità; occorre che siano sognate e perseguite nuove trascendenze collettive; occorre un élan vital capace di trasformare gli individui narcisisti ed edonisti che siamo, rivendicanti diritti e comodità a getto continuo, in un popolo, quale mai siamo stati; e certamente non lo siamo ora. Se questo fosse, allora solo un’Assemblea Costituente, composta dalle migliori intellettualità del Paese, ed eletta dal popolo, potrebbe riuscire a darci una nuova Costituzione, consegnando alla storia l’attuale. Tutto ciò è, però, un sogno. Siamo quel che siamo, purtroppo; e allora teniamoci la Costituzione del ’48 perché non siamo proprio capaci di scriverne una migliore. Soprattutto non lo sono quelli che stanno in Parlamento.
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