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Come costruirsi un futuro? Progresso e auto-produzione


5 Mar , 2024|
| 2024 | Visioni

“Andiamo verso un altro mondo”, diceva Candido, “ed è senza dubbio in quello che tutto va bene. Perché bisogna confessare che ci si potrebbe un po’ lamentare di quanto accade qui nel nostro e dal punto di vista fisico e da quello morale.”

Voltaire, Candido o l’ottimismo

Come si è giunti all’idea che il lavoro delle proprie mani, specialmente qualora non sia fonte diretta di reddito e nemmeno una prestazione salariata, sia da giudicare inferiore rispetto quello industrializzato o impiegatizio? Risponderò con una domanda: per quali ragioni oggigiorno risulta essere decisamente più progressista, tecnologicamente avanzato, smart, etc., la consegna a casa di verdure certificate bio – provenienti ovviamente dalla grande distribuzione e dall’industria agroalimentare – piuttosto che la capacità di coltivare autonomamente quelle stesse orticole nel proprio terreno di casa – a vantaggio certamente della qualità del prodotto, dell’impatto ambientale e delle ripercussioni virtuose sulla salute –? Si pensi a come oggigiorno ci si approccia al cibo, in particolar modo nelle grandi città: nel giro di qualche decennio lo spazio che oggi negli appartamenti è adibito a zona pranzo/cucina sarà del tutto superfluo e verrà destinato ad altri utilizzi (per esempio affittato gratuitamente a qualche multinazionale – non è questo il contratto di locazione in uso nello smart working? ). Prima l’introduzione sul mercato dei sughi pronti, dei cibi precotti, di quelli surgelati, etc., ha ridotto notevolmente la strumentazione necessaria alla preparazione dei cibi, limitando ogni intervento manuale alla cottura o al riscaldamento del prodotto (microonde, fornelli, forno); oggi l’home delivery rende del tutto superflua persino la stoviglieria minima: si mangia direttamente nelle vaschette di alluminio appena consegnate, nel tetrapak, con posate usa e getta. Se si potessero enumerare i movimenti delle mani oggigiorno necessari per portare un pranzo qualsiasi in tavola e confrontare con quelli che occorreva saper padroneggiare sino a qualche generazione fa per la realizzazione delle stesse pietanze, ebbene l’impoverimento odierno sarebbe assolutamente considerevole, se non drammatico: oggi, per ingerire del cibo, ci si potrebbe limitare ai soli movimenti di scrolling, tapping e swapping. La questione quindi è la seguente: per quale ragione ci si affida preferibilmente all’acquisto di un prodotto preconfezionato – consapevoli per giunta (forse!) della sua bassa qualità – piuttosto che imparare a realizzarlo noi stessi? E inoltre: di quante cose dell’uso quotidiano, così facendo, abbiamo perso nel corso tempo la capacità di realizzazione o persino comprensione? Esattamente in questa deriva ultra-assistenzialista sta il compito ultimo del “progresso” moderno: non è più unicamente la robotizzazione del lavoro salariato a farla da padrone, ma bensì la tecnologizzazione irrazionale della quotidianità extra-lavorativa. Dietro la promessa adulatrice di un mondo ultra confortevole, semplificato, privo di fatica, asettico, friendly, questo “progresso” tenta di spogliare gli individui di buona parte delle loro capacità. Debellare completamente la fatica nella società, è questo il grande compito che si è prefissato questo tipo di “progresso”. Ma a che prezzo? A prezzo di debellare allo stesso tempo ogni competenza che non sia impiegatizia o redditizia. Tutto cioè deve essere necessariamente comprato, venduto, mercanteggiato.

