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Sopravvivere di nostalgia


1 Giu , 2024|
| 2024 | Visioni

   La parola greca algos significa dolore, sofferenza o pena, non significa propriamente malattia. Pertanto, la parola nostalgia (nostos, ritorno,e algos) non allude a una malattia (patologica) ma a uno stato di patimento proprio alla condizione umana. Essa, tradizionalmente, è tipica di coloro che sono lontani dalla propria terra e pertanto desiderano di ritornare a casa. Nella Sociologia della nostalgia di Fred Davis (Armando, 2023),da uno slittamento semantico all’altro, oltre alla demedicalizzazione della parola algos e alla sua rilettura in chiave sociologica, la stessa parola nostos non richiama più nell’individuo il desiderio di Heimat. E il ritorno non equivale più a una ricerca del paese o della casa. Decostruita della sua identità patologico-geografica, la nostalgia contemporanea, per Davis, è privata del motivo ontologico-regressivo e ha perduto il desiderio di centro. Essa è diventata foriera di una condizione incorporea, poiché la corporeità della malattia e del paese nel nostro tempo smarriscono il radicamento fisico proprio alla condizione umana. Non basta allora identificare il «passato» o le radici come esistenti preliminari per parlare di nostalgia. Il passato nostalgico esprime una memoria del vissuto che non ritorna né l’afflitto da nostalgia è un esiliato alla ricerca del centro originario.

   Nella sua evoluzione culturale contemporanea, la nostalgia aggancia una memoria, non di un luogo, ma di un vissuto mediato. Qui si coglie la sua cifra ormai irreversibile. E la memoria assume un significato diversamente orientato e originale, poiché la nostalgia postmoderna, per Davis è carica solo del tempo necessario a rendere la memoria mediatamente nostalgica. Il tempo allora costruisce una nostalgia edulcorata. E alla fine, dichiarato uno stato di patimento, l’individuo nostalgico elegge un altro luogo, immateriale e immaginario. La pressoché totalità del genere umano, almeno così la pensa Davis, in epoca postmoderna non è più nostalgica in senso tradizionale. L’umanità del nostro tempo possiede un passato costruito. E così l’idea di tempo o di spazio e luogo non indicano l’umana qualità di una memoria soggettiva o personale per un cronotopo sentimentale, il paese o la patria, la casa materna, né essa si nutre più di un tempo come l’infanzia. Per Davis, la nostalgia non è un organismo ontologico cresciuto attorno ai Saturnia regna dell’animo umano. È qualcosa di diverso.

   Quando Davis distingue l’esistenza di tre forme o nature nostalgiche, la «nostalgia semplice», la «nostalgia riflessiva» e la «nostalgia interpretata», ripartisce la materia nostalgica secondo una triplice graduazione interiore, a segnalare che la suddivisione tipologica getta la sentina a diverse profondità ontologiche. Se la «nostalgia semplice» esprime il passato o un passato come momento edenico della vita personale o collettiva, già la «nostalgia riflessiva» affina la cognizione impiantata sul regresso mito-ontologico introducendo un germe critico-analitico. Il momento riflessivo della nostalgia non vive più nell’incanto del passato né trasfigura la memoria di un fiabesco vissuto. Al contrario, esso alimenta lo spirito di un’interrogazione, nel luogo stesso della memoria nostalgica, in cui prevale l’autoanalisi del soggetto allo specchio. La nostalgia riflessiva, ancora attratta dalla lettura soggettiva del momento nostalgico, nella terza categoria di Davis, la «nostalgia interpretata» del fenomeno nostalgico, esprime ciò per cui la nostalgia del tempo passato diviene la materia viva di un’ermeneutica della verità.

   La triplice fisionomia intellettuale della nostalgia, nel pensiero di Davis partecipa dunque di un discorso unitario e coesistente, dialettico, nell’individuo. Le varianti «semplice», «riflessiva» e «interpretata» convivono nell’essere definendo quella «continuità identitaria» che fa della nostalgia anzitutto un sentimento autotelico. Così l’individuo scandaglia il sé raccordando l’«io passato e l’io presente». Il fenomeno nostalgico si fa allora un sentimento dell’alterità, dell’altro sé che dal punto di vista del presente si cerca nel passato. Una tale forma di nostalgia egoica, non mediata, adempie dunque all’inedita funzione di favorire il regresso ontologico alla ricerca di un tempo personale perduto. E il conseguente regressus ad uterum genera una rivalorizzazione, attraverso il passato, della vita nel qui e ora.

