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La grande speculazione a fin di bene: il caso dell’agricoltura

Hanno provato ad impiantare sul suolo italiano il primo campo di piante geneticamente modificate con le Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea). Non ce l’hanno fatta. Qualcuno la notte fra il 20 e il 21 giugno ha manomesso la telecamera di sorveglianza, ha scavalcato la recinzione, è entrato nella tenuta Radice Fossati a Mezzana Bigli, in provincia di Pavia, e ha distrutto il grande esperimento in campo aperto avviato dall’Università Statale di Milano, autorizzato dal Ministero dell’Ambiente e approvato dall’Ispra. La piccola risaia è stata trovata sfalciata con le piante di riso sradicate e gettate via.
È andato in frantumi il sogno degli apprendisti stregoni, dei perturbatori della vita, dei costruttori dell’artificio in perenne competizione con la natura. Si disperano quelli che hanno inventato chicchi di “RIS8imo”, nome in codice per una nuova specie vegetale creata in laboratorio, capace di resistere alla siccità prossima ventura, a funghi e batteri.
Parlano di “atto criminale”, di “ecoterrorismo”, loro, quelli che, nonostante la coltivazione degli Ogm in Italia sia vietata e l’Unione Europea non abbia ancora approvato le nuove regole, hanno scavalcato le restrizioni grazie al decreto Siccità del 2023 che ha abolito la valutazione del rischio per gli agroecosistemi circostanti, un limite che aveva reso la normativa italiana la più severa in Europa. La legge 68 del decreto ora permette di seminare varietà vegetali prodotte “con tecniche di editing genomico mediante mutagenesi sito-diretta o di cisgenesi a fini sperimentali e scientifici” all’interno di siti sperimentali autorizzati per scopi di ricerca scientifica, e più precisamente per ottenere piante più produttive e resistenti”.
Come Overton insegna, l’eccezione scientifica è solo la finestra (e la scusa) per fare uscire dai laboratori i semi artificializzati iniziando ad invadere le campagne italiane, a sterilizzare pratiche agricole secolari e a minacciare la biodiversità.
Per la prima volta, infatti, una pianta di riso Tea, inizialmente coltivata nel dipartimento di Scienze Agrarie di Milano, valicava i confini dell’università per essere trapiantata il 31 marzo 2024 all’aperto, in mezzo alla natura, aprendo la strada (senza ritorno) ad un’agricoltura “resiliente”.
“Un esperimento dal valore storico, una vera rivoluzione per l’agricoltura in grado di stabilire un prima e un dopo!” aveva, infatti, dichiarato entusiasta la senatrice Elena Cattaneo il giorno dell’inaugurazione della risaia. Al suo fianco l’assessore all’agricoltura Alessandro Beduschi deciso a fare della Lombardia la prima regione Tea d’Italia: “Questo giorno vale l’intero mandato, oggi noi certifichiamo un nuovo patto tra politica e scienza che è per la sostenibilità e non contro l’ambiente. Siamo partiti dal riso nella provincia di Pavia che ne è la culla in Italia, con l’obiettivo di fornire risposte all’agricoltura del futuro e poter presto estendere i test anche alle uve”.
E poi c’è lei, Vittoria Francesca Brambilla, capo del progetto “RIS8imo” e docente di botanica all’Università Statale di Milano, che ha visto andare in fumo dieci anni di ricerca dedicati al primo vegetale geneticamente modificato senza ricorrere a procedure transgeniche (Ogm) ma utilizzando l’innovativa tecnica del Crispr-Cas9, detto il “taglia e cuci del Dna” (con cui nel 2020 E. Charpentier e J. A. Doudna hanno vinto il premio Nobel per la chimica). Ci lavorava insieme al marito, il professor Fabio Fornara, e finalmente quest’anno – grazie anche al senatore Luca De Carlo che ha reso possibile la sperimentazione – il riso artificiale poteva finalmente crescere sotto il sole d’Italia insieme al riso naturale per dimostrare la sua superiorità nel resistere a tutte le malattie, il grande male del mondo.
“Oggi è una giornata rivoluzionaria per i biotecnologi che si occupano di miglioramento genetico delle piante” – raccontava commossa la Brambilla – “Il riso, che abbiamo portato in questa risaia e che appartiene alla varietà italiana della tipologia Arborio, presenta le varianti inattivate di 3 geni che sono associati alla suscettibilità a brusone, una malattia causata da un fungo. Si tratta di varianti genetiche che potrebbero esistere anche in natura, magari con una frequenza relativamente bassa, e che in questo caso sono state inserite in modo preciso e controllato attraverso le Tea”.
