Riscossa Multipopolare è un breve saggio di Giuliano Marrucci, ex giornalista di Report, che intende fornire una base di analisi a una progettualità di militanza associazionistica basata su due presupposti fondamentali: rifiuto del neoliberismo e dell’ imperialismo USA.
Tale scritto non è maturato nell’ambito di una discussione accademica, ma nella attività di informazione alternativa della web tv Ottolina; un canale di controinformazione con cui la Fionda collabora attivamente, e che adesso procede verso una forma associazionistica.
Si può quindi vedere il saggio sotto diversi aspetti: come espressione di una attività militante volta alla prassi, e come analisi della realtà. Il primo aspetto è il più importante: la produzione di testi di inclinazione politica è ampia e varia, ma spesso si tratta di prospettive meramente intellettuali avanzate da singoli e disancorate dalla militanza, o meglio da qualsiasi comunità politica. Vediamo così l’autore (spesso dotato di titoli accademici) che dall’alto del suo sapere ci dice come va il mondo e cosa dovremmo fare per migliorarlo. Non è questo il caso: si tratta per Marrucci di uno sforzo di sintesi di acquisizioni concettuali “sul campo”, cioè nel corso della sua attività giornalistica e nel confronto con i mille esperti e attivisti comparsi su Ottolina. Fra cui noi.
Un’altra distinzione va posta: un testo che nasce a stretto contatto con la prassi e l’attivismo non necessariamente deve essere una enciclopedia dei temi importanti, ma può catturare una prospettiva specifica utile per costruire movimento. Non scambiamo un cantiere per un complesso bello e fatto. A ciò aggiungiamo la questione delle lunghezza: un testo da porre in mano ai militanti che non hanno per obiettivo il dover chiedere un mese di ferie per affrontare qualche migliaio di pagine non può che essere sintetico. Per fare un paragone, il più famoso compendio della dottrina cattolica, il Denzinger, è lungo 2400 pagine. Il Credo si legge in un minuto. O, se si preferisce, i sintetici pamphlet come il Che fare? di Lenin non sono paragonabili al Capitale.
In cerca di una nuova comunità politica
La festa di Ottolina a Pisa ha visto una buonissima partecipazione è un gran numero di dibattiti e momenti di confronto. Quello che si può rilevare è la presenza di persone e figure associative che hanno visioni diverse. Cosa abbastanza differente da iniziative analoghe che hanno però l’aria di fare tutto “fra noi”, cioè fra persone che già condividono moltissimo. Ottolina non è una parrocchietta.
Nel saggio viene spiegata la genesi del progetto, che parte a fine 2020 e diventa un canale di controinformazione, ma con la ambizione di diventare il media del 99%. Una espressione che richiama le contestazioni di Occupy Wall Street, alludendo all’interesse delle classi lavoratrici contro quello della ristretta oligarchia che controlla il quadro politico e che si appropria della maggior parte della ricchezza.
La storia recente del nostro paese è piena di tentativi di creare media alternativi rispetto a quelli più proni al padronato e ai poteri forti: dalle radio libere degli anni Settanta al “mediattivismo” che in anni più recenti ha dato voce è sostenuto il movimento cosiddetto no-global (Indymedia, Carta), passando per i tentativi falliti come quello del compianto Giulietto Chiesa. L’aspetto che non pare possibile aggirare è il rapporto con il suo pubblico di riferimento che esprime i propri sostenitori. Carta, per esempio, era la espressione mediatica della sinistra radicale (peraltro nella sua versione più movimentista), che presumibilmente non sopravvisse al ridimensionamento di tale esperienza politica.
Questo tema porta alla prospettiva di dotare Ottolina di una comunità, di organizzare i propri simpatizzanti in modo da costruire una militanza avendo tale progetto come riferimento. Questo è il significato e l’obiettivo della associazione Multipopolare. Il nome associa, genialmente, il fatto di essere popolare in modalità eterogenea (con spazio alla diversità di impostazione) e quello di avere come orizzonte il nuovo multipolarismo che sta emergendo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Le domande logicamente successive sarebbero, rispettivamente, in cosa crede o grosso modo su quali questioni è costruita tale realtà associativa. Il pamphlet è la risposta, o quantomeno l’inizio di essa.
Cosa dice il pamphlet
Viste queste premesse ha senso dissezionare nel dettaglio i contenuti del testo? La risposta per chi scrive è un sì a metà: vale la pena considerare i temi e l’andamento generale del ragionamento, meno verificarne i dettagli, perché l’importante è il messaggio generale. L’analisi può sempre essere soggetta a revisione e correzione.
