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Vagabondaggi meridiani tra l’Olimpo e il Moderno


30 Lug , 2024|
| 2024 | Visioni

Monte Olimpo, 26/07/’24

Eccomi giunto in cima. A dire il vero non è stato così difficile. Una passeggiata in confronto alla zona industriale di Atene. E ora, che ho raggiunto la vetta idealmente più alta, dove proseguirà la mia fuga? Salonicco? Sempre più a Est, forse verso Istanbul? Ma soprattutto, a questo punto che senso avrebbe? Scappare dall’inferno delle nostre vite ultramoderne, dalla nostra frenesia svuotata di significato, bruciando chilometri e chilometri incuranti della terra che calpestiamo. Non è proprio questa l’essenza della modernità? Con poche ore di volo possiamo raggiungere qualsiasi angolo della terra, così ogni meta ci è ormai indifferente e del viaggio resta poco o nulla.

Fermiamoci un attimo a pensare. È davvero così scontato raggiungere la vetta dell’Olimpo, come fosse un normale trekking d’alta montagna? Evidentemente no. Il Monte Analogo è l’incipit di un romanzo la cui stesura si è interrotta nel 1944, a causa della prematura scomparsa del suo autore, lo studioso di sanscrito René Daumal. La storia parte proprio dalla constatazione che, ora che l’uomo ha scalato l’Olimpo e tutte le vette che per millenni hanno significato il luogo terreno di una dimensione divina, trascendente, da qualche parte nel mondo deve pur esistere un punto di accesso ad una dimensione di questo tipo. Da questo assunto parte un’avventura folle che, ne sono certo, se portata a termine sarebbe stata ricordata come uno dei più grandi romanzi del XX secolo. Purtroppo però una simile speranza può esistere solo nell’immaginazione di un letterato geniale. La verità è che, da quando ci siamo messi in testa che l’Olimpo è una montagna qualsiasi, un luogo raggiungibile come gli altri su cui costruire impianti sciistici (come naturalmente tutti gli altri monti sacri), abbiamo dimenticato l’importanza del trascendente come dimensione che dia senso alle nostre esistenze. Credevamo di raggiungere cime d’altura, e invece abbiamo livellato le vette del nostro spirito ad una piatta orizzontalità. E ora che dalla morte di Daumal sono passati ottant’anni risulta difficile anche solo immaginare di recuperare un tale senso di trascendenza. Eppure il sacro ed il trascendente sono sempre state funzioni ordinatrici fondamentali dell’esperienza umana. Il sacro è limite, e l’idea di un monte inaccessibile non per limiti tecnici, ma per definizione ne è il simbolo più chiaro ed imponente. Se il sacro è limite, il limite è sempre misura. Mastri della misura furono proprio i greci, che dall’arte geometrica inventarono la proporzione, arrivando a calcolare la circonferenza terrestre con solo un bastone ed un’ombra. Limite, misura e trascendenza sarebbero un ottimo antidoto contro questa nostra modernità sregolata, che fagocita e distrugge tutto ciò che arriva a toccare: culture e tradizioni, ambiente naturale e paesaggi, presto anche quelli celesti. Non solo abbiamo abolito gli Olimpi di questo mondo, ora vogliamo appropriarci ed inquinare anche quelli spaziali! E potremmo chiederci: chi conosce meglio la luna, Neil Armstrong che l’ha pestata, o il Leopardi di Alla luna, che la guardava con il naso all’insù da una finestra di Recanati? Ma come ritrovare un’armonia che ci restituisca pace ed equilibrio?

Di questi tempi sedersi in una chiesa ad ascoltare il silenzio è un atto rivoluzionario, mi disse una volta un amico saggio.[1] Non so se questa possa essere una soluzione. Ad ogni modo, il recupero del sacro in senso progressista, come argine alle derive della modernità, è probabilmente ciò che rese la figura di Pier Paolo Pasolini così sorprendentemente profetica. Quando un’intera generazione era entusiasticamente impegnata nella rivolta contro il Padre, Pasolini avvertiva i giovani sessantottini che la libertà sregolata che andavano professando era quanto di più conforme al peggior capitalismo, che proprio in quegli anni andava riorganizzandosi per un nuovo, distruttivo assalto alla società italiana ed occidentale. Negli anni in cui la secolarizzazione era un dogma incontestabile Pasolini, omosessuale e comunista, più moderno di ogni moderno, cantava il suo amore per la tradizione ed il cristianesimo. Non serve condividere le sue parole sull’aborto o sui fatti di Valle Giulia per cogliere quanto il suo messaggio fosse un avvertimento dall’orlo estremo di qualche età sepolta: disperato, tragico, l’ultimo grido straziante di un profeta già condannato. È proprio la tragicità dell’esistenza di Paolini, della sua vita e della sua morte, a farne secondo Franco Cassano uno dei principali esponenti del Pensiero Meridiano: un vero erede della tradizione tragica dei greci, del dissoi logoi, il pensiero scisso che non tende a sintesi ed acquista profondità e lungimiranza proprio nell’ambivalenza.[2] Ma Pasolini oggi non c’è più, ed io, solo, devo proseguire il mio viaggio.