Ecco, appunto, “potrebbero” ma di fatto non esistono e allora è necessario “correggere” la natura artificializzando tutta l’agricoltura per renderla ecologicamente più efficiente di un seme testato da milioni di anni di evoluzione naturale.
Le nuove piante devono crescere nel clima dell’emergenza perenne fra il cielo dell’Onu e la terra desertificata dalla fecondità della vita.
La narrativa per giustificare la manipolazione in atto è sempre la stessa: viene proclamato che non inserendo Dna di altre specie (incluse quelle sessualmente incompatibili) come avviene con i vecchi Ogm, ma riscrivendo direttamente il Dna dei semi cancellandone alcuni geni, le piante Tea così modificate sarebbero “naturali” perché gli scienziati non farebbero altro che provocare un processo potenzialmente possibile spontaneamente.
Il tentativo è di propagandare l’idea che le nuove biotecnologie genomiche Tea non hanno nulla a che vedere con i tradizionali Ogm – come, infatti, aveva già dichiarato nel 2022 l’Unione europea – in modo da aprire la strada alla loro deregolamentazione sfuggendo, in particolare, a quel “principio di precauzione” che aveva distinto la politica della UE dagli USA. La distinzione serve, inoltre, a fare piazza pulita delle connotazioni negative legate agli Ogm per persuadere i consumatori, gli agricoltori, i rivenditori, i politici e i legislatori della bontà dei nuovi alimenti derivati dalle Tea. Anzi, grazie alla nuova biotecnologia, i vegetali sarebbero più salubri poiché più resistenti a batteri e funghi riducendo, di conseguenza, il ricorso a pesticidi e altre sostanze nocive per l’uomo e per l’ambiente.
Come aveva dichiarato Mario Enrico Pè, presidente della Società Italiana di Genetica Agraria, l’obiettivo è trovare soluzioni al problema della siccità: “le Tea permettono di raccogliere la sfida aperta dalla UE per un sistema agro-alimentare salubre e resiliente. Un’occasione da non perdere per il Made in Italy”.
Insomma, mangiare cibo migliorato geneticamente sarà benefico per noi e per il pianeta: si invitano a tavola i buon gustai politicamente corretti all’assenza di gusto e al digiuno delle nostre tradizioni per assaporare il menù del futuro cucinato per noi dalle élites globaliste. Nel piatto, oltre ad Ogm-Tea, anche insetti e carne sintetica.
La strategia politica dell’emergenza perenne (ora sanitaria, ora bellica, ora ambientalista) serve ad abbattere lo stato di diritto delle democrazie a favore dello stato di eccezione delle oligarchie, veicolato dai prestanome ONU, OMS, ecc. Come aveva scritto Naomi Klein fin dal 2008, l’economia dei disastri, la “shock economy”, è il neoliberalismo imposto con lo shock. Strumentalizzando crisi globali, vengono emanate norme straordinarie tese a introdurre un nuovo modello socio-economico che cambia in maniera radicale abitudini e stili di vita. A cominciare dal cibo. Lo shock food è la “shock economy” servita direttamente nei nostri piatti.
Il terrore e il disorientamento opportunamente diffusi impediscono la reazione delle popolazioni che, altrimenti, non accetterebbero mai una riforma che le rende sempre più povere portandole letteralmente alla fame, per arricchire multinazionali e poteri finanziari. “Non avrete nulla e sarete felici“, ha sentenziato Klaus Schwab dal pulpito di Davos. Anche di mangiare mele geneticamente modificate perché il neoliberalismo autoritario si manifesta sotto la maschera dei buoni principi come la crociata ecologista, uno dei principali obiettivi dell’Agenda globalista 2030.
Il paradosso è che mentre dall’alto, seppure con tono ormai minore, viene propagandata tale crociata eco-catastrofista, quasi fosse una nuova forma di religione fondamentalista, tutto ciò che è veramente insostenibile per il pianeta (il consumo distorto del suolo, l’estensione delle monocolture, lo sviluppo degli allevamenti intensivi, la riduzione della biodiversità, l’uso sistematico di pesticidi, antibiotici, glifosato) venga continuamente promosso. E’ la politica neoliberista delle delocalizzazioni che ha portato, ad esempio, un paese come l’Italia a importare dall’estero grano, olive, frutta e verdura togliendo dignità ai territori locali e alle produzioni di piccola scala rispettose degli ecosistemi.