Il punto di partenza è che dopo la Seconda Guerra mondiale nei paesi a capitalismo avanzato vi è stato un compromesso capitale lavoro che il padronato è riuscito con successo a rovesciare in una egemonia liberista che dura tutt’ora. Il sistema derivante unisce aspetti geopolitici con una spinta finanziarizzazione: il super-imperialismo con gli Usa al centro.
Per capire meglio uno dei nuclei del testo dovremmo specificare che ci sono più modi di considerare la finanza. Una certa interpretazione la separa in modo netto dall’economia reale – fino all’estremo di considerarla una forma parassitaria – “salvando” quest’ultima in qualche modo. Un altro filone analitico le legge in maniera unitaria, facendo derivare strettamente la speculazione dai processi del capitalismo materiale. Il problema di questa versione è che non ha un grande sbocco politico: da BlackRock alle pmi, tutto è capitalismo da condannare. Il Marrucci invece è più per recuperare una versione dell’economia reale con qualche forma di keynesismo. Ma questo ci porta direttamente al punto successivo.
Tale sistema è entrato in crisi, per la ascesa di potenze della periferia, in particolare la Cina. I movimenti di venti anni fa guardavano ai paesi dell’America Latina, ma per quanto fossero esperienze incoraggianti non hanno mai costituito una reale alternativa in termini di effettivo potere politico, salvo il Brasile: Venezuela e altri paesi “bolivariani” erano al massimo potenze regionali (ma forse nemmeno). La Cina è effettivamente il rivale strategico degli Usa.
La riflessione sul nuovo multipolarismo, di cui la guerra in Ucraina è un acceleratore, costituisce forse la parte principale del testo, e sicuramente quella più controversa: le sinistre anticapitaliste eredi di Porto Alegre tendevano a vedere nei paesi più forti fuori dall’egemonia statunitense esempi di capitalismo per di più anche più autoritario rispetto all’Occidente, per non parlare di paesi come l’Iran, resi odiosi dalle violazioni dei diritti democratici e delle donne. Per non parlare della questione della sovranità nazionale, il cui rigetto ha accomunato tanto le sinistre mainstream che diverse correnti anticapitaliste: la nazione è un male e il suo superamento è in qualsiasi modo apprezzabile. Basta vedere com’è stato ostracizzato Costanzo Preve per essere uscito da tale schema. La presa di posizione del saggio di Marrucci è netta, e se differisce radicalmente dall’insieme di tifosi della Ue (che abusano il termine di “europeisti”) è in contraddizione ancora più netta col campo occidentalista e filo-NATO: il pamphlet si apre con una citazione del presidente Xi Jinping. La Cina e altri paesi BRICS (un gruppo in fase di allargamento enorme) indicano una alternativa possibile di economia reale. Non per questo esentandoli da critiche sui diritti umani, ma senza “dirittumanismo”, senza cioè che tali critiche esauriscano il giudizio politico senza residui, trasformandosi in ideologia. Si va oltre ad una valutazione positiva di essi come argine geopolitico all’impero Usa: si vede un ritorno del ruolo dell’interventismo dello Stato come elemento in grado di creare benessere per le classi lavoratrici. Anche la distinzione società aperte – chiuse è considerata debole e subordinata alla delegittimazione delle potenze emergenti a favore di chi – fra l’altro – commette violazioni di gravità estrema, gli Usa.
Tutto si può dire, ma non che sia una tesi che non faccia discutere.
Dove va Multipopolare?
A questo punto la domanda potrebbe essere: ma tutti coloro che aderiscono a Ottolina o Multipopolare si riconosceranno in questa sintesi? La risposta è: prima lo dovrebbero leggere. Auspichiamo una cosa del genere perché sicuramente attorno a Ottolina circolano persone e soggettività che hanno a cuore temi che non vi rientrano, ma si dovrebbero misurare con questi temi in un processo dinamico di aggregazione e confronto senza steccati. Testi e documenti contestuali a un processo vivo devono guardare fuori di sé e non verso loro interno, cioè essere strumento per l’agire politico e la militanza piuttosto che incentrarsi sulla coerenza concettuale e su un imponente apparato di fonti a piè di pagina.
Dove vada a parare questo “fuori”, ovviamente il testo non può dirlo, e a maggior ragione una recensione di esso. Sarà la prassi stessa del processo partecipato a dirlo. In ogni caso qualcosa si sta muovendo.
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