Auto-prodursi quei prodotti semi lavorati che oggi compriamo semplicemente per inerzia, pigrizia o presunta comodità (i cibi pronti per esempio), avrebbe la capacità non solo di ridimensionare un mercato giunto oramai ad uno stadio tossico ed irrazionale, ma allo stesso tempo di aumentare la qualità intrinseca dei prodotti. Se tutti noi per esempio ci auto-producessimo il sapone, ecco che il mercato dei bagnoschiuma si ridurrebbe a tal punto da far sopravvivere solo l’eccellenza, l’artigianalità, l’innovazione. Ma perché questo non avviene? Penso per l’appunto al recentissimo scandalo – passato, ça va sans dire, sotto complice silenzio – dei moltissimi saponi contaminati dal reprotossico Lilial (detto anche BMHCA, o Buthylfenil Methylpropional)[1]: perché ci continuiamo ad affidare a questa industria malata e pericolosa quando è così estremamente semplice realizzarsi in casa delle ottime saponette? Per un motivo soltanto: perché ci hanno fatto credere non solo che costruire qualcosa con le proprie mani fosse difficile, faticoso e poco smart, ma soprattutto, per una fetta sempre più crescente di merci, di non esserne mai stati capaci. Il “progressismo” liberal-chic del turbo-capitalismo vorrebbe farci credere che prima del suo filantropico avvento si vivesse solo di stenti, fatiche e rinunce, ma non bisogna mai dimenticarci che tutto ciò vale per quello che rappresenta una strategia di marketing qualsiasi. Bisogna allora riappropriarci del potere di creare, controllare e comprendere la nostra quotidianità, sviluppando trasversalmente quelle capacità che vorrebbero lentamente sottrarci. Poiché se è vero che i grandi capitali fanno di tutto per raffinare il prodotto e complicare la merce, è sempre più necessario ritrovare le origini artigianali delle cose: chi potrebbe infatti mai indovinare, guardando alle coltivazioni intensive di alcune orticole (impianti idroponici, aereoponici, luci a spettro blu per la germinazione e rosso per l’allegagione, ventilazione forzata, stimolatori fito-ormonali, prodotti anti-fungini, etc.) che per fare una zucchina in fondo basterebbe gettare in terra un seme?

Come ha dimostrato ottimamente Richard Sennett ne L’uomo artigiano, non esiste differenza alcuna tra creare e comprendere, fare e pensare, ideare e realizzare: «Ai livelli più elevati, la tecnica non è più un’attività meccanica; soltanto una volta imparato a svolgere bene la loro attività, le persone sono in grado di capire a fondo, con il sentimento e con il pensiero, quello che stanno facendo»[2]. Se è vero che sul finire dell’età moderna il progresso si costituisce come quell’argine che può preservare l’individuo dalla fatica gravosa di un certo tipo di lavoro – quello disumano dell’animal labourans –, è altrettanto certo che tale prospettiva ha cambiato leggermente registro nel corso dei secoli: alla fatica deleteria della bestia da soma viene assimilata lentamente anche quella, decisamente più sana, dell’homo faber. È la fatica educativa, artigianale, propedeutica – indispensabile tanto per acquisire nuove competenze quanto per progredire in quelle già possedute – che viene lentamente emarginata dall’idea di “progresso”, a vantaggio tuttavia di una dipendenza sempre più marcata verso la filiera industriale. Se il “progresso” ha voluto sgravare la società da ogni tipo di incombenza fisica – con l’intento di creare degli esseri totalmente inermi, bisognosi e remissivi – lo ha fatto unicamente per avere in seguito un enorme vantaggio su quella intellettuale, ecco il punto decisivo da porre in rilievo. Pensare, decidere, comprendere sono aspetti penosi per tutti quegli individui disabituati oramai alla fatica, e pertanto diventano compiti che devono essere sempre più spesso appaltati a supporti tecnologici esterni (piattaforme di ricerca, assistenti vocali, intelligenza artificiale). Dovrebbe essere evidente a tutti il pericolo di un tale fenomeno, ma il fatto che non lo sia dà ragione a questa breve trattazione: siamo sempre più degli esseri stanchi, deboli, sprovveduti. È allora proprio per fronteggiare tale deriva distopica che è necessario obbligarci a lavorare, faticare, strappare al mercato fette sempre più grandi di micro-economia. Bisogna imparare a costruire ciò che ci sta attorno, realizzare ciò che ci serve, utilizzare giustamente le cose, perché solo questo atteggiamento di indipendenza è in fin dei conti davvero liberatorio: riuscire a costruirsi un futuro letteralmente a portata di mano, ecco il senso di tale fatica.


[1]R.Demaio, “Nuovi sequestri di cosmetici con sostanze tossiche, è la volta dei saponi: ecco la lista”, L’Indipendente online, 29/11/2023 https://www.lindipendente.online/2023/11/29/nuovi-sequestri-di-cosmetici-con-sostanze-tossiche-e-la-volta-dei-saponi-ecco-la-lista/

[2]R. Sennett, The Craftsman, Yale University Press, 2008; trad.it. L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano 2012, p.28.

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