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Con i migliori saluti alla… legge


8 Lug , 2024|
| 2024 | Visioni

Sine ira et studio

Finalmente, un primo caso di applicazione della recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni unite, che ha legittimato – sdoganato? – il saluto romano/fascista nelle commemorazioni “nostalgiche”, fino ai riti liturgici nel santuario di… Predappio.

Il tribunale di Ravenna proscioglie due cittadini imputati di violazione della Legge Mancino, che punisce e condanna e atti e discorsi aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione razziale, etnica e religiosa. La norma, è noto, punisce anche chi ostenta emblemi o simboli tipici delle ideologie che sostengono tale discriminazione, tra cui appunto il saluto fascista. Se non che, per l’appunto, le Sezioni Unite della S.C. hanno statuito che il saluto romano/fascista viola la legge se e solo se unito al concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, dunque nel contesto di ulteriori azioni. Quando e se fine a sé stesso, vedi caso durante una “commemorazione”, ancorché “nostalgica”, nulla quaestio, almeno in prospettiva giuridica.

In estrema sintesi. L’esclusione della legge Scelba riverbera effetti ostativi anche sulla successiva legge Mancino, inapplicabile anch’essa. La sequenza lineare tipica del… domino.

Lo Stato costituzionale di diritto si interroga. Rectius: dovrebbe.  

Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo, però che ‘l pastor che procede // rugumar può, ma non ha l’unghie fesse”. Nell’intonazione etico-politica del Canto XVI del Purgatorio, Dante e Virgilio avanzano in un’atmosfera pervasa da un fumo denso e scuro. Il contrappasso rappresenta icasticamente l’oscuramento della mente.

E, di certo, non manca chi ama “rugumar”, ruminare.

Il punto è dirompente. Molti anni prima della legge Mancino, alla luce della legge costituzionale del 1952, la legge Scelba, l’apologia del fascismo non deve necessariamente esprimersi attraverso atti di propaganda esplicita o violenza eversiva. Il delitto, infatti, appare pienamente integrato anche in costanza della sola e tipica gestualità del saluto di memoria fascista, a mente degli art. 1 e 5, posti a presidio della legalità costituzionale democratica, in attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, e nel prosieguo corroborati da plurime pronunce della Corte Costituzionale. 

Il divieto, concernendo indistintamente tutte le manifestazioni, a prescindere dai contesti e dalle finalità dell’una o dell’altra, non contempla eccezioni. E, a giudizio della stessa S.C., le occasioni “commemorative”, se pubbliche, ovvero la “pubblicità” in sé del saluto fascista, rappresentando una delle tipiche “manifestazioni esteriori usuali del disciolto partito fascista”, appaiono idonee a integrare il delitto di “apologia del fascismo”.

Nelle condizioni date, si concreta, altresì, la più grave fattispecie di “riorganizzazione” del partito fascista, senza riguardo a circostanze, intenzioni e pericoli ulteriori, nella situazione concreta nella quale siffatta gestualità si esibisce.

Del resto, la Suprema Corte ritiene che “il saluto fascista”, impropriamente detto “romano”, costituisca una manifestazione gestuale che rimanda all’ideologia fascista e, pertanto, ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza sanzionati dall’art. 2 del decreto-legge n. 122 del 1993, legge Mancino. Ed evidenzia che non si richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, in ragione della funzione di tutela preventiva propria dei reati di “pericolo astratto”.

Ne discende che il “saluto fascista”, in sé e per sé, integra la fattispecie, data la connotazione di pubblicità che qualifica tale espressione gestuale, evocativa del disciolto partito fascista, con effetti pregiudizievoli dell’ordinamento democratico e dei valori fondanti.

Eppure, per ragioni (non troppo) misteriose, la querelle, giurisprudenziale/politica, sembra incartarsi nel gioco di una…(pseudo)ermeneutica.

Quando si versa in tema di “riorganizzazione”?

Con estrema, perspicua semplicità, risponde l’art. 1 della legge Scelba. Sancisce che “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista (anche) quando una associazione o un movimento compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”. Il senso del divieto non potrebbe essere più chiaro, concernendo la riorganizzazione “sotto qualsiasi forma”, di cui alla XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione! 

