La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Lettera ad Alessio Rega
Caro Alessio,
ho impiegato molto tempo per leggere La tela di Svevo (Les Flâneurs) forse perché mi sentivo personalmente coinvolta nella protesta sottesa che il tuo elegante romanzo parzialmente esplicita. Dico parzialmente perché credo sia proprio questo il compito della letteratura, dire senza esplicitare troppo, mantenersi in equilibrio tra denuncia e libera espressione. Nel tuo, appare lapalissiana la corruzione del mondo dell’arte (ma potrebbe anche velatamente trattarsi del mondo della letteratura?), ma altrettanto forte emerge l’urgenza di una trama, di un tramare: mentre Svevo da eremita disprezza ciò che crea, legato senza volerlo a una rete di politicanti corrotti, appare la sua musa, la sua Madonna, in correlazione con un dipinto sofferto, amato quanto odiato. Li separa l’età, lui anziano, lei giovanissima. Aveva creduto, Svevo, di salvarsi diventando eremita, fuggendo dal presente, isolandosi dal mondo, con qualche passeggiata solitaria nel bosco. Ma ecco che Anna, talentuosa e giovane arpista, sconvolge i suoi equilibri, ne diviene appunto musa e ossessione. Quando si esibisce lui è lì per lei, solo per lei. L’ambientazione pugliese è paesaggio ma anche personaggio, Molfetta è tutta una vita sconosciuta che si mostra ai più nell’intrico tra mondanità e provincialità.
Il tuo Svevo è intrappolato nel doppio legame tra esibizione e sottrazione di sé. Detesta quasi tutti, perciò elegge come unica sua compagna di viaggio la bellissima e misteriosa Anna. Svevo detesta la borghesia, la considera vecchia e corrotta; detesta la moda, l’esibizione delle borsette, dei capelli ben fatti, della volontà di apparire e mostrarsi senza guardare, ascoltare; come se l’arte fosse solo un pretesto per esibirsi. C’è una bella dose di ironia, quando scrivi degli eventi, apparentemente dedicati all’arte, ma in realtà mostre d’atrocità, in cui la cosa più importante è che sia riservato un posto in prima fila alla moglie del sindaco.
Svevo rintraccia ingenuamente le differenze tra Molfetta e le grandi città, Milano, Roma, Parigi: «Appena arrivato sono stato travolto dal senso di spaesamento fin dall’uscita dalla stazione Termini. Mi ritrovavo in un mondo completamente diverso da quello a cui ero abituato. La città era in fermento continuo, per strada vedevo sfrecciare le lambrette, le gonne delle ragazze si andavano accorciando sempre di più. Tutte cose ovviamente impensabili a Molfetta. Ma a Roma ci sono rimasto poco, mi piaceva girare il mondo, andare alla ricerca di nuove esperienze».
Svevo ha avuto molte esperienze, ma ha amato una sola donna, si chiamava Sophie, il loro fu un amore distruttivo. In passato viveva a Parigi, andava in giro per i mercati, le storie che raccoglieva urlavano desolazione, sgomento, solitudine, rabbia.
Una tela lo attende sempre bianca; nel frattempo rilegge Così parlò Zarathustra, il libro che gli è più caro. In una pagina di diario ricorda il conflitto con i genitori, la burbera assenza del padre. Anche il rapporto con gli uomini è controverso, Marco gli manda costanti messaggi, ma lui non risponde, prova disprezzo per questo anelare querulo. Ma a trascinarci nella storia è l’amore per Anna, descritto con immagini molto forti, sovrapposto all’amore melanconico e disperante per Sophie.
«Anna mi saluta con un bacio veloce sulla guancia e ora che so che è una sua abitudine non posso attribuire a questo contatto l’intimità che speravo indicasse. Le sue labbra ogni volta incontrano la mia pelle vecchia raggrinzita, con poca barba e ogni volta mi imbarazzo al pensiero che possa esserne disgustata. Poi parte e guida con disinvoltura, supera le macchine più lente e si dirige verso la statale, direzione Sud. Provo a chiederle dove siamo diretti ma lei oppone resistenza».
Svevo rivede in Anna Sophie. Sa che nessuno avrebbe capito e non vuole concedere ad Anna di entrare nella sua vita come accadde con Sophie, deve proteggersi da quella ferita non curata. Le pagine di diario, con i ricordi della sua famiglia, di Sophie, di tutto il passato, si alternano al procedere incessante del presente, di un presente che è presagio di qualcosa che dovrà compiersi. Ecco, allora, mi chiedo, Alessio, se la tela di Svevo non sia la tela dell’esistenza, dipinta da qualcosa che conosce e determina il nostro destino.
Anna Legge La nausea di Sartre, si sottrae al desiderio che sempre più forte trafigge Svevo e lo rende schiavo. Perché, lei, musa, lei, Lou Salomé, anelito assoluto, per l’arte, incarna l’arte stessa. Ma i ruoli tra dominante e dominato possono capovolgersi da un momento all’altro, e ogni amore letterario è destinato alla tragedia. Lei, la bellezza, la giovinezza, la musa, sarà forse destinata a restare incastrata in un personaggio: sarà forse tramite di qualcosa che attraverso la sua persona si compie, trascinandola nella melanconia, nell’ossessione che prima era appartenuta a Svevo. Lui vuole imprimersi nelle narici l’odore di lei, prima di prendere una decisione feroce, da cui niente e nessuno tornerà indietro.
Ecco, tu, Alessio, sei stato capace di un romanticismo alla Luna di fiele, un romanticismo nero che avvampa e ferisce. E lascio ai lettori le parole di Svevo:
«Alle proprie radici è impossibile scappare, sono dentro di noi, ci appartengono».
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!