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Piccolo diario di viaggio sulla Cina
Scrivo di ritorno dalla Cina dopo esserci già stata dieci anni fa.
Le cose da dire sarebbero un milione, ma ciò che mi sembra importante è fornire alcune informazioni sulla vita quotidiana che ho potuto vedere nella città cinesi che ho visitato. Noi sulla Cina tendiamo molto a credere alla nostra propaganda, che ce la descrive come una dittatura che controlla ogni momento della vita quotidiana del popolo, con i lavoratori sfruttati e le persone poverissime. Non è così, provo a raccontarlo per punti.
- Innanzitutto, la cosa che a mio parere più risalta agli occhi di un occidentale che esplora la Cina è la sensazione di futuro.
Futuro che sta nella tecnologia (già ora almeno il 70% dei veicoli lì è elettrico, con un traffico che non fa più alcun rumore), nei trasporti (ho preso treni ad alta velocità tutti i giorni e in tutte le stazioni che ho visitato non ho mai visto mai neanche un treno con un minuto di ritardo), nelle costruzioni. Un futuro che, almeno con riguardo ai trasporti, è accessibile a tutti a bassissimo prezzo: la Cina ha messo sui suoi treni ad alta velocità e sulle sue metro tutto il suo popolo, garantendo a tutti, al di là delle proprie condizioni economiche e della propria residenza, un diritto alla mobilità che noi davvero ci sogniamo. - La loro società è molto più pacifica e armoniosa della nostra. Quando viaggi in Occidente spesso la tensione è palpabile (caso estremo, la Turchia), lì, invece, il conflitto è difficilmente percepibile. Anche il ruolo della polizia sembra completamente diverso dal nostro: le forze dell’ordine sono una presenza spesso fissa sulle strade, ma sono tutti privi di pistole, manganelli o qualsiasi altro strumento intimidatorio. Gli unici momenti in cui li ho visti in azione sono stati a Wuhan, quando hanno bloccato il traffico per fare uscire i bambini da scuola, e alla stazione di Shanghai, dove hanno portato uno scopettone a un’addetta alle pulizie a cui si era rotto. Altro mondo.
- Il livello dell’informazione. Uno dei cavalli di battaglia della nostra propaganda è che in Cina non esiste la libertà di stampa. Eppure il livello dell’informazione a me pare molto più alto lì che qui. Mentre da noi i telegiornali perdono tempo a raccontare di Chiara Ferragni, del Principe Carlo o dell’omicidio del giorno, lì l’informazione riguarda solo la politica, interna e estera. Hanno canali interi in cui parlano solo di come migliorare la Cina in vari settori, quali l’agricoltura, la meccanica, i trasporti ecc., quali sono i punti deboli e quali i punti di forza. Sulla politica internazionale sono molto, ma molto più informati di noi. Il mercato non è sicuramente il mezzo migliore per gestire l’informazione, e la Cina lo dimostrano.
- Il ruolo dei lavoratori, in pratica e nell’immaginario. Noi pensiamo alla Cina come un posto dove i lavoratori sono solo sfruttati, eppure basta stare un giorno per vedere come lavori che dai noi sono svolti da personale sottodimensionato, lì sono svolti da molte più persone. Molte cose sono automatizzate, ma il ruolo delle persone che lavorano è centrale e ci sono sempre lavoratori, in ogni contesto, pronti a risolvere eventuali problemi. I lavoratori sono, poi, al centro di ogni discorso pubblico e dell’immaginario collettivo. È propaganda? Sicuramente, ma vorrei capire chi preferisce una propaganda che, come la nostra, mette al centro il ruolo degli influencer e dei miliardari rispetto a una che centralizza chi lavora. Io preferisco la seconda.
- Il rapporto con il resto del mondo e l’attenzione alla pace. Infine, in Cina, dove ancora in molti posti è difficilissimo incontrare un non cinese e i bambini ci guardavano con occhi sgranati per la sorpresa, il rapporto con il resto del mondo e con quello che si può imparare altrove è fondamentale. Mentre noi vediamo il resto del mondo come la giungla che vuole attaccare il nostro giardino, loro spingono per avere rapporti paritari con tutti e per imparare da tutti. A ciò si ricollega l’insistenza con cui parlano di pace: la Cina è, ad oggi, l’unico posto nel mondo dove ho visto un monumento dedicato esclusivamente alla pace. Non alla memoria o alla vittoria, ma alla pace, e ciò in una città come Nanchino, dove (io non lo sapevo), tra il 1937 e il 1938 i giapponesi hanno massacrato in sei settimane 300.000 cinesi. Non vendetta, non memoria. Pace.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi limito a dare informazioni su ciò che è più evidente, e di cui ognuno può rendersi conto con una semplice vacanza. Vi invito ad andare: in un mondo in cui abbiamo estremo bisogno di pace, capire e imparare dagli altri è fondamentale. Per una volta, cerchiamo di essere umili e comprenderlo.
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