   La condizione preliminare per l’innesco nostalgico in età postmoderna è che il soggetto abbia un vissuto memorabile e che esso non sia mero, spontaneo tempo di vita ma la vita personale estratta dal tempo: vita mediata. Per Davis, se il momento esistenziale in cui si forma il sostrato nostalgico è da ricercare nel tempo dell’«adolescenza», nei cosiddetti «anziani» o «vecchi» è l’archivio memoriale, sentimentale e umano dell’adolescenza a costituire il cardine attorno a cui ruota l’inquietudine nostalgica dell’età matura. Essa appartiene a una nostalgia «semplice». È una visione del problema nostalgico maturata nel quadro dialettico, polare, tra un qui e ora inaccettabile e un là e allora nella cui direzione si consumano pensieri di amara melanconia e inafferrabile incanto magico.

   Il luogo in cui il là e allora si fa rappresentazione, per Davis è l’arte, mentre la sua espressione per così dire para-ontologica emana dal «dispositivo» estetico costruito dall’artista. Qui Davis percorre una via originale: la nostalgia estetica. Per il sociologo della cultura, citare il primitivismo picassiano oppure le «lattine di zuppa Campbell» di Warhol, oltre al richiamo del passato più o meno profondo, significa interpretare il «dispositivo» nostalgico alla luce della percezione individuale e sociale. A essere richiamato dal nostalgico è un mondo, il mondo mediato di un tempo posto «tra parentesi (tra virgolette)», un mondo trascorso ma riattualizzato al presente, e la cui forza attrattiva, seducente, esprime per così dire una res amissa non del tutta perduta. Essa anzi è vicina, sempre prossima al nostalgico, proprio perché l’arte riproducibile ne favorisce la riapparizione ad hoc. Alla stessa maniera, sotto il profilo temporale, il presente serve il passato nella sua attitudine a inventare il momento nostalgico. Davis parla propriamente di «creazione nostalgica» alludendo così a un congegnato meccanismo di risveglio. Il riferimento concerne una cognizione polare, una dialettica «permeata nel sentimento e nel pensiero» riguardo alla «superiorità essenziale» di «ciò che era» contro «ciò che è o sembra destinato a essere».

   La data e il luogo della Sociologia, il 1979 e gli Stati Uniti d’America, serrano un cerchio di senso interpretativo. Il capitalismo, per Davis, capitalizza anche la nostalgia. Nel quadro massmediatico statunitense, il cinema, la radio, la televisione, la rinascita di «magazine» storici o Walt Disney, nelle forme di riattualizzazione postmoderna generano un artefatto richiamo nostalgico agli anni Venti e Trenta del Novecento. Nell’analisi di Davis, una siffatta operazione nostalgica, con la sua subdola falsificazione, snatura il sentimento nostalgico e produce uno spaventoso profitto economico. Esso consegue da un esito calcolato, strategico e doloso, fondato sul riuso nostalgico nel modello massmediatico contemporaneo, un modello edulcorato e riadattato per essere immesso nella cultura di massa. Così la società dello spettacolo produce una nostalgia culturale per induzione attraverso il pervasivo potere della comunicazione mediatica. Essa è mediata e fittizia. E «poiché dalla nostalgia si può guadagnare», le perverse logiche del profitto fioriscono alla luce di una industria nostalgica in cui il sentimento diviene una merce calata ad arte nella dialettica tra la fascinazione illusoria e l’alienazione strutturale dell’individuo contemporaneo.

   Qui il «riciclo nostalgico» del modello storico attraverso il simulacro industriale determina la nascita di un «immaginario nostalgico» socialmente uniforme, conforme. Non si tratta più del risveglio di uno spontaneo sentimento nostalgico, personale, soggettivo e libero, del risveglio di una creazione umana compiuta nel soggetto nostalgico. Ora c’è di più. L’industrializzazione mediatica della nostalgia è la conseguenza di una progettualità capitalistica di matrice simbolica. Per Davis si è dinanzi a una tecnica industriale di «reviviscenza programmatica» a esclusivo vantaggio di un manipolo di orwelliani «prestigiatori assoluti della nostra nostalgia». Il conseguente profitto economico dell’industria nostalgica, costruito su di un orizzonte capitalistico di matrice mediatica, se da un lato ambisce alla produzione nostalgica, dall’altro intacca l’«immaginario» erodendo, anzi minando alle radici un altro sacro paese del sentimento umano.

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