Per tentare di comprendere – per poi valutare – tutta la portata di quello che Fanpage con la sua inchiesta, sulla “Gioventù Nazionale”, ha fatto affiorare, conviene forse prendere a prestito le categorie interpretative messe a punto da Carlo Galli nel suo ultimo prezioso saggio su La destra al potere (2024). Nello spiegare come la vitalità crescente delle destre, in Italia e in tutta Europa, sia l’esito delle contraddizioni sempre più laceranti interne al neoliberismo, che in questa maniera «si corazza», riprende e sviluppa il concetto di afascismo, fra l’altro utilizzato in un recente saggio scritto a quattro mani anche da Nadia Urbinati e Gabriele Pedullà, dal titolo Democrazia afascista (2024).
Afascismo naturalmente non è antifascismo, però non è neppure pro fascismo. È paradossalmente la presenza del fascismo nel modo della sua assenza. Una sorta di silente convitato di pietra. È nei fatti uno spazio svuotato di contenuto culturale e ideologico per fare posto a quel sano «pragmatismo del fare», enunciato in esplicito dalla Meloni nel discoro di insediamento del suo governo. In quella occasione, con tono enfatico, affermò «che il nostro motto sarà non disturbare chi vuole fare» (per precisare subito dopo, perché non vi fossero equivoci da quale parte si stava, «che vogliamo fare della sicurezza un tratto distintivo di questo esecutivo»). Dunque, è un vuoto che li espone alla paralisi nei termini di una incapacità strutturale ad atteggiarsi a soggettività politica autonoma, in grado di riscrivere ad esempio i rapporti di forza tra economia e politica. Ma nel contempo, questo vuoto, si rivela una manna dal cielo per veicolare quei processi di progressivo annichilimento dell’impianto costituzionale perseguito da tempo da quei poteri economico-finanziari dominanti da noi come altrove. Poteri espliciti ma anche nascosti, oppure occulti, che hanno tutto l’interesse a smontare pezzo dopo pezzo una Carta che si fonda sul lavoro e sullo sviluppo integrale della persona. In nome dei quali la Repubblica è chiamata a rimuovere tutti gli ostacoli di natura prevalentemente sociale ed economica, che ne impediscono l’inveramento. Si tratta di dinamiche di verticalizzazione e accentramento del potere risalenti a cui il governo Meloni pare voglia dare forma istituzionale compiuta, con il premierato elettivo in particolare.
Ora, se nel caso dei maggiorenti di FdI la spinta propulsiva è data dalla conservazione del potere e della sua riproduzione, magari implementata, analogo discorso non può essere fatto per i giovani militanti mossi da un’aspettativa ideologica ben più consistente di quel sano pragmatismo, che può bastare a chi è già in cabina di comando (e gode di quell’ebrezza che la gestione del potere garantisce). Non possono bastare dieci kermesse di Atreju per colmare quel vuoto o l’intera saga de Il Signore degli Anelli di Tolkien, che può essere nella migliore delle ipotesi un palliativo. Ci vuole molto di più. Ed allora questi giovani che si erano illusi di potere essere partecipi di una qualche pedagogia politica collettiva si ritrovano a manifestare banalmente contro la Salis. Cos’altro necessariamente gli rimane per colmare quel vuoto di cultura politica? Gli spettri e i fantasmi del passato, evocati in riunioni che sembrano sedute spiritiche: nel loro orrore comunque rappresentano un pieno che serve a dare un senso ad una militanza altrimenti priva di ancoraggio e identità. Non potendo confidare su dei contenuti minimamente mobilitanti, si finisce per regredire nell’invenzione mitologica. La Meloni o chi per lei si sbrighi a dare una qualche visione ideale alla sua gestione altrimenti asettica del potere. Ma più realisticamente pare trovarsi in una sorta di vicolo cieco. Avendo alle spalle una filiazione, sia pure alla lontana, con una tradizione politica per ovvi motivi impresentabile e d’altro canto non potendosi dichiarare antifascisti, l’afascismo pare risultare l’alfa e l’omega dell’intera loro parabola.
Potrà significare in negativo lavorare ad una prospettiva completamente postdemocratica. Il vero rischio potrebbe essere infatti che alla mancanza di vie di uscita culturali e ideologiche si risponda in Italia come altrove alzando oltre misura la posta, rilanciando di continuo: riproponendo su larga scala, riveduto e corretto, il “modello Milei”. Una configurazione anarco-capitalistica estrema che potrebbe incrociare il favore dei giovani, che nel frattempo hanno dismesso del tutto pensiero critico e dignità del lavoro. «La notte del mondo» potrebbe essere solo agli inizi, se non ci si organizza in tempo nell’altro campo, come si deve e si può, per contrastarla.
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