La ratio del comando giuridico, nel suo limpido tenore letterale, non lascia margini per dubbi o tartufeschi giochi linguistici. Semplici manifestazioni, tout court, quand’anche in assenza di ulteriori evidenze e/o pericoli.

È indubbiamente vero che “non esistono fatti puri, ma solo interpretazioni”, fatti, ossia, interpretati da soggetti umani – a mente dei frammenti postumi di F. Nietzsche, anche se la tesi è sviluppata in “Su verità e menzogna in senso extramorale” e in “Umano, troppo umano”. Epperò, poiché le interpretazioni sono letture dell’esistente, e un’interpretazione può essere interpretazione di un’altra interpretazione, resta fermo e pacifico che, all’origine, devono pur esistere fatti, altrimenti non potrebbero darsi neppure le interpretazioni. Qualsiasi tentativo di interpretare l’inesistente, infatti, da Aristotele a Freud, rappresenta un segno inquietante, per l’ordinario intelletto umano.  

In breve. Per conoscere fatti, noi abbiamo necessità di un linguaggio, che, appunto, in quanto interpretazione, rende possibile la lettura, mai definitiva, evidentemente, dei fatti. Da qui, l’ingenua fallacia del positivismo. La S.C si tiene a debita distanza e, anzi, omette ogni “interpretazione” e glissa finanche sulla filologia determinata della norma incriminatrice. Ciò nonostante, il “fatto giuridico” resta incontrovertibile e inaggirabile: la piena idoneità delle “manifestazioni esteriori”, in sé e per sé, a integrare il delitto de quo!  Per tacere della ricorrente “esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi” fascisti, ovvero della partecipazione “a pubbliche riunioni” e a “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista”, in violazione dell’art.5 della citata legge costituzionale.

Ecco il punctum dolens: sotto questo specifico profilo, è patente, la riorganizzazione del partito fascista è in continuo, indisturbato… svolgimento! Né giova ricordare che, a rigore, partito politico è qualsiasi associazione, gruppo, compagine, più o meno strutturati, i cui membri siano accomunati da un’identità collettiva, da una visione comune della società e dello Stato e da finalità pubbliche condivise, anche al di fuori dell’”ambito prevalente” propriamente detto, quello elettorale. Com’è noto, la forma peculiare dei partiti fascisti è la “milizia”.

 Un passante si chiede. E chiede.

I giudici non “sono soggetti soltanto alla legge”?

E la Repubblica democratica, nata dall’antifascismo e dalla Resistenza, antipode della… desistenza, non è ormai affrancata da timori (e rischi) di guerra civile, lo spettro che accecò e spinse la monarchia sabauda a consegnare la Nazione nelle mani insanguinate di una banda di facinorosi, eversori del pur fragile Stato liberaldemocratico?

Infine. Lo spirito della tolleranza può rischiare l’auto-castrazione chimica ed estendersi anche ai suoi nemici, nostalgici impenitenti di una temperie politico-culturale – per usare un lessico nobile – che auspicava la vittoria del nazismo?!    

Ebbene, dalle plurime e convergenti pronunce della Corte Costituzionale si desume come la fattispecie di cui all’art. 5 della legge Scelba configuri determinate condotte, in quanto tali, come un reato di pericolo concreto. In dottrina, peraltro, il contenuto delle manifestazioni simboliche che ricordano l’ideologia fascista o nazista assume un rilievo decisivo sul piano della “offensività”, principio cardine della giurisdizione, a norma della XII Disposizione, senza necessità di individuare un’idoneità, concreta e funzionale, ossia operativa, alla riorganizzazione del disciolto partito fascista. Alla sola condizione che tali manifestazioni si svolgano in ambito pubblico, tale, per propria natura, da aggregare e consolidare il consenso intorno a idee malsane ed eversive, e realizzare effetti di turbamento della civile convivenza democratica.