Importare il grano da paesi climaticamente inadatti come il Canada, non ha potuto che condurre ad un uso massiccio di trattamenti chimici e funghicidi cancerogeni come il glifosato per sventare la muffa generata dal freddo. Non a caso, il primo (micro)organismo geneticamente mutato fu introdotto nel 1987 ed era il batterio p. Syringae che fu rilasciato nelle coltivazioni di fragole e patate negli Stati Uniti, con il compito di impedire alle piante di congelare durante l’inverno.
I processi della globalizzazione scorrono lungo linee che sorvolano i territori e mortificano le geografie, appiattendo l’identità dei luoghi nell’equivalenza insignificante del tutto. Nessun altro paese al mondo vanta la nostra ricchezza e varietà agro-alimentare. La cucina rappresenta l’identità e la cultura di un Paese, la sua storia. Il cibo è radicato, per natura, al territorio, è relazione con la specificità dei luoghi, i suoi climi, le sue piogge. In Italia più che altrove, perché la nostra è una cucina locale: bastano pochi chilometri di distanza per trovare piatti completamente diversi che derivano da colture e culture differenti.
Il nostro è un territorio topologico, qualitativamente differenziato, ricco di spessori e stratificazioni storiche, mentre le piantagioni Tea e i menù a base di RIS8issimo rappresentano la deterritorializzazione sradicante propria della globalizzazione. È un cibo prodotto in laboratorio, cucinato dagli scienziati, replicabile ovunque, distaccato da qualsiasi origine. Alle diverse latitudini del mondo, tutti mangiano le stesse cose, uniformando i palati e omologando i gusti.
I nuovi poteri e le nuove fonti di profitto del terzo millennio riguardano i geni e il genoma, la riproduzione, il prolungamento e il potenziamento della vita, che hanno come referenti principali gli scienziati, le industrie e i media.
Sono poteri che ruotano intorno all’utopia biotecnologica della “grande salute”, come ha scritto nel 2002 il bioeticista Lucien Sfez, perchè, scomparso oramai ogni orizzonte di trascendenza, l’unico culto rimasto è quello della salute perfetta del nostro corpo indissociabile dalla salute perfetta del corpo del pianeta. In tale ambito, l’ingegneria genetica è divenuta una sorta di nuova religione in grado di garantire benessere assoluto, abolizione di tutte le malattie del vivente, miglioramento di ogni specie, uomo incluso.
“La tecnica è divenuta la potenza suprema in grado di riallineare tutti gli altri poteri”, ha scritto Emanuele Severino. Si verifica una forma di sottomissione verso il potere scientifico data dalla paura e dal desiderio di sicurezza fortemente sentiti dalla società che generano una inasperata e acritica legittimità per il potere scientifico. Anche a livello culturale la tecnica ha conquistato una vera e propria egemonia incidendo sui comportamenti collettivi e individuali. Ne consegue per molti maitres à penseè la necessità di bandire quegli atteggiamenti tradizionali capaci di porre limiti morali alle nuove tecnologie vedendoli come antichi, arcaici, antiprogressisti.
Un atteggiamento che si ritrova nelle parole rilasciate da Brambilla e Fornara in un comunicato ufficiale: “Come scienziati pubblici esprimiamo sconcerto e tristezza per aver subito una violenza ingiustificata, frutto di oscurantismo e pulsioni antiscientifiche”.
Con il bisturi della scienza bisogna definitivamente tagliare la naturalità della natura trasformando la terra in un luogo in cui la vita è meno naturale e più artificiale. Sotto il cielo algido della tecnica crescono i semi gelidi della scienza per raffreddare la terra, il calore del sole e congelare la vita.
Il primo esperimento di piante geneticamente modificate in Italia è stato distrutto ma “altre linee di riso Tea sono pronte per nuove sperimentazioni future”, ha dichiarato Roberto Defez, biotecnologo del Cnr, consulente della Fondazione Bussolera Branca e membro del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi.
Dalla risaia pavese il chicco ecologico avrebbe invaso la campagna italiana espandendo il dominio del potere tecnologico e comprimendo i territori della libertà.
Nel frattempo la Monsanto ha inventato “terminator”, un seme che ha la caratteristica unica nella storia del pianeta di fare frutti solo per una volta, costringendo così i contadini a ricomprare sempre le sementi e permettendo agli oligarchi dell’industria agroalimentare di controllare la produzione alimentare mondiale.
Siamo al neofeudalesimo, agli sfruttatori terrieri, ai padroni della vita e della morte.
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