Si è fatta sera, e dalle pendici dell’Olimpo devo decidere in che direzione far correre la mia motocicletta domattina. Tra le poche cose che sappiamo sul progetto di stesura de Il Monte Analogo, pare che Daumal avrebbe voluto intitolare il suo ultimo capitolo E voi, che cosa cercate? Non ho idea di cosa cerco, e decido di far riposare la penna per alzare lo sguardo. Forse tutto ciò che conta è che in questo momento i miei piedi sprofondano nella sabbia umida, bagnata dal Mediterraneo. La scoperta sorprendente è che forse non ho bisogno di raggiugere Salonicco, prima tappa sulla via dell’Oriente. Le luci del Golfo Termaico si intravedono già da qui, da una delle tante rive dell’Egeo. Fortunatamente le parole di Cassano vengono in soccorso alla mia incapacità di fare programmi. È questa la peculiarità della Grecia: la compenetrazione labirintica di mare e montagna, inestricabile e costretta alla convivenza dei suoi opposti. Non so sinceramente quante siano le vette da tremila metri da cui si vede il mare, e di più, altra terra oltre il mare! Ecco perché l’ambivalenza tragica nasce proprio qui. La Grecia, e questa fu la ragione del suo impareggiabile sviluppo culturale, incarna alla perfezione le caratteristiche del Mediterraneo. Un mare che è apertura, ma apertura che presuppone e tiene ben presente l’incontro, l’alterità, il limite. Non un mare sconfinato, assoluto come lo è l’Atlantico, riferimento per gli inglesi prima e per tutti noi occidentali poi.  La vicenda di Ulisse ci insegna che chi viaggia nel Mediterraneo esplora e scopre, ma non dimentica mai il ritorno, le radici. Il viaggiatore meridiano non si perde nell’oceano del nichilismo come abbiamo fatto noi, naufraghi della modernità.

Cosa cerco non lo so, e queste poche pagine di diario non possono certo avanzare soluzioni a problemi epocali, ma forse le luci dall’altra sponda dell’Egeo mi suggeriscono da dove ricominciare il nostro cammino: seduti sotto una montagna sacra, con i piedi immersi nel nostro Mediterraneo.

Al-Mantiah, 15/06/’24

Che diritto hanno le scie degli aerei

di rigare l’immagine perfetta

di un tramonto sul mare?

I ruderi di Amantea, la città vecchia

che fu un tempo Al-Mantiah, la Rocca

si tingono di pennellate calde

arrossiscono alle carezze

del mareggiare placido

Lì, sul bagnasciuga

terra di nessuno tra il Mediterraneo

e le colline della Sila

l’antico diviene eterno

ed il sole si posa dolce su Stromboli

Proprio ora che mi accingo

ad accogliere la pace agognata

ecco un apparecchio diabolico

che taglia, squarcia la tela

della mia fuga effimera

Roma, 20/06/’24

Giro per San Paolo come un cane senza padrone

La città arde d’un caldo innaturale

L’acciaio, il cemento e l’asfalto soffocano

chi non si piega alla reclusione

di Wi-Fi e condizionatori

Un incendio sul viadotto della Magliana

illumina il quartiere di luce velenosa

Lugubre presagio chimico

di catastrofi a venire

Anche l’università brucia

ma di mediocrità e conformismo

Le chiese, unici posti dove trovare frescura

baluardi ostinati di dignità perduta

La statua di Paolo mi accoglie

imponente, e severa mi ricorda

che dopo illusioni e false promesse

ancora tra le sue braccia possiamo sentire

la voce di quel silenzio sacro

che da bambini, in tempi remoti

ascoltavamo immersi nel mare


[1] Con l’occasione ringrazio Mario Soldaini, per me compagno di avventure e punto di riferimento.

[2] Per quanto riguarda l’interpretazione di Pasolini rimando a quel testo meravigliosamente denso che è Il pensiero meridiano (Laterza, 1996), di Franco Cassano, che con questo articolo ho voluto omaggiare. Lo stesso vale per le considerazioni sull’importanza della Grecia.

Di:

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