E pluribus, unum. La sentenza costituzionale n. 74/58 statuisce la legittimità costituzionale delle sanzioni penali che prendono in considerazione gli atti finali e conclusivi di un’ipotetica riorganizzazione del partito fascista, bensì anche di quelli idonei a creare un effettivo pericolo di tale riorganizzazione, qualora il fatto, qualunque fatto, ancorché commemorativo, trovi nel momento e nell’ambiente in cui è compiuto circostanze tali da renderlo pervasivamente idoneo a provocare adesione e consensi e a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione.

Certamente, l’art. 10 CEDU, unitamente all’art. 21 della nostra Costituzione, garantisce all’individuo la libertà di manifestazione del pensiero e di stampa. Un principio di alta Civiltà giuridica e politica, che, tuttavia, prescrive limitazioni della libertà in tre casi:

a) quando tale restrizione sia espressamente prevista per legge;

b) quando la conseguente interferenza col diritto di espressione persegua i fini previsti dal medesimo articolo 10 e

c) quando l’interferenza si concretizzi in misure necessarie e proporzionali sia allo scopo perseguito, sia al fatto al quale s’intende reagire.

Vero è che, inoltre, il giudice di merito, in mancanza di sfere di vetro e capacità divinatorie, nel singolo caso concreto non può valutare, con prognosi ex ante, le condizioni ambientali e psichiche esatte nelle quali il saluto fascista sia suscettibile di creare consenso e, finanche, una base per la ricostruzione del partito fascista. Per questa oggettiva ragione, la norma non contempla improbabili casistiche e, escludendo ogni discrezionalità, incrimina le condotte tipiche senza distinzione alcuna.   

È, pertanto, di tutta evidenza che la libertà di “braccia tese” e “riti del presente” à gogo contrasta apertamente con l’ordinamento giuridico costituzionale democratico e con l’imperativo della legge penale. Con buona pace di quanti gongolano, taluno nell’ardente passione per i busti del duce, nonché per tacere di ampie frazioni di popolo in comoda e ambigua “zona grigia”.

Insomma, ai fini della ratio normativa, appare del tutto ininfluente, “inconferente”, nel linguaggio giuridico, che i partecipanti a una cerimonia rappresentino o meno un pericolo, astratto o concreto e palese. Del resto, sarebbe insensato, al limite del grottesco, rimanere immobili, nella trepida attesa della riapertura delle sedi del partito fascista, a Roma, in piazza Colonna o in via della Lungara!

Certo, invece, è che la semplice “manifestazione esteriore” del saluto, et similia, si configura formalmente come antigiuridica, alla stregua del citato art. 1 della legge Scelba, in quanto palesemente confliggente con l’esplicito comando giuridico che esprime la volontà dello Stato democratico.     

Quanto agli eventi/sfide commemorativi, tutt’altro che infrequenti, si dovrebbero ragionevolmente impedire quelli che possono suscitare controversie e presentare rischi. È, infatti, del tutto evidente, che, in congiunture politico-istituzionali sensibili, cerimonie celebrative di una specifica memoria possono implementare o aumentare desideri di vendetta, catalizzando latente violenza. Il cardinale principio logico-giuridico di precauzione esige la più severa e doverosa attenzione, in costanza di eventi altamente politicizzati, pervasi da una sottesa e malcelata volontà di potere politico, propaganda e proselitismo impliciti, oggettivamente difficili da controllare e disciplinare.

Entro uno scenario ormai svilito dalla (heideggeriana) chiacchiera, impotente e nebulosa, da parole vuote o piene ma senza concetti, declinate nel gioco speculare degli “ismi” e degli “anti”, opportunamente di nome e d’ufficio, come non ricordare lo sgomento lucido di Pietro Nenni, nel 1922, poco prima del naufragio, davanti a troppi “occhi bendati”?

Benché immuni da angosce per impensabili “eterni ritorni dell’identico”, comunque il passato non è mai una terra straniera. La hegeliana “astuzia della ragione” e lo “spirito del tempo” storico si manifestano in forme sempre nuove, impreviste e imprevedibili. Sorprendenti, talora. Avanzando nel presente, abilmente mascherati, in guisa spesso surrettizia, un passo dopo l’altro. Anche la Storia conosce l’up-dating

Ma “un passato che non passa, che passato è?”, la domanda conclusiva di G.W.F. Hegel.

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